CAPITOLO 4

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Isabel

Kimon non aveva smesso di abbaiare per un attimo. Era nervoso, ma Isabel non riusciva a capirne il motivo. Si alzò all'alba e decise di portarlo a fare una passeggiata lungo la spiaggia. Avrebbe avuto modo di sfogarsi correndo avanti e indietro per la battigia.

La spiaggia era deserta, lo era sempre. Nessuno veniva lì. L'unico modo per arrivarci era passare proprio dal faro, e la gente non voleva avere nulla a che fare con lei, se la tenevano lontana, e di conseguenza quella piccola spiaggetta dove solo lei aveva accesso, era diventata sua. Le onde si infrangevano sulla spiaggia, poi il mare le tirava indietro. Isabel si chiedeva spesso come fosse possibile che il mare sapesse il limite che aveva, e non lo varcava mai, o quasi.

Si lasciò accarezzare dal vento che soffiava da ovest, era freddo, sarebbe stata una settimana di piogge torrenziali e venti burrascosi. I pescatori non sarebbero usciti con le loro imbarcazioni, e Isabel sperava che neanche quegli aerei avrebbero continuato a disturbare la tranquillità che si prospettava.

Continuava a camminare, ma poi qualcosa attirò la sua attenzione. Stava cercando Kimon con lo sguardo, dovevano rincasare. Il cane era qualche metro più lontano, aveva un'espressione seria e abbaiava in direzione degli scogli.

Isabel lo raggiunse e quando allungò lo sguardo nella stessa direzione, sentì il sangue raggelarle nelle vene.

Il pastore tedesco era bene addestrato, e al via della sua padrona ci mise solo una manciata di secondi per tuffarsi nell'acqua gelida e dirigersi verso la scogliera. Con il muso afferrò quello che era rimasto della maglia e con forza lo trascinò fino a riva.

Lei non riusciva a muoversi, sembrava paralizzata alla vista di ciò che aveva davanti.

Doveva fare qualcosa e pure molto in fretta, ma non ci riusciva, non era più riuscita a toccare un bisturi o a curare una semplice ferita a un paziente, da quella maledetta sera.

Il senso di nausea le pervase l'addome. Aveva visto la ferita che l'uomo privo di sensi riportava al lato destro della testa, proprio sulla tempia.

Il cane continuava ad abbaiare, e lei rimpianse per la prima volta da quando abitava al faro di essere senza un telefono.

Era un chirurgo, ed era suo dovere in quel preciso momento aiutare quell'uomo.

Si guardò intorno sperando che Carl arrivasse con la sua imbarcazione. Lo avrebbe portato all'ospedale più vicino e sarebbe finita lì. Ma Carl non c'era, lei era sola e doveva urgentemente soccorrere quella vita.

Con il solo aiuto di Kimon portò l'uomo al faro. Lo sdraiò sul suo letto, gli tolse i vestiti bagnati e lo asciugò coprendolo con più cose possibili. Era in stato di ipotermia, ma per fortuna era una cosa lieve. La cosa che la preoccupava di più, era la ferita alla tempia. Doveva essere disinfettata e ricucita nel più breve tempo possibile.

Tornò in cucina, si lavò le mani, prese la borsa con tutto il necessario dal vecchio mobile vicino al camino e tornò in camera da letto.

Quell'uomo aveva all'incirca 30 anni. Era alto e muscoloso, aveva i capelli corti e biondi. Una mascella pronunciata e un tatuaggio. Un àncora sulla spalla.

Isabel si strinse nelle spalle e sospirò, doveva riuscirci, non era quello il momento adatto per pensare al passato.

Ma quando tirò fuori ago e filo, sentì il cuore schiantarsi contro il petto, pronto a frantumarsi in mille pezzi.

Le ritornò in mente quella sera. La pioggia, le luci della sala operatoria, il bip incessante che segnava la fine.

Si alzò di scatto, si portò le braccia al ventre e indietreggiò. Kimon alla vista di Isabel si alzò mugolando, le andò vicino e le leccò una gamba.

Lei lo guardò con occhi lucidi. <<Lo so, ce la posso fare...>> Sussurrò debolmente.

Prese coraggio e si riavvicinò di nuovo.

