Capitolo 1

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Mi alzo spazzolandomi via la polvere dalle ginocchia, senza sapere bene cosa dire. Penso: 'Scusa, mi hai interrotto mentre cercavo di suicidarmi, puoi tornare più tardi?'

Così mi limito a fissarlo: ha dei lunghi capelli ricci castani, indossa una camicia e dei jeans attillati che risaltano la sua figura slanciata. Solo dopo aver notato la bottiglia di vetro che tiene nella mano destra mi accorgo che sta barcollando.

Fa qualche passo incerto nella mia direzione e, prima che uno dei due possa dire qualsiasi cosa, si piega in avanti e vomita.

Rimango ferma imbarazzata e aspetto. Non so cosa fare né cosa dire, così rimango lì impalata a guardarlo.

"Scusa, non sapevo ci fosse qualcuno" dice in un sussurro biascicando.

Alzo le spalle e lui mi raggiunge, sedendosi di fianco a me sotto al cornicione. Puzza di alcool e vomito.

Senza aggiungere altro mi porge la bottiglia, io declino l'offerta scuotendo la testa ancora confusa per quello che sta succedendo.

"Non so bene cosa si dovrebbe dire in queste situazioni. Ma credo di averti appena salvato la vita"

Lo guardo. "Dovrei ringraziarti?" gli chiedo.

La situazione è quasi esilarante: un'adolescente suicida salvata da un ubriacone.

Quanti anni avrà per sbronzarsi alle sei del pomeriggio? Potrebbe avere la mia età.

Guardo il cielo e sbuffo, stringendomi le ginocchia al petto.

Avevo scelto con cura il palazzo da cui avrei detto addio al mondo: avevo scelto uno di quelli più alti per non rischiare di cavarmela solo con un paio di braccia rotte, o peggio di passare il resto della vita paralizzata sperando che fossi morta. Avevo scelto uno di quelli meno frequentati, in cui non avrei rischiato di essere disturbata.

Eppure eccomi qui. Ancora viva.

Cosa dovrei fare ora? Aspettare che se ne vada? Cambiare grattacielo?

Forse se è arrivato proprio nell'esatto momento in cui mi stavo per buttare, un motivo c'è.

Dopo minuti di interminabile silenzio decido di alzarmi e mettere fine a quell'imbarazzante situazione andando via.

Tiro con forza la maniglia della porta, rimanendo sorpresa quando noto che non si apre.

"Non posso crederci" scatto, riprovando svariate volte ad aprire la porta.

Mi giro verso l'ubriacone aspettando una sua reazione, ma niente. Se ne sta con la testa nascosta tra le mani e la bottiglia quasi vuota di fianco alle gambe.

"Siamo bloccati qui" dico.

Alza la testa e scoppia a ridere, prima piano poi istericamente.

Sento il nervoso e la rabbia ribollirmi nelle vene, così tiro un calcio alla porta.

"Brutto coglione, è colpa tua se passeremo chissà quanto tempo chiusi quassù!"

"Puoi ancora buttarti di sotto, se vuoi" dice ironico alzando le spalle.

Deve essere uno scherzo divino, forse il karma, il destino o chissà che altro. Possibile che proprio non ne vada una giusta, nemmeno quando decido una volta per tutte di arrendermi e mettere fine alla mia vita?

"Come ti chiami?" l'ubriacone mi riporta alla realtà. Dio, quanto mi sta facendo incazzare.

"Sei bloccato su un tetto con una sconosciuta e non provi nemmeno per un secondo a cercare una soluzione?" gli chiedo acidamente ignorando la sua domanda.
"Sono le sei e un quarto di pomeriggio, gli uffici qui sotto sono già chiusi. Domani mattina alle sette, Mary, la segretaria, verrà a fumare qui come ogni giorno e ci farà scendere." risponde semplicemente, come se gli fosse successo altre svariate volte.

Decido di tornare a sedermi e rilassarmi. Qual è il problema di passare una notte all'aria fresca se non ho più nulla da perdere?

"Mi chiamo Sophia" dico quindi, arrendendomi.

Mi guarda sorpreso, come se non si aspettasse che sarei stata sul serio al gioco. Ha dei grandi occhi verdi e uno sguardo che non riesco a sostenere, infatti subito dopo torno a guardare il cielo.

"Tu?" chiedo.

"Harry" mi fa un mezzo sorriso. Dopo aver vomitato per ben tre volte sembra che si stia finalmente riprendendo dagli effetti dell'alcool.

"Non è la prima volta che resti chiuso qui fuori, eh?"
"No. Eppure mi dimentico sempre di tenere aperta quella maledetta porta."
"Come mai vieni qui così spesso?"
"Mio padre è il proprietario di questi uffici, anche se in realtà non è mai qui" mi spiega.
Mentre il cielo si fa più rosato e il sole si nasconde dietro lo skyline della città, Harry mi racconta che suo padre è a capo dell'intera Watchell Corporation, uno dei più importanti e famosi studi legali di New York.

Non scende nei particolari ma dal modo in cui parla di lui, capisco che prova una grande ammirazione per suo padre.
Mi spiega che quando non ha voglia di starsene a casa a studiare viene qui a dare una mano: per lo più fa fotocopie o mette documenti in ordine alfabetico, ma gli piace tenersi impegnato e prendere familiarità con l'ambiente che quasi sicuramente lo circonderà quando finirà gli studi.

"Tu come diavolo hai fatto ad intrufolarti qui dentro?" mi chiede quando ha finito.

Alzo le spalle, sorridendogli. "Ho preso le scale di emergenza sul retro"
Spalanca gli occhi e sbatte le palpebre ripetutamente, incredulo. "Mi stai dicendo che ti sei fatta più di venti piani di scale a piedi?"

Annuisco piano, ridendo alla sua reazione scioccata.

Se c'è una cosa che mi è sempre piaciuta, è correre.  Spingersi oltre ad ogni limite fino a non sentire più le gambe e fino ad avere i polmoni in fiamme, questa è l'unica sensazione che mi fa sentire viva.

"Sono stata un'atleta agonista fino a quando avevo dieci anni, poi mi sono rotta una gamba sciando e non ho più ricominciato" gli spiego.

Ho quasi smesso di correre per via del dolore al ginocchio che mi tormenta ogni volta che ci provo, eppure quanto mi piacerebbe tornare a passare i pomeriggi al campo sportivo.

"Wow" risponde Harry.
Prende fiato come se volesse dire qualcosa, ma poi scuote la testa e si guarda le mani.

Nonostante non abbia detto nulla sono consapevole che è curioso. Vorrebbe tanto chiedermi cosa mi ha spinto quassù, cos'è che mi tormenta tanto dal farmi volere morire.
Forse glielo direi, se non fosse che non lo conosco da nemmeno due ore.

Per un secondo mi balena in mente l'idea di raccontargli tutto, della mia famiglia, dei pensieri che non mi lasciano mai in pace, del vuoto che sento dentro di me.
Poi mi ricordo che non lo conosco per niente e che, se non fosse costretto qui con me, nemmeno a lui interesserebbe sapere tutte queste cose.
A nessuno interessa.

*****
Ciao grazie mille per aver letto il primo capitolo di questa storia, per favore fatemi sapere se vi è piaciuto

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