"Coprimi gli occhi e fammi sfiorare le tue labbra"

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Seo Changbin viveva con il nero nel cuore e le cuffiette nelle orecchie

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Seo Changbin viveva con il nero nel cuore e le cuffiette nelle orecchie. Il buio contornava le sue giornate come fosse una nube immensa e fitta, talmente forte da oscurare il sole luminoso non facendolo nemmeno intravedere.
Invece, la colonna sonora della sua ancor breve vita permetteva di isolare, lui e i suoi pensieri, dal resto del mondo. Questo mondo tanto ingiusto. Mondo che Changbin odiava con tutto se stesso, mondo che vorrebbe tenere in una mano e schiacciare utilizzando tutta la rabbia repressa e sepolta sotto terra durante il passare della sua fanciullezza.
A dirla tutta, per essere più precisi, Changbin odiava le persone che vivono su questo pianeta credendosi i re indiscussi e padroni delle proprie vite e di quelle altrui. Ha sempre pensato che fosse meglio non pensarci e basta; avrebbe scordato, in un modo o nell'altro, la voglia di lasciar andar tutto per la propria strada e voltare le spalle al suo destino, scappare dove nessuno avesse potuto disturbarlo e vivere felicemente, come i suoi sogni gli avevano suggerito dal principio. Purtroppo, però, si era promesso, in un momento di follia, che avrebbe resistito ad ogni costo per se stesso. Avrebbe superato l'indecenza e sarebbe riuscito, con uno sbuffo e il cappuccio in testa, a camminare in questa folla di disperati.
Si massaggiava la testa infinite volte durante la giornata, perché quell'insopportabile ronzio non voleva proprio saperne di lascialo in pace. Come una voce roca e brusca che lo rimproverava, continuamente e senza sosta, per le sue azioni irresponsabili compiute in passato, ma altresì ciò che il suo istinto lo spingeva a fare anche nel presente. Changbin si sarebbe volentieri tagliato la testa piuttosto che sentirla, e invece metteva cappelli e cappucci, in modo da isolarla e non farla scappare via. Masochista.
Egli, con tanti sforzi, aveva costruito una robusta corazza che potesse proteggerlo dal mondo esterno, eppure non era in grado di dire con certezza se soffrisse maggiormente in questa maniera o quando, in un tempo non molto lontano, era stato un libero e allettante bersaglio per il demonio.
Nonostante ciò non se ne pentiva ed era sicuro che l'avrebbe rifatto in tutte le sue vite future. Era fatto così Changbin, preferiva piangere sui propri vestiti e soffici sogni frantumati dalla grandine che versare lacrime su spalle di estranei verso i quali non aveva un minimo di fiducia.
Sarà stato un ragazzo sfortunato a trovare, nel corso della sua confusa strada, solamente persone capaci di deludere e nient altro? Ciò che lo consolava era il pensiero di non essere l'unico in una simile situazione demoralizzante; quanto gli alberi in pieno inverno. Certamente sperava non fossero gli unici a poterlo comprendere appieno.
Sognava il paradiso consapevole di non essere ancora in grado di raggiungerlo, ma viveva con l'acquolina sulla punta della lingua e gli occhi brillanti come due pezzetti di vetro illuminati dai raggi dell'alba.
Changbin conosceva Felix. Felix era un qualche paradiso terrestre secondo il ragazzo più grande e, malgrado odiasse gli uomini più di qualunque altra forma di vita, Felix venne considerato, dal loro primo incontro, un tesoro nascosto. Egli si caratterizzava per il suo strano accento dovuto al più o meno recente trasferimento dall'Australia, era di bell'aspetto, giovane, privo d'imperfezioni, puro e pulito. Era abile nel socializzare, tant'è vero che capitava raramente fosse malvisto da qualcuno, sebbene non avesse ancora una padronanza completa del coreano. Rappresentava un modello, un esempio da seguire, il primo fiore di primavera. Felix era un nome da pronunciare con la bocca al sapore di arancia e cioccolato al latte, udirlo rinfrescava le orecchie da parole di passaggio fermatesi crudelmente, impedendogli la tranquillità. Si potevano toccare, con la punta delle dita, senza paura, i suoi capelli morbidi e, abituandocisi, quando gli capitava di non vederlo il giorno dopo, le sue mani soffrivano e pativano la solitudine.
E sapevano essere spietate, le giornate in cui la risata di Felix era assente, perché essa alleggeriva la pesantezza delle responsabilità. Felix aveva diciassette anni quando conobbe Changbin, e lui, più grande di due anni, respirò per la prima volta il dolce e delicato profumo della libertà, ma che non gli apparteneva minimamente. Cercò di afferrare disperatamente i polsi esili del ragazzino, ricevendo in cambio un sorriso. Quel sorriso parlò e, con una voce inimmaginabile, propose di attendere, portare pazienza, avere speranza nel cuore e negli occhi. Changbin chiedeva spesso all'amico se sapesse la motivazione della sua grande sfortuna e tristezza, senza, però, trarne mai una risposta, ma amabili carezze sulla guancia, seguite dal calore del suo capo sulla spalla, e silenzio. Il silenzio di un ragazzo che in quel momento stava amando lo hyung come non aveva mai fatto con nessun altro.

