Tutto quello che ho sempre voluto erano i segreti che tu tenevi.
Tutto quello che tu hai sempre voluto era la verità che io non riuscivo a dire.
Perché non riesco a vedere il perdono.
E tu non puoi vedere il crimine.
Entrambi continuiamo ad aspettare qualcosa che ci siamo lasciati dietro.
Molti giorni dopo quei tragici eventi, sempre più debilitato dai sanguinosi scontri, ogni demone si ritrovò a ringraziare la buona sorte quando un ambasciatore del Generale li raggiunse, annunciando al Tenente e tutti loro che era finalmente tempo di ritirarsi.
Quella lotta era giunta al termine, riportando una vittoria schiacciante per i sostenitori della Dea Coniglia.
Qualche accennata manifestazione di giubilo si propagò per il campo alla consapevolezza di poter far ritorno a casa, e Naruto sorrise lieve in direzione di un'affaticata Karin, ma viva.
Shisui e Neji si scambiarono alcune pacche fraterne sulle larghe spalle, marciando in silenzio ed ancora in lutto per la perdita del compagno di squadra al fianco di un Itachi visibilmente più rilassato mano a mano che si avvicinavano alle pendici del grande vulcano.
Sasuke, di contro, distanziato dal resto del gruppo, pareva ancora terribilmente combattuto; così tanto che quando il Patricio spostava lo sguardo sulla sua figura avvertiva un'acuta fitta alla bocca dello stomaco. Ripromettendosi ancora una volta di avvicinarsi a lui e trovare l'ardire di parlarci, farlo sfogare...
Appena ne avrebbe avuto il coraggio.
Affaticati, feriti e morenti a nessuno di loro parve vero quando calpestarono nuovamente il suolo arido della città sotterranea. Per quasi tutto il tempo del viaggio aveva cercato tra la folla di soldati Karui e gli altri, trascinandosi dietro una zoppicante Karin quando era stato dato l'ordine di rompere la formazione e poter muoversi liberamente da quel momento in poi. Arrancò lui stesso quando finalmente vide la sua famiglia, sopprimendo le lacrime e l'indignazione al constatare che il numero s'era drasticamente ridotto, ancora.
Abbracciò ognuno di loro con forza, mulinando la coda aranciata con gioia; fregandosene delle proteste della stessa Karui per quei gesti fin troppo affettuosi e dei piagnistei di Omoi, impaurito che potesse spezzargli qualche altro osso a causa del troppo furore con cui lo stava stritolando a sé.
"Almeno noi siamo ancora vivi" Mormorò Jairo, uno dei fratelli di Naruto.
Karin lo schiaffeggiò con forza per la mancanza di tatto mostrata in quella situazione, poi soffiò divertita, accantonando i brutti pensieri "Se non ci uccide quel dúr con il suo amore".
Quel momento di ilarità venne interrotto quando, ognuno di loro, avvertì lo sguardo desolato di Minato posarsi sui corpi martoriati, distrutto dalla perdita di altri figli e figlie; li raggiunse lentamente ed in silenzio e, carezzando i capelli sporchi di sangue dei sopravvissuti con affetto, disse "Venite, andiamo dagli altri a curare queste brutte ferite".
Scene simili cominciarono a svolgersi per quasi tutti i demoni; così come per Neji e Shisui che, dopo essersi congedati dal Tenente, raggiunsero i loro numerosi fratelli, o almeno quelli ancora in vita.
Fugaku, con passo incerto a causa della profonda ferita alla gamba destra che gli era stata inflitta mesi addietro, s'avvicinò prima alle due figure oscure di Izuna e Madara, domandando "Come è andata?".
Il Tenente si guardò attorno, poi riferì "Meno perdite del previsto".
"Deirfiúr Antigone è venuta a mancare" Lo informò invece l'altro, ben sapendo cosa volesse realmente sapere l'Impeto, ma poco propenso alle inutili chiacchiere avanzò per la sua strada senza degnare nessuno dei due di qualche forma di saluto.
"Avrei dovuto partecipare..." Disse, sentendosi in difetto per quel lungo periodo di pausa a cui era stato costretto.
"Di un soldato menomato non ce ne facciamo nulla, pensa a guarire" Affermò roco Izuna, posando goffamente il palmo sulla spalla dell'altro, poco avvezzo a gesti affettuosi nei confronti di chiunque. Quando vide i numerosi figli del fratello raggiungerli e porgere i loro saluti al padre si allontanò rapidamente, disprezzando l'idea di rimanere immischiato in quel quadretto familiare.
Madara li adocchiò di sfuggita, aggiungendo mentalmente l'ennesimo nome alla lista dei deceduti. In quei lunghi secoli dei cinquanta figli di Tajima ne erano rimasti poco più di una ventina, ed erano perfino stati abbastanza fortunati per questo.
"A quanto vedo ti sei fatto affettare per bene!" Quell'esclamazione divertita lo riportò in sé ed incrociò gli occhi rossi di Mito intenti a studiarlo con cura, posandosi su ogni taglio da cui stillavano ancora piccole gocce di sangue.
