Ognuno di noi possiede quattro giorni lunghi. Li possediamo da sempre, come la nostra pelle, con un'inconsapevolezza che ci tiene al riparo dall'idea che prima o poi arriveranno.
I giorni lunghi hanno la capacità di stupirti per quanto possono essere diversi, tranne per quel dettaglio di sembrare senza inizio e senza fine.
Quando cominciano non ce ne accorgiamo e ci finiamo dentro come in una pozzanghera; ci svegliamo solo per gli schizzi sulla faccia.
Quando finiscono è un po' strano, perché hanno la capacità di inserirsi in un giorno normale, dando così il la ai giorni normali.
Di colpo ricominciamo a respirare perché, ovviamente, durante i giorni lunghi, il fiato lo teniamo stretto, stretto per timore di nutrire con il nostro affanno il giorno lungo.
I giorni lunghi sono di quattro tipi:
✔️delle foglie che cadono;
✔️del sonno profondo;
✔️del risveglio;
✔️del mondo che balla."Delle foglie che cadono" è il giorno in cui sei ramo e, che tu voglia oppure no, perderai le tue foglie, quelle parti di te che credevi intoccabili pensandoti sempreverde. Invece andranno giù sulla terra umida o spiccheranno il volo. In un modo o nell'altro sarai costretto a stare lì, nelle tue radici, mentre loro andranno via e quella piccola lacerazione che chiamiamo stupidamente addio, non sarà addolcita da nessuna preghiera. Per un po' potrai seguire il loro moto con lo sguardo, come il loro mutar forma. Poi si dissolveranno nell'orizzonte o nell'humus e a te resteranno le radici e una linfa tagliente di ricordi che si addolcirà col tempo generando nuove foglie.
"Del sonno profondo" è il giorno in cui siamo giaciglio e siamo dormiente, siamo causa e siamo effetto. Intorno tutto si sviluppa come un gomitolo lanciato a casaccio e poi ci avviluppa facendosi tentacolare. Ma noi non lo percepiamo perché siamo così ancorati al ritmo del sonno, attori così provetti dietro il sipario delle palpebre chiuse, da continuare come in un giorno normale. Eppure il sonno è già iniziato da tanto, ci confonde con le sue figure a cavallo tra la mitologia e il sogno. Così ci sono sirene che sono donne dalle voci acute, ci sono condottieri che non hanno battaglie, ci sono fiabe dove il lieto fine è la porta sulla morale generale. Tu vorrai dormire ancora e sarai cuscino per chi, come te, ammetterà di aver sonno.
"Del risveglio" è il giorno dei colori sparati nella tua tempia, che ancora pulsa per il suono della sveglia. Forse è il giorno più difficile, non saprei dire, ma sei scagliato ancora in pigiama dentro una realtà virtuale, in dolby surround. Stereofonica, multicolor, multiplayer e tu, cazzo, non hai neanche un funghetto da giocarti per tenere quel ritmo. Però inizi a giocare e recuperi suoni che percepivi ovattati. Non lo ammetti subito, ma sono belli anche quando sono brutti perché li senti. I colori li inizi a mettere sul foglio e ti prendi la libertà di andare fuori dai margini; te la prendi, non la chiedi, perché ti ricordi ancora che, quando hai chiesto, ti hanno costruito un margine alto quanto la tua altezza che se avessero usato la loro, come unità di misura, avresti saltato il recinto in meno di un secondo dando l'origine alla stirpe della pecora nera che vola.
"Del mondo che balla" è l'ultimo dei giorni lunghi prima che ricominci il corso di quelli normali. Quando parte la festa tu hai ancora i postumi del risveglio, dei suoni confusi che hai suddiviso in tante parole, vuote o piene, da mettere sullo spartito; però lo fai. Prendi un pennino, che ti basta una attimo di pelle e andrà a inchiostro nero, come un treno che sbuffa vecchio carbone.
Crei strisce a gruppi di cinque, lo fai basandoti sulla forma della tua mano e lì, proprio lì, tra quelle dita che hanno scavato nel fango e pescato nel miele, fissi le parole. Le parole sono note nuove. Sentite il suono già quando dite parole; guardate come cambia se lo scandite o se invece vi affrettate. Poi metteteci accanto un aggettivo: parole dolci, parole cattive, fate voi. Sono ballate da raccontare con il fiato rotto dai movimenti. Se battete le mani, state tranquilli che non ne avrete rotta nessuna: le parole sono uniche ma non sono fragili e ci vuole un giorno lungo per capirlo, per stare nel mondo che balla e avere il precario coraggio di chi balla in modo diverso. Io le metto le parole nel mio pentagramma di carne, carezze e rughe. Batto le mani e sento spine di una passione non cercata ma mia, mia così a fondo che la fuori è davvero un viaggio cui attingere; batto le mani e le parole si mescolano in un meltin pot incandescente, dove nessuno è uguale all'ingrediente precedente. Non lo so mai se ne esce veleno, fili di zucchero o entrambe le cose, a plasmare me dopo i giorni lunghi.Così mentre il mondo balla metto un piede su una parola che non esiste: Stagio(r)ni e racconto questa cosa dei giorni lunghi sapendo che è iniziato il periodo di quelli normali. Non so quando e per quanto, ma ci saranno tutti e saranno tanto normali che la follia, in confronto, sarà la quiete dei saggi.