Harryn, stanco, distratto, gettò a terra l'ennesimo foglio accartocciato. Aveva scritto Dio solo sa quante lettere, tutte piene di balbuzie, parole cancellate, errori di sintassi degni dei suoi peggiori incubi e ciò nonostante, quel disordine equamente diviso tra pavimento e scrivania non rendeva giustizia al caos che aveva dentro la testa.
Harryn aveva deciso di partire per un lungo viaggio, lasciando a casa gli affetti, le brutte abitudini (o meglio, la maggior parte di esse), i sogni andati in cenere, cercando di scappare dal passato, dai vuoti di senso, dal dolore e da una vita costruita da altri. Non c'era stato niente di facile, ancor prima di partire Harryn aveva avuto gli incubi, le traveggole, incapace di vedere oltre alla coltre di fantasmi che si annidavano nella sua mente. Harryn era fatto così, aveva sempre arricchito la realtà, che trovava tediosa e ripetitiva, con la sua fantasia. Possedeva uno spirito capriccioso, guizzante, graffiante, volubile. Prendeva gli eventi della vita in modo estremamente solenne oppure in modo estremamente giocoso; non credeva nel destino, bensì nella profonda natura ironica degli avvenimenti, che continuamente pone questioni e drammi che finiscono per essere irrilevanti, essendo che il mondo procede anche senza attori e che la passività o l'inattività di questi non ne interrompe l'esistenza.
Il viaggio era iniziato, Harryn aveva fatto scorta di buon senso, audacia e sarcasmo. Ben presto si ritrovò in alto mare e dovette iniziare a razionare le provviste.
E così, banalmente, gli parve che le uniche certezze rimaste fossero proprio i fantasmi da cui scappava- ed in un certo senso era pure vero: la sua meta era lontana e l'unica cosa tangibile e familiare, era il pensiero di ciò che si era lasciato alle spalle. Non era tutto da buttare, lo sapeva Harryn, così come sapeva che quel viaggio era necessario per evitare di inaridire, di vivere di rimpianti e promesse mancate.
"Cara Janis", iniziavano le sue lettere.
"Vorrei che tu fossi qui", terminavano.
Il corpo centrale, invece, era in continua evoluzione. A volte rimarcava con forza le sue motivazioni, altre vacillava, altre ancora descriveva semplicemente le sue piccole conquiste marittime.
La ciurma, se non altro, sapeva offrire delle distrazioni- e per Harryn era qualcosa di nuovo. Era sempre stato così assorto su se stesso e il suo mondo immaginario da essersi perso gran parte del contesto entro cui queste fantasticherie avvenivano. Aveva rifiutato con decisione l'idea che i suoi vecchi affetti lo avessero seguito fin laggiù: per lui i legami erano reali solo quando palesi, ed erano palesi solo quando l'altro soggetto del legame era presente. Quel filo rosso cremisi, lui lo scambiava per una fibra fuori posto dei suoi indumenti. Un filo cremisi legava alla sua esperienza quella di tutti gli altri.
STAI LEGGENDO
Soliloqui
PoetryQuesta è una raccolta di poesie, scritte in passato o affiorate nel presente. Fermoimmagine di una persona solitaria.