Hashirama avvolse i morbidi fianchi della moglie con un braccio, insinuando il viso nell'incavo del suo collo, reclamando la sua attenzione "Lascialo stare, Musa. Non ci libereremo di lui ancora per molto tempo".
Madara grugnì infastidito di quella scena terribilmente smielata, non capendo per quale assurdo motivo da quasi quattrocento anni lo tormentassero con l'assurda pretesa di essere suoi... Amici.
"Andate a farvi fottere".
L'Augur nemmeno sentì quell'insulto, troppo impegnato a cercare di fare le fusa, e beato a godere delle morbidezze delle sua bella ed adorata Domina per pensare alla giornaliera crisi isterica del suo strambo amico.
Invece Mito sorrise furba, carezzando i lunghi capelli del maschio e rispondendo senza alcun tentennamento "Quasi tutti i giorni, grazie dell'interessamento".
A quelle parole se ne andò davvero, bestemmiando internamente e pregando la Dea di non rivederli mai più, almeno per i prossimi duecento anni, oppure la sua pazienza si sarebbe presto esaurita.
Si fermò ancora, quando si rese conto di Domine e Domini che, tutt'intorno a lui, cullavano tra le braccia i loro consorti, commossi dal poterli avere nuovamente accanto a loro, vivi.
E come ogni volta avvertì la mancanza della moglie farsi strada tra le sue carni, scavare nel profondo e marchiarlo ancora, sempre di più. Senza scampo.
Sasuke osservò con distacco i fratelli e le sorelle raggiungere loro padre per salutarlo, consolandolo delle perdite ed aiutarlo a tornare nella sua dimora, per non farlo stancare eccessivamente.
Il viaggio di ritorno non aveva giovato per nulla al suo umore, né dissipato i dubbi e le domande senza risposta che s'era posto, ma soprattutto era riuscito ad accentuare quel mal di testa che non lo abbandonava da giorni interi.
Desiderava tornare a casa, per non pensare più a nulla.
Non rispose al richiamo di suo padre, né a quello di alcune delle sorelle, continuando ad allontanarsi e rivolgere loro le spalle. Impossibilitato a rimanere accanto alla sua famiglia per colpa di quella rabbia ed insoddisfazione che, più il tempo passava, più lo bruciavano dall'interno.
Rientrò qualche minuto dopo, gettando sul pavimento dell'ingresso i suoi pugnali e l'affusolato arco senza alcuna grazia; si spogliò del tutto, sfilandosi la pensante armatura e avvertendo le spalle rigide finalmente libere.
Nudo avanzò in direzione del grande e scomodo letto, stendendosi su questo a pancia in su, poggiò un braccio sopra il ventre muscoloso e socchiuse gli occhi scuri.
Voleva dormire, ma la consistenza vischiosa del sangue attaccato alle sue carni lo infastidiva, nauseava come non mai.
Troppo stanco per farsi una doccia, sollevò una mano pallida davanti al viso, sospirando internamente quando nuove domande cominciarono a fluire dentro di lui.
Quanti demoni aveva ucciso con quelle mani? Molti, troppi, ormai ne aveva perso il conto.
E se i mostri fossero loro e non viceversa?
E se quella guerra fosse iniziata per schiacciare essere incapaci di proteggersi? Finendo per creare quindi degli assassini anche nelle loro fila, solo per riuscire a sopravvivere. Tutto per colpa degli Impeti, della Dea... Di lui stesso.
Non faceva altro che porsi quei quesiti, senza trovare alcuna risposta soddisfacente; l'unica cosa che aveva realizzato in quel tempo era che, probabilmente, non sarebbe più riuscito ad uccidere nessuno, a portare avanti i suoi compiti.
Ed avrebbe deluso i suoi fratelli, il Generale, il padre... Naruto...
Ma per cosa combatteva? Per cosa sporcava le sue mani di sangue?
Nemmeno tanto tempo prima avrebbe saputo perfettamente cosa rispondere, in quel momento non riusciva a ricordarla nemmeno sforzandosi.
Desiderava fuggire e forse alla fine lo avrebbe fatto davvero, lasciando la società demoniaca per sempre, così da poter smettere di provare dolore, paura... Odio verso se stesso.
Invidiava terribilmente Itachi per esser così sicuro delle proprie convinzioni. Mai lo aveva visto vacillare, mai il dubbio lo aveva fermato da compiere i suoi doveri, ciò per cui era nato. Messo al mondo, assieme a lui, da una madre sconosciuta e di cui non sentivano la mancanza, abituati a quella vita, a quell'esistenza che risucchiava loro ogni brandello di speranza e nulla dava in cambio.
Solo distruzione e sangue.
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Einherjar.
Fanfiction[Seconda storia della saga Pandemonium, ma che, temporalmente, si colloca prima degli avvenimenti di Chimere. SasuNaru, ed accenni ShiIta] Figli delle tenebre, nati dalla cenere e temprati dal fuoco e dal sangue. Unitevi a me in questo nuovo scontro...