A queste vicende se ne susseguirono altre ancora. Ancora e ancora. Sembravano infinite, solitarie, distaccate l'une dalle altre, ma che invece componevano un grande puzzle, il quale prendeva il nome di Firmamento, ed era così luminoso al di sopra dei loro sogni, loro che erano giovani e confusi, giovani e stanchi, giovani, sempre più giovani. Sebbene Changbin non si trovasse a suo agio nel esporre la sua frustrazione e rabbia nei confronti dell'imminente destino che attende pazientemente ognuno di noi sulla soglia della fine, con Felix si dimostrò dal principio disposto a parlare tutta la notte, tutte le notti, fino ad addormentarsi assieme alla nascita del dì. Lo ricopriva di domande e attenzioni; domande a cui non sapevano rispondere entrambi e attenzioni che gli tenevano il corpo caldo nonostante facesse davvero freddo. Era un calore strano e familiare, così familiare da sembrare quello lontano della mamma.
Changbin sapeva quanto la lontanza potesse far male, così non voleva che Felix soffrisse, perché talmente prezioso com'era non meritava di vivere momenti tristi.

Ed era proprio lì che Changbin si sbagliava e Felix, un giorno, decise di parlare come non aveva mai fatto.
Il tramonto aveva trascinato con sé il vento e i sospiri di stanchezza, dovuti ai problemi giornalieri, e restituendo ai due amici il respiro e la forza di tenere una piccola conversazione, com'erano abituati a fare ormai da un tempo che sembrava non esser mai cominciato. Si trovavano seduti sul pavimento congelato di un terrazzo, esposti al freddo invernale e alle paure della notte imminente. Guardavano il cielo chiedendosi se, magari, rimanendo ad ammirarlo, gli anni sarebbero potuti passare più lentamente, ma non arrivando ad una risposta. Come sempre.
Felix parlò non staccando gli occhi perlati dai colori nel mondo: "ho bisogno di piangere"
Changbin sentì la sincerità delle sue parole bruciargli il petto: "ma tu mi rendi la vita così bella da farmi dimenticare totalmente i motivi per cui dovrei farlo." Finalmente Felix e Changbin si guardarono. Gli occhi ora opachi di Felix restituivano a quelli spenti di Changbin tutti i gesti d'amore e le parole d'incoraggiamento: "la vita è fatta anche di lacrime, Chang. L'oceano è lacrime, la pioggia è lacrime. Tu e io siamo lacrime. Quindi fammi piangere o m'illuderò che anche quando non ci sarai io potrò essere felice." Solo per qualche minuto il silenzio seppellì le parole di Felix.
"Mi vuoi talmente bene, non è vero?" Changbin rispose di sì chinando il capo, così Felix continuò: "allora piangi con me. Voglio versare lacrime infinite sulla tua spalla, hyung." Si guardarono.
Quella di Felix era una preghiera fatta male, erano parole sbagliate e insensate, parole di un ragazzino perduto tra sorrisi e abbracci, risate e Camel al chiaro di luna. Ma lui capì e comprese: "sarà stato il voler che tu non provassi ciò che provo io" la sua voce, calma all'apparenza, tremava come una foglia spazzata via da un uragano di delusioni e schiaffi sulle guance candide. Per poco si sentì in colpa di voler privare il suo piccolo amico di tali esperienze, ma non è quello che Felix voleva e lui ne era a conoscenza: "vorrei scusami ma non servirebbe. Vorrei sorriderti ma non sarebbe un vero sorriso. Vorrei davvero che tu fossi felice per sempre ma non è possibile. Perciò attenderò i tuoi pianti senza avere l'intento di bloccarli o deviarli. Non saprò come comportarmi e allora semplicemente ti stringerò, va bene?" Felix sorrise. La notte calò in modo fulmineo sulle loro teste e sembrò, in un istante, la fine di tutto; la fine di un'amicizia, la fine di un'era, la fine del giorno più felice in grado di esser vissuto, la fine di un sorriso e l'inizio di una carezza, di due paia d'occhi chiusi, di un bacio al profumo di mare.

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Buonasera a tutti coloro che hanno deciso di leggere questa os. Credo sia uno dei capitoli più lunghi che io abbia scritto e me ne vergogno parecchio. Non sono del tutto soddisfatta, ma ci ho lavorato circa due settimane e il risultato non sembra così male. Spero vi piaccia nonostante né la ship né il gruppo di cui fanno parte Changbin e Felix (stray kids) sia dei più conosciuti. Detto questo ditemi cosa ne pensate, mi farebbe davvero piacere un vostro parere su questo mio nuovo stile -se così si può chiamare- di scrittura.
Tralasciando voti e commenti, dico a chiunque abbia perso un po' di tempo per leggerla grazie di averlo fatto.

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