'Professor Styles?' chiese serio. Il suo forte accento mi colpì. Cercai di mantenere il sorriso che pochi istanti prima avevo riservato alla mia collega, nonostante lui non avesse intenzione di ricambiarlo. Dopo pochi istanti notai le occhiaie marcate e la voce rauca. Mi concedetti degli istanti per rendermi conto che era più basso di me, questo mi imbarazzava un po'.
'Sono io,lei chi è?' chiesi cortesemente. Non nego che in quel momento speravo facesse il più presto possibile, la mia cartella cominciava a pesare. 'Posso parlarle fuori di qui?' ci fu una pausa 'magari in un bar..' un'altra pausa 'o anche qua fuori semplicemente, magari in piedi, come preferisce..' e fui io a spezzare quella pausa che si stava formando. 'certo che mi può parlare, c'è un bar qua vicino. possiamo andare là.' Dissi tranquillamente. Non sapevo chi fosse, non sapevo il suo nome, non sapevo nemmeno che cosa mi volesse dire, ma aveva un evidente bisogno di parlare con qualcuno. Frettolosamente posai la borsa in un angolo, chiedendo alla bidella se la poteva sorvegliare per me. mi ricordo che intanto quel ragazzo mi stava aspettando fuori. Una volta arrivato fuori mi meravigliai del suo abbigliamento: portava una felpa oversize (dove praticamente lui ci navigava dentro) e dei pantaloni color senape con delle strisce piccole nere, non ricordo altro. Certo, l'estate era appena finita, ma la temperatura non andava sotto i ventitrè gradi, ragion per cui io indossavo i miei soliti skinny jeans neri e una camicia color salmone, a maniche corte. Era poggiato al muretto, stava accendendo la sigaretta, sembrava il tipico ragazzo del liceo che faceva le cose di nascosto. sporse il suo pacchetto verso di me, lo ringraziai e gli dissi che non fumavo. dopo aver fatto il primo tiro cercò il mio sguardo. "Hai trovato proprio la persona che del contatto visivo fa la sua religione" pensai tra me e me. 'tu' disse semplicemente. 'Possiamo darci del tu?' disse. Ancora nessun sorriso nel suo volto, ma io non mi arrendevo. Per quanto difficile, distolsi il mio sguardo dal suo e risposi a tono. 'Lo farei, se solo sapessi il tuo nome' dissi quasi ridendo.
Senza dire niente si incamminò e io dovetti seguirlo. 'Mi chiamo Louis Tomlinson, sono un genitore di un bambino, che oggi non era presente a scuola.' disse un po' più tranquillo. fortunatamente il bar non era molto lontano, bastavano pochi passi per raggiungerlo. 'Leif Tomlinson?' e lì, si gelò di colpo per poi fare finta di niente. Eravamo arrivati. Non ricordo i particolari di quell'istante, mi ricordo che nel giro di pochi secondi ci trovammo seduti ad un tavolo. Avete presente quel chiasso assordante che nella tua testa si trasforma in silenzio? Ecco, questa era la sensazione che provai quando incrociai il suo sguardo per qualche attimo. Blu. Indescrivibile. Pupille dilatate, sclera color latte e la parte più esterna dell'iride era un po' più scura. ero senza parole. 'Umh, per me una birra media' dissi alla cameriera mentre poggiavo le mie chiavi sul tavolo. notai che mi guardò con un sorriso interessato per poi rivolgere l'attenzione alla cameriera 'anche per me una birra media'.
