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Domenica, stesso caffè, stessa storia. Sto cercando di riprendermi dalla nottata appena trascorsa, i ricordi sono molto vaghi e lontani al momento. Non prendetemi per uno che fa del divertimento tutta la sua vita, mi piace divertirmi, ma nel modo giusto e moderato. Vivo in un appartamento, quinto piano di un grande palazzo blu. Vivo da solo, ma va bene così, pare che i miei familiari non siano molto contenti di portare il mio stesso cognome. I motivi? Ignoti alla mia persona. delle volte vengono a farmi visita mia madre e mia sorella maggiore, le uniche persone che mi sono sempre state vicine, anche dopo la mia decisione di andare all'università di Los Angeles. La mia famiglia non è mai stata ricca, ma al liceo avevo i voti, e spesso i voti portano a due cose: ai soldi o alle grandi possibilità di studio. Quando finì il liceo, in un giorno qualsiasi, dovetti sbaraccare camera mia da tutte quelle cianfrusaglie da ragazzino di diciotto anni e cercarmi una casa e iniziare a costruirmi un futuro. Voi penserete che andare a vivere da soli sia uno sballo: non hai orari, ci porti chi vuoi, puoi fare e mangiare quello che vuoi. Anche io lo credevo, fino a quando non realizzai, dopo due anni, che ci sono ben altre cose a cui pensare. Ad esempio: 'oh no sono arrivate le bollette, oh no devo pulire, oh no devo fare la lavatrice'. E alla fine le tue aspettative di vivere tranquillo e sereno finiscono quando alle nove della sera la tua vicina di casa vecchia e scorbutica si lamenta della musica classica che ascolti. Per il resto sono una persona molto monotona, stessa musica da sempre, stesse pietanze, stesso giornale del lunedì mattina, stessi canali in tv, stessi vestiti, stesso modo di sistemare il letto alla sera prima di dormire, ma soprattutto stesse abitudini. L'unica cosa che si salva in mezzo a questa montagna di merda (la monotonia) è il mio lavoro, che pratico da ormai due anni. All'università spendevo interi pomeriggi a fantasticare sul mio futuro, un po' mi aspettavo come sarebbe stata la vita da insegnante, ma non mi sarei mai aspettato che al primo anno di insegnamento i bambini avrebbero iniziato a mangiare vermi e pastelli a cera. così decisi di mettere le carte in regola e seguire dei corsi, perché non ero abbastanza pronto (almeno dal mio punto di vista). E devo dire che ho imparato davvero tante cose da questi adorabili marmocchi. Sono sempre alla scoperta di nuove emozioni, sono sempre desiderosi di imparare qualcosa di nuovo e poi hanno la mente spensierata, libera, a volte li invidio. Non ho molti amici qui, ma mi è capitato di andare in alcuni locali e conoscere amici dei miei amici che puntualmente mi chiedevano con tono altezzoso: 'ma cosa ci guadagni a fare l'insegnante?' E io, amante del contatto visivo, rispondevo freddamente 'insegnare a loro quello che i genitori come voi non riescono a capire. Sai, i bambini hanno una mente molto aperta' per poi andarmene scocciato. Mia madre mi dice ancora oggi che da piccino ero un tenerone e mi addormentavo dandole i bacetti sulla guancia, mia sorella diceva che da ragazzino ero una mente indomabile, e io penso di essere un mix di questi due caratteri.

Sono passati ormai tre anni, ma posso ancora raccontarvi cosa è successo in tutto il mio secondo anno di insegnamento nella scuola materna più antica di Los Angeles. Durante il mio secondo anno di insegnamento ero l'unico uomo in tutta la scuola. Ragion per cui ero molto ammirato dalle mie colleghe. Nella scuola, c'erano dieci classi, e ogni classe aveva dieci alunni dai tre ai quattro anni e un solo insegnante. Quell'anno ero capitato nella classe numero tre, sezione c. Il quindici settembre andai a scuola un po' prima per sistemare le mie cose nella nuova classe, Ad esempio i vari fogli, il registro e altre cose che vi potranno sembrare noiosissime. Arrivai all'incirca una mezz'ora prima, e dopo aver sistemato le cose e aver salutato le nuove colleghe mi immaginavo i bambini di quest'anno e cosa avrei imparato da loro durante quell'anno. e poi ricordo che quell'aula si riempì all'improvviso di mamme e babbi che accompagnavano i loro piccoli figlioletti. Il nostro preside aveva deciso di assegnare alle classi cinque femminucce e cinque maschietti. Subito feci la conoscenza dei miei futuri bambini e spiegai alle loro famiglie cosa avrei fatto durante l'anno. Il primo giorno era sempre molto leggero: facevo le mie presentazioni, chiedevo ai genitori se avessero qualche domanda o dubbio, e poi facevo fare loro un disegno o giocare con i giocattoli della scuola. Era una giornata piovosa, tanto che per fare alcuni disegni dovetti accendere le luci, poichè il cielo era piuttosto scuro. Seduto nella mia cattedra rileggevo l'elenco della classe cercando di associare ad ogni nome una faccia presente in quell'aula. Cercando di non pensare a tutti i commenti che le mamme presenti fecero su di me, sul mio fisico e il mio modo di parlare molto lento. Mi piace scandire le parole e non avere incomprensioni in seguito, tutto qua. Ad un certo punto notai un alunno in meno, un certo Leif Tomlinson, suonava molto strano e non ricordavo di averlo pronunciato quella mattina. 'Verrà domani' pensai quando ormai la giornata era giunta al termine; alle dodici la scuola era praticamente vuota, sentivo solo il rumore della scopa della bidella che puliva il corridoio mentre canticchiava qualche canzone. La salutai con un ampio sorriso per dirigermi verso l'uscita. Mi ricordo che, seduto in una panchina accanto all'uscita notai un ragazzo. Subito aprì la bocca per dire il mio solito 'arrivederci', un primo momento pensai che fosse un figlio di una mia collega molto anziana, che adesso è in pensione. Quando io pronunciai la prima lettera, la sua voce sovrastò la mia, quindi parlammo praticamente contemporaneamente.

hans sønn (larry)Where stories live. Discover now