Capitolo Quattordici

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CAPITOLO QUATTORDICI

Claudio




26 marzo

Quando torno a casa dal mio turno alla comunità, trovo la macchina di Mario parcheggiata qui fuori.

È strano, perché di solito mi avvisa e mi aspetta davanti al portone anche se ha le chiavi, o per lo meno ci sentiamo per accordarci su chi raggiunge chi dopo i rispettivi lavori.

Entro in casa ma di Mario non c'è nemmeno l'ombra così mi avvio verso la camera da letto. "Mario? Sei qui? Ho visto la macchina qui fuori", annuncio la mia presenza.
"Hey", lo saluto quando entra nel mio campo visivo, avvicinandomi lentamente.

"Ciao", mi saluta lui, seduto sul bordo del letto, alzando subito dopo la testa così che io, abbassandomi, riesca a baciarlo. Assaporo le sue labbra per qualche secondo prima di staccarmi sorridendogli.

"Non mi aspettavo di trovarti qui", dico iniziando a togliere i vestiti per andare a fare una doccia veloce.

"Non sono andato a lavoro oggi", sospira.

Aggrotto le sopracciglia e mi giro verso di lui, scrutandolo attentamente. La testa abbassata e le mani a torturarsi l'una con l'altra. "È successo qualcosa?", domando sedendomi accanto a lui.

"No. Cioè, sì", ammette lasciandosi cadere all'indietro sul materasso. "Mia mamma...".

"Tua mamma?", non capisco.

"Leggi", mi passa il suo telefono.

"Ciao Mario. Non so nemmeno da dove iniziare ma ti chiedo, per favore, di leggere questo messaggio fino alla fine e solo allora decidere cosa fare.
Lo sai che non sono brava con le parole, ma la prima che devo dirti è: scusa. Non serve che io mi metta ad elencare tutti gli errori che ho commesso con te, li conosci bene, e non pretendo tu possa perdonarmi, però non posso fare altro che chiederti scusa, non una, non cento, ma mille volte. Per tutto. In primis per non aver saputo essere madre. Mi vergogno di questo e non c'è giorno che passi senza che il mio pensiero voli a te.
La seconda parola che devo usare è: vergogna. E no, Mario, non per te, come invece tu sicuramente pensi. Vergogna per me, per non averti saputo ascoltare, per non averti capito, per non esserti stata vicino. Forse tu nemmeno immagini quanto mi vergogno di me stessa, della Donna che non sono, della mamma che non sono. Questo senso di inadeguatezza probabilmente non svanirà mai, dura da anni ormai, ma se solo tu mi dessi la possibilità di parlarti anche solo per un minuto magari riuscirei a sentirmi almeno felice per te. Vorrei tanto sapere come stai, come trascorri le tue giornate, se sei sereno nella tua nuova città. Se solo sapessi che tu stai bene e vivi grandiosamente la tua vita io starei meglio... mi basterebbe questo. Saperti realizzato e in pace con te stesso nonostante tutto il male che ti abbiamo fatto.
La terza parola che devo utilizzare non è una vera e propria parola ma un nome: Claudio. Non so chi sia questa persona ma voglio essere sincera con te. Qualche mese fa sono stata contattata da quest'uomo, Claudio. Diceva di essere una persona di tua conoscenza e di dovermi parlare. Ci siamo sentiti telefonicamente una volta, è stata una chiamata di pochi minuti, e mi ha detto solo che nonostante io non sia stata una brava mamma per te e con te (ed ha ragione) e nonostante tu non l'abbia mai manifestato apertamente, sicuramente avresti apprezzato la mia vicinanza. Non l'ho più sentito. Ma tutti i giorni ripenso alle sue parole così sincere e dirette. Tutti i giorni mi domando se veramente ti farebbe piacere sentirmi, se realmente avresti bisogno di me. Io, di te, sì.
Mi manchi così tanto, figlio mio!
Non ti chiedo niente, non pretendo niente. Solo... visto che ho finalmente trovato il coraggio di scriverti queste poche righe sicuramente sconclusionate e confuse, ti prego, dammi l'opportunità di provare a parlarti. Ho così tanto da dirti, così tanto da farmi perdonare, così tanto da imparare da te.
Aspetto fiduciosa tue notizie (e non prendertela con quel ragazzo per avermi contattato, non è colpa sua, prenditela solo con me).
Mamma"

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