Capitolo Tre

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CAPITOLO TRE

Mario

4 gennaio

Sono le quattro di mattina e il corpo di Claudio mi tiene imprigionato a sé mentre io non riesco più a riprendere sonno. Ripenso a ciò che mi è successo ieri, alla sensazione di vuoto che ho provato mettendo di nuovo piede a casa mia, al senso di panico che mi ha pervaso da cima a fondo, ai ricordi, quelli brutti, che si sono susseguiti nella mia mente uno dopo l'altro. Ripenso agli odori cattivi di chiuso, di fumo, di erba, di cose illecite. Ricordo lo smarrimento che ho avvertito quando mi si è schiaffeggiata contro la consapevolezza di essere lì da solo, di non avere la mano di Claudio tesa verso di me, pronta a sorreggermi.
Prendo un grande respiro e annuso a pieni polmoni la pelle calda dell'uomo che mi ha letteralmente salvato la vita, ritrovando la calma e la mia pace interiore. E così mi tornano alla mente tutte le volte in cui mi ha saputo capire, prendere e tranquillizzare solo attraverso un abbraccio, una stretta, una carezza o uno sguardo. Ripenso a tutte le volte in cui ho creduto di non farcela, in cui ho creduto di cadere, ma lui se ne stava lì per me, con le braccia allungate per afferrarmi. Ripenso al giorno in cui sono uscito dalla comunità, a quando mi ha confessato i suoi sentimenti apertamente, a come mi sono sentito. É stata la prima volta in cui qualcuno mi ha detto quelle due paroline magiche. E le ha rese magiche perché le ha accompagnate ai gesti, ai fatti, agli abbracci. Mi ha accolto nella sua casa, nella sua vita, nella sua quotidianità; mi tiene tra queste mura da quel 16 dicembre, senza chiedere niente in cambio, senza farmi domande, senza avanzare pretese. Mi ha fatto conoscere i suoi amici, le sue abitudini e alcuni suoi particolari che alla comunità non avevo potuto cogliere. Ripenso alle sue premure, al suo assecondare le mie scelte di non uscire di casa perché ero troppo spaventato, al suo modo dolce di prendersi cura di me. Ripenso all'Amore puro che mi sta dando e a quanto siano stati perfette le vacanze di Natale, e con tutte queste certezze e il suo corpo pressato accanto al mio finalmente mi riaddormento.


*


Delle labbra soffici mi si appoggiano sulla fronte.

Apro lentamente gli occhi, ancora stanco e assonnato, trovando il viso di Claudio a due centimetri dal mio.

"Sei sveglio?", mi domanda in un sussurro, accendendo la luce dell'abat-jour per illuminare fiocamente la stanza e osservarmi meglio.
Annuisco piano, strofinando il viso sul cuscino. "Sei un po' caldo, vado a prendere il termometro", mi fa sapere, sparendo subito dopo dietro la porta.

Chiudo gli occhi e, ancora fiacco, quasi mi riaddormento. Ma poi sento una sua mano alzarmi il braccio per misurarmi la febbre e sono costretto a riaprirli. Costretto, sì, perché per Claudio farei qualsiasi cosa.
E in questo momento devo guardarlo e salutarlo, prima che vada a lavoro.

"Dormi se hai sonno, Mario", dice sedendosi al bordo del letto, accanto a me, sistemando il termometro e abbassandomi il braccio per tenerlo fermo. Nego con la testa, continuando a fissarlo. "Tu ti senti qualcosa?", mi chiede avvicinando la sua mano fredda alla mia tempia, facendomi rabbrividire.

"No, sono solo un po' stanco...", ammetto sbadigliando.
Lui annuisce e, rimboccandomi le coperte, "Te l'ho detto: dormi ancora un po', dai" mi dice rivolgendomi un sorriso di quelli che amo tanto.

"Quando vai via, adesso sto sveglio", incateno i nostri sguardi, sporgendo un po' di più la testa fuori dalle coperte.

"Non ha senso, Mario. Dormi, ti si chiudono gli occhi", scuote la testa quasi divertito.

"Ti faccio compagnia finché ti prepari, altrimenti non ti vedo fino a stasera", mi lamento.

"Oggi torno presto, faccio continuato. Alle 16 sarò già qui".

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