Osservavo mia madre preparare la valigia, aveva gli occhi piccoli e rossi e faceva fatica a guardarmi.
Piegava le magliette e in modo ordinato e preciso le incastrava nella valigia, così anche per i pantaloni e la biancheria.
<Darling, andrà tutto bene. Te lo prometto.> Ancora una volta evitò il mio sguardo, io semplicemente annuii, cos'altro potevo fare? Mi sentivo delusa e del tutto impotente.
Mi dispiaceva un casino per mia madre, vederla in quello stato mi distruggeva il cuore in mille pezzi. <Justin viene con me?> Chiesi ingenuamente.
<Tuo fratello resta a Chicago, ora andiamo o perderai il volo.> Mio padre prese la valigia e tutti e tre insieme andammo in macchina. <Posso almeno salutarlo?> Nessuno rispose e capii che non lo avrei rivisto più.<Il viaggio durerà un po', tu riposati, leggi un libro e quando arriverai in Italia troverai zia all'aeroporto.> Facemmo il check in e salutai la mamma in lacrime. <Non voglio partire.> Supplicai in tono disperato guardando mio padre. <Ci mancherai.>
***
<Darling, devi tornare a Chicago. Ho bisogno di te.> Rimasi in silenzio mentre quelle parole risuonarono nella mia testa per alcuni secondi. <Sei ancora li?>
<Si. No, non posso venire a Chicago.> Dissi cullando Christian che per fortuna si era addormentato. <Ho una vita mia in Italia, non permetterò di farmela sconvolgere di nuovo.><Lo so Sara, hai ragione, ma questa volta è diverso.> Risi amaramente, non poteva chiedermelo sul serio. <Si tratta di tuo fratello, Sara. E' nei guai.>
<E io cosa c'entro?>
<Devi farlo ragionare, sai che ascolta solo te, nemmeno la moglie riesce a fargli mettere la testa a posto.><Papà, non posso aiutarti, mi dispiace.> Stavo per riattaccare, ma lo sentii parlare ancora. <Lui non è forte come te, potrebbe finire ammazzato, lo sai. Da quando è morta tua madre sta andando tutto a rotoli. Entra ed esce di prigione come fosse una moda. Sara, per favore, pensaci.>
In quel momento provai compassione nei suoi confronti, in fin dei conti era sempre mio padre anche se mi aveva fatto del male.<Ci penserò, te lo prometto.>
<Grazie, il piccolo come sta?> Guardai mio figlio e notai la somiglianza con mio padre, assurdo. <Sta bene. Ora devo andare.> Misi fine alla chiamata e provai a contattare mio fratello, ma non ottenni risposta.Per la seconda volta nella mia vita mi ritrovai a cambiare vita contro la mia volontà, solo che questa volta non avrei cambiando di nuovo identità, sarei rimasta comunque Sara Conte, la ragazza americana neutralizzata italiana. Questa volta portavo con me un tassello importantissimo della mia vita, mio figlio, o meglio la mia forza e la mia voglia di svegliarmi la mattina. In sette mesi ha cambiato in meglio la mia vita, è stato un raggio di sole in una giornata di pioggia ed essere una ragazza madre non mi pesa per niente.
Preparai le borse con tutta la mia roba e mi assicurai che in aeroporto facessero passare la mia pistola. Salutai mia zia e i miei amici, i miei colleghi e la mia casa. Non potevo crederci, nonostante tutto lo stavo facendo, stavo ritornando a Chicago per aiutare l'uomo che mi aveva respinto, stavo tornando da mio padre.
Il viaggio durò all'incirca dodici ore, ero indolenzita e avevo bisogno di camminare. Volammo sopra Chicago e il mio corpo si cosparse di brividi all'istante. I grattacieli, le luci, il Michigan, devo ammetterlo, è bellissima. E mi era mancata parecchio.
<La ringrazio.> Un signore molto gentile mi aiutò con le borse, dato che le mie braccia erano impegnate con Christian. Camminai fuori dall'aeroporto e provai a chiamare un taxi, ma con scarsi risultati, erano tutti più veloci di me.
<Shit.> Poi però lo vidi, appoggiato alla sua macchina con i suoi ray-ban neri. Non era cambiato per niente, stessa espressione da duro, stesso atteggiamento da "qui comando io", l'unica differenza erano i capelli, leggermente grigi rispetto all'ultima volta.
Alzò la mano in aria per farsi vedere e iniziò a camminare verso di me. Io istintivamente indietreggiai di qualche passo, avevo paura, non so perchè, ma lo temevo.
<Ehy.> Si tolse gli occhiali mettendoli sulla testa e mi guardò con occhi lucidi. <Sei bellissima. Ciao piccolino.> Prese la mano di mio figlio e la baciò, quel gesto di tenerezza mi fece sciogliere, finalmente il nonno aveva incontrato il suo nipotino. Aspettavo da tanto questo momento, nonostante tutto.<Mettiamo in chiaro una cosa, papà. Non sono qui per te. Lo faccio solo per mio fratello e una volta finita questa pagliacciata tornerò in Italia. Ok?> Annuì e mi sorrise. <Tutto chiaro, ma per non destare sospetti ti ho trovato un posto nell'Intelligence, terrai il tuo cognome italiano e tutto filerà liscio come l'olio.>
<Ma->
<Ti ho trovato una casa vicino la mia, l'affitto costa poco e c'è anche una culla nuova, ancora imballata.>
<Va bene.> Fu l'unica cosa che riuscii a dire, ero stanca di discutere con lui, tanto avrebbe vinto comunque, come sempre.Parcheggiò davanti al dipartimento e mi fece strada fino al suo ufficio. <Vieni, accomodati.> Entrai e presi posto davanti a lui, mi spiegò alcune cose su come funziona la sua unità e mi presento i miei compagni di squadra. <Io e te ci salutiamo meglio dopo.> Sussurrò Alvin al mio orecchio, secolare amico di mio padre e vecchio amico di famiglia. E' stato uno dei pochi a chiamarmi ogni volta che ne aveva l'occasione, compleanni, natale, sempre. E' sempre stato presente.
<Ti troverai bene, baby, se non vuoi fidarti di tuo padre, fidati di me.>
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Dirty Game
RomanceSara ha una doppia cittadinanza, una doppia vita che inizia a pesare un po' troppo e non sopporta più il peso di questo grande segreto. In Italia la conoscono tutti, mentre a Chicago, il suo paese natale, è un fantasma, una ragazza che esiste solo...