Perseguitata

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Stavo camminando per la strada, in modo tranquillo, come facevo ogni sera di ritorno dal doposcuola. Stavo parlando con il mio migliore amico quando ho capito di essere seguita da qualcuno.

«No, non è stata difficile la lezione di inglese, ma matematica... meglio non parlarne» risi al telefono.

Era da un po' che camminavo per le strade male illuminate, avevo sentito più volte dei rumori di passi - sempre i soliti passi - che imitavano i miei. Avevo cercato di non farci caso, ma stavo cominciando ad agitarmi. Avrei voluto dirlo a Carlo, ma avevo paura che chiunque fosse dietro di me mi sentisse e mi facesse del male. Ho cercato di continuare la conversazione nel modo più spensierato possibile, come se non mi fossi accorta di nulla, sperando in fondo al cuore che fosse solo una mia paranoia. Magari quella persona doveva percorrere la mia stessa strada per ritornare a casa, solo che quella sera ci eravamo trovati a farlo nello stesso momento.

«Hai ancora problemi con le funzioni?» mi chiese Carlo.

Vietai alla mia voce di uscire rauca, o affannata, e risposi: «Sempre e solo funzioni. Da quanto tempo continuo a farle, dovrei saperle a memoria. Ma quel "f tondo g" e "g tondo f" proprio non riesco a capirli. Mi sembra di aver trovato uno schema per eseguirli, ma come al solito è solo un'illusione.»

Sentii i passi dietro di me fermarsi all'improvviso e ne approfittai per girarmi e capire chi fosse. Magari era solo il mio vicino di casa che aveva preferito fare una passeggiata, piuttosto che prendere la sua mega lussuosa macchina. Stavo impazzendo.

Mi voltai e vidi un uomo, mai visto in vita mia, con i capelli corti e castani, una leggera barba e gli occhi neri come il carbone. Mi guardava mentre parlava con una donna dai capelli rossi, che aveva un sorriso malvagio stampato sul volto. Tutti e due si aggiravano intorno all'età di trenta, quaranta anni.

Continuai a vagare con lo sguardo, guardandomi intorno come se stessi cercando qualcuno o qualcosa. Non avevo idea del perché quell'uomo mi stesse guardando, così come non avevo idea del perché anche la donna, dopo qualche secondo, mi stesse guardando.

«Non ti vedo! Dove sei?»

Mi fermai in mezzo al marciapiede a reggermi il gioco.

«Certo che non mi vedi, sono a casa mia! Che ti prende? Non stavamo parlando di funzioni?»

«Non mi prendere in giro, so che non sei qui.»

«Elisa, che ti prende? C'è qualcuno lì con te?»

«Senti, io continuo a camminare, ormai sono quasi arrivata a casa. Mia madre mi aspetta e sospetterebbe qualcosa se non mi presentassi a casa all'orario stabilito. Lo sai che lei potrebbe arrivare a chiamare la polizia.»

Cercai di dire le ultime parole con un tono di voce tale da farle sentire anche a quelle due persone che, imperterrite, continuavano a seguirmi. Erano dei ladri? Volevano derubarmi, stuprarmi? Qualsiasi era il loro obiettivo, dovevano sentire che mia madre si sarebbe accorta che mi era capitato qualcosa di brutto, e che li avevo visti in volto. Dovevano sapere che avrebbero rischiato di essere descritti perfettamente a degli agenti di polizia quando li avrei denunciati, se mi avessero fatto qualcosa. Due volti spaventosi come quelli non li avrei dimenticati facilmente.

«Non puoi parlare? Se non puoi parlare ti posso chiamare dopo.»

Non potevo spiegargli quello che stava succedendomi, ma non volevo che terminava la chiamata. In qualche modo mi sentivo più sicura ad avere qualcuno che poteva sentire tutto quello che succedeva, se fosse successo qualcosa.

Ma ormai ero giunta di fronte casa mia, i due sconosciuti si erano fermati sotto una fermata dell'autobus, e non mi avevano fatto niente.

Visto?, mi dissi. Dovevano solo andare alla fermata dell'autobus. Probabilmente si domandavano cosa ci facesse una ragazza sola alle otto di sera in una strada male illuminata, mentre mi guardavano.

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