1.Sbattuta nel niente e omini alle calcagna

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Mi guardo intorno, cercando una via d'uscita. Ci sono solo delle sbarre che mi circondano, facendo in modo di collegare tutte le prigioni. Solo dietro di me, e delle altre prigioni, la vista si affaccia su una roccia che crea un circolo, dove vi sono dalla mia parte i Detenuti, da come è scritto a caratteri cubitali nel corridoio che vi conduce alle prigioni, e davanti dei palchetti per le sentenze, in cui i Detenuti vengono scelti e avvisati della loro prossima sorte.

Non so cosa ci faccio qui, né perché ci sono finita. Non ho memoria, solo visioni sfocate di una vita illeggibile. Accanto alla mia prigione ce ne è un'altra, in cui è rinchiusa una ragazza dall'aspetto orribile. Mi fissa, con occhi vacui e addolorati.

Mi avvicino alla sua sbarra, e ci appoggio la testa. È completamente arrugginita, ma ne vale la pena di conoscere qualcuno. <<Perché mi fissi?>> chiedo, speranzosa di attaccare discorso con qualcuno. Le mi salta addosso, o meglio, salta addosso alle sbarre, sferragliando colpi a caso, provando a colpirmi. I suoi capelli platino raccolti in una coda disordinata svolazzano senza una direzione. I suoi occhi mi penetrano, trafiggendomi come una spada nel petto. <<Non so cosa ho fatto per trovarmi qui!>> esclama lei urlando, sembrando tornare normale, mentre si sistema i capelli in due trecce lunghe sulle spalle, intrecciandole per bene. Si siede a terra, e poi cerca di dirmi qualcosa, ma senza risultato.

Prendo una coperta, la poso a terra, sedendomi davanti a lei, divise dalle sbarre. <<Penso di chiamarmi Breanna. Non ho memoria. Sono persa nel pensiero del niente>>

<<Io penso di chiamarmi Grace>> ipotizzo ugualmente a lei, sedendomi sulla coperta, arricciandomi una ciocca di capelli sul dito. Ci guardiamo, e poi dico <<Ricordi qualcosa?>>
Lei scuote la testa, la metà dei capelli sciolti davanti al viso ondolano lentamente. <<Una pietra. Un mondo diverso. Una distesa verde con un castello. Dei fiori che sbacciano. E basta>> risponde tranquillamente. Poi mi indica. <<Io ricordo una stanza. Pieno di strani oggetti, come fosse una biblioteca abbandonata da secoli. Un ragazzo che mi fissa in lontananza. Una balconata con una vista su una stanza enorme, dal pavimento pieno di mosaici circolari a spirale. E nient'altro>>

Proprio appena termino la frase, apostrofando l'ultima parola, qualcuno sbatte un bastone in alluminio sulle sbarre. È un omino basso, con un occhio segnato da una cicatrice, dall'espressione spietata. <<Dammi la pietra che hai al collo>> mi minaccia con un dito storto e dall'unghia giallognola.
Chino il capo e guardo una collana nera con un pendente a goccia trasparente, con un liquido azzurro al suo interno.
Torno con lo sguardo sul tizio, e scuoto la testa, esclamando un "no" secco.

Il tizio davanti le sbarre si copre la bocca con la mano, per sbadigliare, e per successivamente starnutire sonoramente. <<Bene. L'hai voluto tu>> dice semplicemente, accennando un sorriso malefico. Sbatte il bastone a terra per tre volte, e dei passi affrettati sembrano provenire dalle scalinate. Quando cessano, davanti a me ci sono più di venti omini, uguali a quello davanti a me, che sbadigliano a turni alternati, creando una sinfonia davvero fastidiosa. Aprono le sbarre, o meglio, ci passano letteralmente dentro, come fossero invisibili. I loro corpi oscillano di quà e di là, nella mia direzione.
Mi attacco alla parete dietro di me, sbattendo la schiena contro le ruvide sbarre arrugginite. Si avvicinano sempre di più, dicendo cose del tipo "amuleto" oppure "uccidiamola". Ma che cosa ho fatto mai di male per meritarmi queste fecce fetide e putride che desiderano solo saltarmi addosso? Voglio delle spiegazioni, e le desidero il più presto possibile.

Poco dopo non sento più le sbarre dietro la schiena, e il panico mi assale. Guardo dietro: il vuoto mi circonda. Perdo l'equilibrio, e cado nel niente, nella fossa comune dove penso buttino i cadaveri dopo la loro tragica esecuzione.
Per fortuna mi riesco ad aggrappare alla pietra della mia cella, restando penzoloni nel vuoto. Guardo in basso, e poi in alto: il tizio che mi aveva chiesto la collana è davanti a me. O meglio, sopra di me. Lo fisso, e luo ricambia sorridendo maliziosamente. <<O mi dai la collana, o ti spingo nella fossa. Hai tre secondi per decidere la tua sorte. Uno. Due>>
Stacco con la mano sinistra la collana dal mio collo, e poi tendo la mano verso il vuoto.
<<Se la vuoi valla a prendere>> rido.
Lui si tappa la bocca, coprendo i denti gialli. <<Cosa ti salta in mente, Aduial?>> chiede una voce maschile dietro l'omino.
È un ragazzo moro, con un ciuffo a parer mio troppo folto di capelli. Viene nella mia direzione, e quando arriva sopra di me, mi tende la sua mano. Io inserisco la collana nella tasca dei pantaloncini strappati che sembrano piuttosto delle coulotte bianche e troppo attillate completamente sporche, peggio se mi fossi rotolata a terra. Gli porgo la mano, e lui mi aiuta a tirarmi su, nella cella.

Mi sistemo, mettendomi in piedi. Lui prende un bracciale in metallo da uno degli omini e lo mette intorno al mio braccio.
<<Benvenuta nel Sottomondo, Smith>> esclama, uscendo a grandi falcate dalla cella.
Le sbarre compaiono di nuovo nella stanza. Rimango immobile e basita, controllando a cosa serva il bracciale nel braccio in metallo, che stringe in una maniera accidentale.

Smith. È il mio cognome. Non avrei mai pensato di chiamarmi con questo strano nome, Grace Smith. Faccio segno agli omini di sparire, e quello più grande e alto mi minaccia di nuovo, per la seconda o terza volta con il dito storto. <<Tu>> dice. Lo ripete minimo quattro volte, per poi uscire dalla cella, lasciandomi la chiave della cella a terra, o meglio, lanciandomela contro, addosso.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 23, 2017 ⏰

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