Avrei tanto voluto non tornare qui mai più. Questa città non mi piace, non mi è mai piaciuta e le cose non cambieranno di certo adesso. Parigi mi ha sempre portato problemi, soprattutto la gente sin troppo invadente. I parigini sostengono di essere gente per bene e socievole, ma in realtà sono fastidiosi, curiosi e pettegoli, avidi ed egoisti.
Io in Inghilterra stavo bene. La gente si faceva sempre i fatti suoi e gli studenti del college avevano un quoziente intellettivo di gran lunga superiore a certi adolescenti di altre scuole comuni. Con loro potevi parlare di argomenti seri, ad esempio la nuova scoperta scientifica sulla biochimica oppure di qualche classico latino, non di certo argomenti banali e stupidi di cui parlano la maggior parte dei liceali, come la nuova cheerleader o il nuovo capitano della squadra di football.
Lo sport è una delle cose che non mi è mai andata a genio. Per carità, svolgo i miei esercizi di aerobica e le lezioni di jiu-jitsu tre volte a settimana, ma gli sport di squadra non fanno assolutamente per me. Preferisco l'autodifesa al rincorrere uno stupido oggetto.
Io sono Felix Agreste dannazione! Figlio del più grande stilista del ventesimo secolo, non di certo un deplorevole giocatore di rugby.
Io non capisco. No, non capisco assolutamente. Perché mai mio padre ha richiesto il mio ritorno in questo paese dopo due anni?
Cosa vorrà mai da me? Non gli è piaciuta abbastanza la solitudine? Oppure ha trovato altri metodi per rovinarmi la vita?
Mio padre nella mia vita è sempre stata un ombra, la mia di ombra.
Il suo intento è sempre stato quello di trasformarmi nella sua fotocopia e mi rincuora ammetterlo, ma ci è riuscito, nonostante tutti i tentativi di mia madre nel rendermi un bambino normale e spensierato.
Se non ho amici è per colpa sua. Ha sin da subito troncato qualsiasi rapporto di amicizia.
Non te ne farai mai niente dell'amicizia. Nella vita nessuno ti sarà mai amico.
Quanto era insopportabile.
Mi domando ancora come un angelo come mia madre abbia potuto sposare un uomo così freddo e privo di qualsiasi sentimento.
Non so cosa l'abbia spinta a restare con un uomo del genere. I miei nonni erano molto più che benestanti, mia nonna una famosa cantante lirica e mio nonno un regista cinematografico molto capace, non era di certo per una questione economica. Che lo amasse a tal punto da non notare il suo essere una carogna?
"Signorino Agreste, siamo arrivati."
La voce della nuova assistente di mio padre mi risvegliò dai miei pensieri.
L'autista mi aprì lo sportello dell'auto ed io mi inoltrai verso la grande villa, a quanto pare diversa da come la ricordavo.
Che papà abbia ristrutturato in mia assenza? Sinceramente non mi interessò granché in quel momento. Dovevo raggiungerla...
"Signorino la sua camera da letto è stata spostata al piano di sopra."
Quindi la facciata non è l'unica cosa ad essere cambiata.
"Mio padre ha modificato la planimetria della casa in mia assenza?"
Chiesi con nonchalance all'assistente che mi rispose solo qualche istante più tardi. Incutevo timore alla gente e la facevo sentire a disagio, uno dei miei più grandi pregi.
"Non solo, in poche parole ha ampliato e modernizzato tutta la villa."
Mia madre non avrebbe mai accettato una cosa del genere. Questa casa sembra quasi un hotel adesso.
"E le cose di mia madre?"
Le chiesi sta volta con gentilezza. Dopotutto svolgeva solo il suo lavoro e di certo ne avrà passate di tutti i colori con mio padre.
Lei con un mezzo sorriso mi indicò una porta in fondo al corridoio poco illuminato.
"Porta le mie cose di sopra e avvisa mio padre che entro un'ora sarò nel suo ufficio, per favore?"
"Come desidera signorino Agreste."
Mi avviai verso quel lugubre corridoio.
Ovviamente avranno esaurito tutte le lampadine per il gigantesco candelabro appeso al soffitto. Mi feci guidare dalla fioca luce di una lampada posta in fondo vicino alla porta.
Aprì la porta e tastai il muro in cerca di un interruttore che trovai dopo qualche secondo.
La luce si accese piano piano illuminando la grande stanza.
Erano lì. Tutti lì. I vestiti di papà per mamma, erano tutti incartati come reliquie di grande valore. I quadri di famiglia e tutte le foto e poi...loro.
Mi avvicinai ad una piccola mensola in fondo alla stanza. Proprio su di questa mensola bianca c'erano le sue scarpette da ballo color blu notte.
Mia madre amava ballare ed era anche molto talentuosa, aveva vinto molti concorsi di danza classica durante la sua giovinezza, ma non ha mai aspirato alla fama. A differenza dei miei nonni lei preferiva i comuni mortali alla alta società parigina.
I nonni infatti erano sempre stati sotto i riflettori e mia madre sin da piccola si rifiutava costantemente quel mondo. Lei non apparteneva a quel ambiente. Voleva sentirsi una ragazza qualunque, libera di avere i propri amici e di combinare guai senza che qualcuno la giudicasse. Odiava essere la figlia perfetta di due star, lo odiava profondamente.
Mi ricordo ancora quel giorno quando chiesi a mia madre come avesse conosciuto papà. Lei con il solito sorriso, era bellissimo, mi raccontò per l'ennesima volta quella bellissima storia.
