Atto Uno

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Nella sala d'attesa non volava una mosca, il suono del condizionatore era così lieve che l'unica cosa che poteva infastidire il signor Aurelio De Laurentiis era l'attesa.

Accidenti a quei due! Non ci voleva essere lì, nello studio. Certo, era stata sua iniziativa quella di accompagnarli, per dar loro supporto morale e per tenerli d'occhio. Ma la volta successiva avrebbe trovato una scusa convincente per non dover affrontare questo stress. Il non sapere lo metteva in difficoltà. Il dover aspettare senza poter fare niente di buono (o di cattivo) era inutile e fastidioso. Restare lì da solo a sbirciare fuori dalla finestra il colore del cielo pomeridiano struggeva quasi quanto facesse la ragione per cui si trovava lì ad attendere con le spalle attaccate al muro. Non gli era mai capitato prima di essere inerme e privo di risorse, e siccome il campo sanitario è esigente sul silenzio, ciò che gli toccava era sperare che dalla porta alla sua destra uscissero il suo adorato figlioccio napoletano e il suo compagno amato, il più velocemente possibile.

Da quando Aurelio aveva acquistato un appartamento nel centro storico di Napoli era molto più frequente che si ritrovasse Lorenzo Insigne e Luigi Sepe in casa piuttosto che i suoi veri figli Luigi, Valentina ed Edoardo. "Veri figli" sta per figli biologici, quelli avuti con la sua cara moglie Jacqueline. Ambo gli storici coniugi, ad ogni modo, sapevano di aver acquisito altri due giovanetti da quando Napoli era diventata la loro realtà. Lorenzo e Luigi erano delle pesti in formato medio-gigante ma sapevano farsi voler bene, soprattutto da un passionale come lui.

L'affetto, quindi, al di fuori del contesto calcistico c'era eccome nei riguardi dei due scugnizzi e, non per creare delle gerarchie, Lorenzo era più il cocco del papà, mentre Luigi della mamma. Ciò significava ovviamente che Aurelio aveva sempre un occhio di riguardo per il napoletano di Frattamaggiore e che, come si era già visto nel corso dell'ultima estate, avrebbe cercato di accontentarlo quanto più possibile. Litigavano, certamente, ma dopo i bisticci campati in aria, azzeccagarbugli e patrocinatori a presenza facoltativa, tornavano sempre sul divano di casa De Laurentiis a chiacchierare della Lazio o di quanto facesse schifo Higuaìn.

A dir la verità loro avevano proprio tanti punti di incontro e il primo era il piacere di parlare. Non importava di che cosa, anche se spettegolare su qualcuno oppure ricordare gli interessi del passato erano gli argomenti principali. Lorenzo, più del Patron, aveva quella vena irruente che gli impediva di bloccarsi nel momento in cui bisognerebbe farlo, perciò aveva urgenza di uno specialista che gli desse una spinta a capire quale fosse il culmine di una discussione, di un'azione, di un evento e come non raggiungerlo.

Il signor De Laurentiis aveva lo stomaco attorcigliato per la noia e per la consequenziale agitazione, ma avrebbe tenuto duro per il bene del suo pupillo.

« V-vede, il problema è che... » la flebile voce esitò « lui esagera ».

All'interno dello studio di psicoterapie in Via Pessina, da una parte del muro attendeva il Presidente, mentre dall'altra c'era una stanza, rigorosamente insonorizzata, in cui Dries Mertens, con un italiano foneticamente improponibile, ma sicuramente più corretto sintatticamente di quello di Lorenzo, cercava di spiegare per l'ennesima volta come stesse la situazione.

« Non è vero, tu vire 'e fantasmi o' scé! »

« Ecco, ha visto? Ha scaldato la voce per niente. »

Dries era stato molto entusiasta della proposta di Aurelio, perché, quantunque non disdegnasse le attenzioni che Lorenzo gli rivolgeva in ogni momento della sua vita, capiva bene che il problema non fossero i suoi gesti, bensì la gente attorno. È da stupidi pensare di potersela cavare fra sciacalli e mostriciattoli da guerra. Una notizia simile avrebbe potuto soltanto creare sgomento e scandalo. Avevano quindi convenuto a una scelta, ossia quella di restare discreti finché fosse stato sicuro. Nessuno dei tre voleva nascondere ciò che i due attaccanti provassero l'uno per l'altro, per carità, ma bisognava farlo per una riguardosa quantità di motivi.

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