Il caffè era bruciato. Ma Cesare finse che fosse il più buono che avesse mai bevuto.
«Ottimo. È il migliore della città!»
Una ricciolina con gli occhi blu ringraziò freddamente. Si chinò per tirare fuori il cesto dalla lavastoviglie e avvertì un brivido alle gambe. Si tirò su ed ebbe un capogiro. Un flusso di sensazioni sgradevoli le attraversò il corpo.
Infastidita dallo sguardo insistente del ragazzo, uscì dal banco per andare a riordinare i tavolini. Era quasi mezzanotte, l'ora di chiusura. Anche i clienti più tiratardi erano andati via. Tutti tranne il tizio irritante che passava le serate al bar da solo a consumare caffè.
Nina tornò al banco.
«Me ne faresti un altro per piacere? Stavolta decaffeinato. Altrimenti ho paura che non riuscirò a dormire stanotte.»
È ora di chiudere bello, smamma! Devo ancora pulire la macchina del caffè. Sono stanca, e non mi sento bene. Sono giorni che non sto bene.
«Certo, subito.»
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Cesare consumò l'ennesimo disgustoso caffè. Non era autolesionista, semplicemente il caffè era la cosa che costava meno e se voleva passare un po' di tempo ogni sera al Sun bar a contemplare la ragazza di cui era cotto, non poteva permettersi di ordinare altro.
Non aveva mai provato ad invitarla a uscire, sapeva di non avere chance. Si accontentava di starsene lì a guardarla. Si saziava con la sua vista e portava a casa il ricordo della sua bellezza. Si scolpiva nella mente ogni dettaglio del suo viso e del suo corpo. Si sforzava di imprimersi nella memoria ogni sua forma, colore e profumo. Faceva provvista di tutte queste cose e quando tornava a casa e rimaneva solo nella sua stanza, le utilizzava per la sua misera fonte di piacere: ricreare nella sua mente Nina esattamente com'era. Riprodurne un'immagine nitida, il più possibile vicina alla realtà. Così finalmente, in segreto nei suoi sogni, poteva viverla e respirarla. Poteva parlarle, toccarla, baciarla e fare con lei tutto ciò che la sua fantasia inventava.
La notte sarebbe stata lunga. Il caffè non avrebbe certo aiutato la sua insonnia. Ma non gli dispiaceva, perché l'avrebbe trascorsa con Nina. Il desiderio richiamò l'immagine e ogni senso partecipò all'incontro. Nina d'un tratto era tra le sua braccia nuda e seducente, completamente abbandonata nell'atto dell'amore. Esattamente come la notte prima e quella prima ancora, ma sempre meglio, come se ogni volta acquisisse un po' di consistenza in più.
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Qualche isolato più in là Nina, quella vera, non riusciva a prendere sonno. Sciolse nell'acqua qualche goccia di sonnifero e si guardò allo specchio. Il suo volto struccato mostrava segni evidenti di quello che le stava accadendo. Senza lo strato di fondotinta e l'intervento del blush le sue guance erano pallide e gli zigomi mostravano tutta la loro fatica a restare su. Senza il correttore emergevano impietosi gli aloni olivastri che le cerchiavano gli occhi. Nina si sentiva come un involucro vuoto. Le accadeva spesso negli ultimi tempi: una parte intima di sé la abbandonava senza preavviso. Si ritrovava completamente priva di forze. Di giorno quella condizione durava da qualche istante a diversi minuti. La notte invece era molto peggio: poteva durare anche delle ore. E così fu.
Il giorno seguente Nina era uno straccio. Saltò colazione e pranzo e, dopo un pomeriggio passato in totale indolenza sul divano, si sforzò di rimettersi in moto.Mascherò le tracce della stanchezza con un trucco troppo forte per il colorito della sua carnagione e andò al lavoro. Non si sentiva bene e sperò che almeno per quella sera il tizio del caffè non passasse al bar. Non le piaceva e la metteva a disagio. La urtava quando si metteva seduto al bancone e la osservava. Lo detestava quando ordinava il caffè. Era arrivata perfino a bruciarglielo apposta pressando eccessivamente la carica di macinato. Ma quello non batteva ciglio.
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Pavor Nocturnus
HorrorRacconti horror liberamente ispirati a fatti che qualcuno racconta di aver vissuto. Breve è la terra di confine tra l'onirico e il reale.