Mentre raccontava aveva le guance rosee e gli occhi lucidi verso il vuoto, chissà cosa riusciva a vedere, a ricordare.
Lei durante la sua adolescenza era solita scappare subito dopo la scuola con la scusa di allenamenti extra per il concorso. E fu proprio in uno di quei giorni che incontro mio padre.
"Stavo andando al ponte vicino la Senna.
Li c'era sempre quel signore che vendeva i lecca-lecca, erano buonissimi Felix, i migliori della città. Te lo giuro!"
"E papà? Dov'era Papà?"
A quel punto cominciai a saltellare sul letto e mia madre mi prense in braccio e mi fece il solettico.
"Piccoletto mio, stai calmo."
Io ridacchiavo solare mentre lei mi rimise sotto le coperte.
"Tuo padre stava facendo uno dei suoi disegni seduto su di una panchina, era molto concentrato. Non mi aveva neanche notato. Io lo salutai ma sembrava che non mi avesse sentito. Quindi mi sedetti accanto a lui e presi dal mio zaino un fogliettino di carta, scrissi sopra una domanda e glielo misi sopra al suo quadernetto.
Solo in quel istante alzò lo sguardo verso di me.
Era sorpreso e scocciato nel vedermi, ma non proferì parola, scrisse sull'altra faccia del foglio la sua risposta.
Si chiamava Gabriel, un nome molto bello.
"E poi? Cos'è successo?"
Ogni giorno ci davamo appuntamento lì e sempre senza parlare ci scambiavamo questi bigliettini.
"Perché non parlavate? Non era più facile?"
"Sì, ma così era più divertente."
"Voi adulti siete strani."
"Hai ragione. Lo siamo davvero."
"Continua!"
"Giorni prima lo invitai al mio compleanno e come ogni anno i nonni mi avevano organizzato una mega festa."
"E non eri felice?"
"Tantissimo. Ebbi occasione di indossare il vestito bellissimo che mi aveva regalato. Era un vestito a sirena color blu notte con qualche dettaglio in pizzo e brillantini. Una favola."
"Il vestito che tieni nella stanza dei ricordi? Sì, tesoro proprio quello."
"Perché tieni tutte le tue cose in quella stanza?"
"È il mio rifugio. Un luogo pieno di ricordi.
Tutti dovrebbero avere una stanza dei ricordi. Tutto ciò che c'è in quella stanza fa parte di me e mi ricorda la persona che sono diventata, quella che sono adesso. E credimi che rifarei tutto da capo."
Quanto mi manchi mamma.
Mi spiace tanto se non sono il figlio che hai sempre desiderato. Avrei tanto voluto essere diverso, con te ero diverso, con te era tutto diverso.
Trattenni le lacrime e dopo un ultimo sguardo uscì dalla camera, la camera dei ricordi. Sono felice che nonostante tutto ci sia ancora.La mia nuova stanza era molto ampia e piena di libri, peccato che li avessi letti tutti, in Inghilterra c'erano tanti di quei libri.
In settimana credo di dovermene procurare degli altri.
Tutto sommato non mi dispiace l'arredamento, neutro e funzionale senza troppi ornamenti.
Dopo essermi dato una rinfrescata ed essermi cambiato di abiti mi avviai verso l'imponente ufficio di mio padre.
Bussai alla porta in attesa di un consenso che non tardò ad arrivare.
"Figliolo, bentornato."
Mio padre non era cambiato di una virgola, forse un po' più solare rispetto a due anni fa.
Era seduto dietro alla sua scrivania e sorseggiava quello che aveva l'aspetto di un tè verde.
"Lieto di rivederla padre."
Risposi meccanicamente senza cambiare espressione.
Senza altre inutili formalità andrai dritto al punto.
"Padre vorrei chiederle il perché della mia presenza."
Mio padre accennò un sorriso e poi con lo sguardo puntato sulla mia figura mi disse:
"È tempo di tornare tra la gente."
Sbiancai alle sue parole. Voleva mandarmi in una scuola pubblica?!
"Perché mai? Ho di certo molta più cultura di qualsiasi altro adolescente della mia età."
"Non tanto per l'apprendimento. La mia immagine ne risente. Non sono un padre pignolo che ha paura che il suo figlio prediletto frequenti una scuola pubblica. Non è così Felix?"
E riecco lì o suoi occhi affamati di fama e potere.
Dopo il compleanno di mia madre è diventato famoso. Era diventato un vero e proprio stilista di moda nel giro di pochi anni. Non si è mai interessato a me. Da quando sono nato ha messo al primo posto il suo lavoro.
Ancor prima di me.
Ancor prima di mia madre.
Forse è per questo che l'hanno uccisa in quel viaggio in Tibet.
Sono stanco. Non ho le forze necessarie per oppormi. Non sono abbastanza grande per farlo e al college mi è sempre stato insegnato a non contraddire e ad obbedire sempre e comunque al volere degli adulti prima della maggiore età.
Non mi resta altro che annuire sconfitto alle sue parole.
Per quanto non mi vada bene questa situazione devo dargli ragione.
"Domani inizierà il tuo primo giorno al François Dupont, la mia azienda finanzia la scuola. Non deludermi. Devi eccelere."
"Sì, padre."
Lui, il mio tormento più grande.Mirajane~🌸
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Creation & Destruction || Felix Agreste❤️
FanficBridgette è una studentessa che sogna di diventare una grande stilista di moda. Studia al François- Dupont di Parigi ed ha grande talento, non a caso è tra gli alunni migliori. Ha una personalità molto infantile, vivace e spensierata, ma anche goffa...