Ci mise due ore per ricucire il taglio. Lo disinfettò e lo medicò con cura. Controllò se il battito del tizio era regolare, se la temperatura si stava stabilizzando e se il corpo stava rispondendo bene ai medicinali che lei stava somministrando.

Non si era neppure accorta che fuori il tempo era diventato nero. Le nubi grigie scuro e cariche d'acqua promettevano un forte temporale. Le foglie e l'erba che si muoveva preannunciavano l'arrivo di forti venti. Controllò il faro. Chiuse gli animali nella stalla e riempì le mangiatoie più del dovuto. Rientrò in casa, dove c'era Kimon che faceva da guardia al tizio che ancora era privo di sensi, chiuse le finestre e mise la legna nel camino. Poi andò a cambiarsi. Rientrò in cucina e mise la teiera a bollire. Aveva bisogno di una camomilla. Doveva calmarsi, non riusciva ancora a crederci che ci era riuscita.

Ma non sarebbe tornata lo stesso alla sua vecchia vita, non lo avrebbe fatto mai più.

Fissava le lingue di fuoco che facevano scoppiettare la legna, aveva salvato una vita, e quando quell'uomo si sarebbe ripreso se ne sarebbe andato e lei sarebbe rimasta di nuovo sola con Kimon.

Anzi, molto probabilmente il ragazzo che stava nel suo letto, avrebbe pensato che con qualche intruglio oscuro, lei lo aveva guarito.

Sorrise da sola per quel pensiero, poi si alzò, mise la tazza nel lavandino e andò a vegliare su quello sconosciuto.

Erano passati tre giorni da quando Isabel aveva trovato il corpo di quell'uomo sulla scogliera. Le piogge non era cessate un attimo, e gli aerei avevano sorvolato la zona più del solito. Erano tre notti e tre giorni che non chiudeva occhio. Doveva vegliare quell'uomo e lo aveva fatto nel migliore dei modi.

La pelle aveva iniziato a prendere più colorito, la ferita stava cominciando a cicatrizzarsi e la temperatura era quasi nella norma.

Si alzò dalla vecchia poltrona ai piedi del letto e si stiracchiò. Aveva i muscoli intorpiditi e le spalle e il collo le facevano un male cane. Kimon era rimasto anche lui sull'uscio della camera da letto per tutto quel tempo.

Sentì lo stomaco brontolarle, aveva bisogno di mettere qualcosa sotto ai denti. Andò in cucina ed estrasse la scatola di biscotti, ne mangiò qualcuno mentre si scaldò un po' di latte, finché non sentì il cane abbaiare.

Sapeva che sarebbe successo da lì a poco, e quando arrivo in camera da letto vide che l'uomo si era svegliato.

<<Come ti senti?>> Gli chiese mentre si sistemò il stetofonendoscopio alle orecchie, e posò l'estremità sul petto del ragazzo, all'altezza del cuore.

<<Sono in paradiso?>> Rispose l'altro lentamente.

Lei non poté non notare le sue iridi azzurro mare.

<<Non sei paradiso, sei ancora sulla terra.>> Gli rispose accennando un lieve sorriso.

Gli fece tutti i controlli necessari e poi gli disse che doveva ancora stare a letto. Lui la guardava strano e un po' intontito.

<<Cosa è successo?>> Le chiese poi una volta finito.

Isabel sgranò gli occhi incredula.

<<Non è possibile...>> Sussurrò.

<<Cosa non è possibile?>> Domandò l'uomo.

Lei si avvicinò di nuovo. <<Non ti ricordi nulla di cosa sia successo?>>

Lui scosse il capo in senso di diniego.

Aveva perso la memoria. La ferita alla tempia gli aveva cancellato i ricordi. Se n'è accorta quando aveva visto l'entità del danno, ma sperava si sbagliasse, e invece quel tizio non ricordava nulla.

Non sapeva proprio che fare. Per i successivi cinque giorni Carl non si sarebbe fatto vedere, e lei non sapeva a chi chiedere aiuto, e soprattutto correva il rischio di essere denunciata da qualcuno visto la sua reputazione. Non avrebbe potuto fare altro che aspettare, forse nelle ore successive gli sarebbe ritornata la memoria, d'altronde questo nessuno lo sapeva, neppure lei. In caso contrario avrebbe chiesto aiuto a Carl.

LA GUARDIANA DEL FARO  CARTACEODove le storie prendono vita. Scoprilo ora