130

41 1 1
                                    

Non sarà mai ciò che vedo. Io non percepisco niente. Ho solo un obiettivo.

La materializzazione ha avuto esito positivo. Segue una sfocata visualizzazione del territorio circostante. Le sensazioni olfattive ritardano, come sempre, per il solito problema ai ricettori nasali. L'audio è ottimo. Il primo suono che riesco ad individuare è il rumore dell'acqua. Problema. Vedrò di risolvere o meglio, di evitare. Seguono i suoni della medesima desolazione, del medesimo vuoto, del medesimo stato di abbandono. Clangori, cigolii, fruscii, un'eco confusa che giunge da un'epoca terminata. Il vento: sabbia e polvere. Apro la bocca. L'acqua è contaminata e salmastra. Siamo in una zona marittima. Il solito pulviscolo dell'Inverno caduto sulla Terra o su quel che ne rimane. Attraverso la vista recuperata del tutto, posso rendermi conto di essere su di un'altura, stimandone l'altezza sui seicento metri: sono sulla cima di una collina. Ai miei lati, i resti di una baraccopoli. In pratica, i resti dei resti dei resti di una pseudo civiltà. Tutto è spazzato via dai venti. La temperatura è stabilmente quella dell'Inverno: quaranta, quarantacinque gradi centigradi. Il mio raffreddamento a liquido è a pieno regime: l'unico elemento umido che sopporto. Addosso a me, le gocce del mare malato mi graffiano come lamette e l'aria mi sferza. Piego la testa in basso, alzo il braccio sinistro e cerco di guardare cosa tengo in mano, ciò di cui la Fondazione mi ha equipaggiato.
Ho una pistola.
Estraggo il caricatore, trattandosi di una vecchia Luger mi ritrovo con qualche difficoltà nel maneggiarla, ma i rudimenti di un'antico metodo di fabbricazione bellica sono piuttosto elementari, per cui riesco a far fronte alle rugginose meccaniche di quel ferro incivile e controllo la disponibilità di colpi: o si nutre grandissima fiducia nella mia precisione, o qualcuno tira a risparmio; un colpo. Sono completamente nudo.
Guardo avanti a me e realizzo di essere al centro di qualcosa di assimilabile ad una strada, quantomeno è battuta alla meglio. Discende, dopo una cinquantina di metri, verso il basso, verso quell'oceano infinito su cui sta battendo accecante il riflesso del sole all'alba. Sorge, davanti a me. Lui, è ancora vivo.
Saluta con la sua luce immensa il mare morto e raggio dopo raggio inonda di chiarore vivido i resti palustri, inondati, devastati, consumati, di uno sbiadito ricordo di città.
Era enorme, Giacarta.
Prima dell'Inverno ci sono fonti che parlano di ottanta milioni di persone.
Pensare che fosse anche uno degli agglomerati urbani più poveri del mondo, fa capire tante cose. Ad esempio come mai Loro siano finiti così.
Come da un belvedere, questo spettacolo dell'estinzione si perde oltre la vista d'occhio. E dinnanzi soltanto l'oceano, che per una buona parte invade le rovine della metropoli in una specie di labirinto di canali, torrenti, stagni. Quando sarò giù sarà un problema. Un grosso problema.
Corro.
Il tempo è prezioso: sono secondi, minuti, ore contate. Il tramonto è la data di destinazione. Entro il calare del sole, l'obiettivo dovrà essere perseguito, raggiunto e risolto. Risoluzioni ne ho fatte a centinaia, sono programmato esattamente per questo. Sono costruito per questo. Sono progettato per questo. Sono stato probabilmente ideato per questo. Non so. Domandarmi chi e perché mi abbia creato, non sono tenuto a farlo. Non ho i permessi per accedere a tali livelli di curiosità. Questi retrospettivi pensieri mi tormentano la regolare attività psicologica da qualche tempo. Dovrò segnalarlo a qualche impianto tecnico della Fondazione e farmi sistemare. L'unica preoccupazione è che magari mi tolgano di mezzo. Non ne sarei entusiasta. Voglio dire, ho servito la F bianca alla perfezione, mantenendomi sempre al cento per cento di risoluzioni completate. Essere dismesso non sarebbe un grande onore. Però ecco, sto correndo in mezzo a potenziali pericoli gravissimi, verso la prima parte di quello che si può tranquillamente definire come il più rilevante e delicato lavoro che mi sia mai stato affidato e la mia struttura mnemonica si libra da sola in spettacolari voli autonomi, simili a paranoie. Non è un problema. Finita una risoluzione di questo genere, credo di divenire superato, obsoleto, sicuramente inutile.
Io uccido.

130Where stories live. Discover now