Nightmares

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Nico si svegliò di soprassalto, con delle gocce di sudore che gli scendevano sul volto e il respiro affannato. Accaldato, si alzò subito a sedere sul letto, guardandosi intorno come per accertarsi di essere davvero tornato alla realtà: le tende della camera da letto erano scostate dalle finestre, e si poteva vedere la pioggia di fuori battere sui vetri. Non poco distante da esse, Will dormiva disteso sulla loro cassapanca, le gambe raccolte sul petto in posizione fetale, come un bambino: Nico doveva averlo buttato involontariamente fuori dal letto ancora una volta, con tutto quel suo agitarsi notturno.

– Dannati incubi –sussurrò il figlio di Ade, sbuffando.

Ancora scosso dall'accaduto, si alzò in piedi e si avviò barcollando verso la porta, poi uscì dalla camera cercando di non fare rumore: aveva bisogno di scaricare la tensione.

**

Will si svegliò qualche minuto dopo, con il rumore della pioggia: il vento fuori era aumentato, e le gocce battevano sui vetri con più violenza. Si massaggiò la schiena, gli occhi ancora socchiusi: stare nello stesso letto con Nico di Angelo nel bel mezzo dei suoi sogni premonitori da semidio non era il massimo a volte, ma neppure quella dura cassapanca scherzava. Il figlio di Apollo non sapeva più cosa fare. Stropicciatosi gli occhi, si alzò in piedi per controllare come stesse il suo ragazzo, ma con sorpresa notò che il letto era vuoto. Cavolo, dov'era finito? Si precipitò fuori dalla stanza, preoccupato, e scese velocemente le scale che portavano al piano di sotto.

– Neeks? – chiese andando in giro per la casa, aprendo e chiudendo le porte.

Ma nessuno rispose.

Il biondo era quasi disperato quando, come ultimo tentativo, decise di dare un'occhiata fuori. Visti la pioggia e il vento che c'erano, non aveva nemmeno considerato l'idea che Nico potesse essere uscito, e invece eccolo proprio lì, seduto su una panchina posta davanti alla loro casa, con il cappuccio della felpa sulla testa e tonnellate di acqua piovana addosso.

Confuso, Will afferrò il primo cappotto che trovò dall'attaccapanni dell'ingresso e corse verso di lui, tentando goffamente di infilarselo sotto la pioggia.

– Neeks! – esclamò, parandosi davanti a lui. Il figlio di Ade teneva la testa bassa e le mani affondate nelle tasche, e - per quanto riuscisse a vedere Will dall'alto - la sua espressione non era delle migliori.

– Ehi, tutto a posto? – riprovò il biondo, abbassandosi sulle ginocchia così da essere alla sua stessa altezza. Gli poggiò una mano sulla gamba: – Sei fradicio, prenderai la febbre se non entri subito. Da quant'è che sei qui?

Nico alzò finalmente gli occhi da terra, rivolgendo lo sguardo al suo ragazzo. – Sto bene – disse, con una voce e un'espressione che lasciavano dedurre il contrario. – Sono qui da pochi minuti. Non mi va di tornare dentro. Sto bene.

– L'hai ripetuto due volte.

– Eh?

Will inclinò la testa verso destra: – L'hai ripetuto due volte. Non mi freghi, Neeks, non stai bene affatto.

Il moro lo fissò per qualche secondo come per accertarsi che dicesse sul serio, poi abbassò di nuovo lo sguardo, sbuffando: a volte detestava il fatto che Will riuscisse sempre a capire come si sentiva, il fatto di non riuscire a nascondergli i suoi sentimenti. Perché quello che c'era dentro di lui, quello che provava... era tutto un disastro, semplicemente un disastro, e non voleva che gli altri ne venissero a conoscenza o provassero ad aggiustarlo, magari ferendosi. Non voleva che Will lo facesse, perché teneva a lui più di ogni altra cosa al mondo.

– Ti va di raccontarmi cosa c'è che non va? – chiese il figlio di Apollo, scostandogli una ciocca di capelli bagnata dal volto. Quando le sue dita gli sfiorarono la guancia, Nico socchiuse gli occhi: era incredibile come ogni parte del corpo di Will riuscisse sempre ad essere calda, anche sotto la pioggia; era quasi magico.

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