Luci alte, chiasso, due birre medie, insomma, iniziò così il mio secondo anno.'Non volevo parlare di questo argomento all'interno della scuola perchè..' si grattò i capelli socchiudendo l'occhio destro, inclinando la testa. 'Non importa, dimmi pure' dissi impaziente. 'Ho bisogno che tu ti prenda cura di mio figlio. teoricamente si chiama Leif, ma io lo chiamo alexander' disse. 'Sono un'insegnante, mi sembra che prendermi cura dei miei alunni sia il mio lavoro all'interno della scuola' dissi aggrottando le sopracciglia. 'No no..' disse un po' incerto 'Mio figlio è autistico.' disse poggiandosi allo schienale. Distolsi lo sguardo per pensare a quello che mi disse. 'Mi è stato comunicata questa notizia circa due giorni fa, e la sua psicologa mi ha detto che ci vorrà del tempo, forse mesi, prima che gli venga affidato un sostegno, quindi volevo sapere se questo era un problema' si stava inceppando. Dopo aver mandato giù un sorso di quella birra amara dissi: 'farò del mio meglio. e no, non è un problema per me. Posso capire quanto possa essere difficile, accettare la cosa, trattare la questione e trovare delle persone che trattano tuo figlio esattamente come vuoi tu. ma farò del mio meglio, promesso'. In quel momento, il suo viso si illuminò. e un sorriso gli incorniciò il volto. 'Non pensavo sarebbe stato così semplice, non so come ringraziarti' disse molto più tranquillo. e il chiasso scompariva. 'Non ringraziarmi, è il mio lavoro, e fortunatamente è una delle cose che mi piace di più; adesso facciamo un brindisi' dissi sollevando il bicchiere in aria, mi ricordo che i miei anelli fecero un po' di rumore a contatto con il bicchiere di vetro.
'Perché ridi?' chiese spaesato. 'Hai i baffi pieni di schiuma' dissi divertito. Mi sembrava di esser tornato ragazzo, quando con il mio amico Thomas andavamo in un bar dopo ogni esame. Con Thomas mi sentivo libero, ma con Louis, era un altro livello di libertà. Probabilmente adesso so come mi sentivo, ma al tempo ero piuttosto incerto. Dopo varie battute e risate mi sembrava di aver ritrovato un'amico d'infanzia, su cui ridere delle cose più stupide e ricordare i vecchi tempi; e invece era solo Louis. Padre di un mio alunno, sconosciuto fino a quel giorno in cui decise di parlarmi. 'Come hai fatto a sapere che ero proprio l'insegnante di tuo figlio?scusa, ma non so ancora come chiamarlo'
'io lo chiamo Alex. comunque, non so dove tu possa abitare, ma la scuola è al centro di un quartiere non molto ampio, le voci girano e rigirano, a momenti la gente sa anche quante medicine prendi la mattina(tu, inteso come le persone in generale).' disse per poi bere un sorso di birra. "Almeno anche lui evita le incomprensioni" pensai. 'Stavo dicendo, si parlava molto di te. Si parlava dei tuoi capelli lunghi, dei tuoi tatuaggi, della tua altezza, del tuo modo di vestire..e si parlava anche della tua vita sessuale, ma penso fossero solo voci di corridoio inventate dalle persone ormai divorziate da tempo, solo per sfizio. Poi un giorno, a giugno ti ho visto nella mia galleria d'arte, con i tuoi alunni dello scorso anno. Tutti mi parlavano bene di te, nel senso, dicevano cose tipo -è un bravissimo insegnante, mio figlio è molto legato a lui- e cose simili. Il giorno in cui mi hanno detto che Alex sarebbe stato nella tua classe, era lo stesso giorno in cui una grassona mi disse contenta: 'Signor Tomlinson, suo figlio è autistico, come se fosse una cosa da niente.' disse. 'E tu cosa pensi di me?' mi importava sapere la sua opinione sul mio conto. 'Beh, di certo penso che saprai badare a mio figlio' disse incrociando le mani, in posizione come se volesse pregare da un momento all'altro. 'Non esiste un libro che ci insegna a vivere, e nemmeno un libro che spiega come fare i genitori, quindi diciamo che si improvvisa nel modo che ci sembra più giusto, seguendo delle regole imposte da delle persone che hanno vissuto le nostre stesse situazioni prima di noi.' dissi guardandolo. Il suo sguardo era volto al bicchiere ormai vuoto. 'Sei una brava persona' disse con un sorriso triste. 'sai che non ti guarderà mai negli occhi, farà sempre le stesse cose, dirà sempre le stesse parole per mesi interi, non sarà affettuoso. sai che ti farà perdere la pazienza?' disse serio. 'Louis, ho detto che mi piace il mio lavoro. ma non ho mai detto di volere un lavoro noioso'. Dopo il sorriso che mi riservò dopo la mia affermazione, posso ancora dire ancora oggi che la vita mi mise a dura prova.
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hans sønn (larry)
Fanfiction'Non ti guarderà mai negli occhi, ti farà perdere la pazienza e il sonno, ma imparerai ad amarlo ugualmente. E quando tutti i tuoi sforzi sembreranno gettati al vento, capirai e proverai che tutto questo sarà ripagato anche solo da un abbraccio spon...