Capitolo XVII

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Sam's Pov

Gettai la mia giacca sulla sedia. Mi appoggiai sul letto e poi crollai. Era notte fonda, forse le tre, forse le quattro, ma ormai non importava più niente. Di solito le notti le passavo con Carly, a ridere, scherzare, gioire e disperare. Quelle notti erano la mia ancora di salvezza, il mio salvagente, ciò che mi faceva stare bene.

Gli ultimi giorni li avevo passati a fingere, fingere come non avevo mai fatto in tutta la mia vita.

La mia vita era diventata un film, un continuo monologo che non sarebbe mai finito. Non avrei mai fatto il primo passo, mai e poi mai, l'orgoglio ardeva dentro di me come fiamme calde destinate a non spegnersi mai. E stavo male, tanto male, così male che le lacrime bagnavano gli occhi e non se ne andavano più, restavano lì, piantati in quei occhi color cielo.

Il cuscino era morbido, il materasso anche, e io? Io ero dura, dura come la pietra, come un diamante appena scavato.

Il dolore che tenevo dentro era troppo per me, quella messa in scena stava durando così tanto tempo. Pensai all'ultima volta che io e Carly avevamo riso assieme, sembrava così lontana, come se fossero passati anni, decenni, e perchè no, secoli. Quella distanza cominciavo a sentirla pezzo per pezzo, e faceva sempre più male, mi distruggeva, mi rendeva ridicola e tonta.

Presi il mio cellulare, cliccai la mia ultima chat con lei e fissai lo schermo per qualche secondo. Avrei voluto scriverle tante di quelle cose, avrei voluto liberarmi e gettare tutto così, senza un motivo, solo per rompere le catene che io stessa avevi costruito.

Il presente cominciava a diventare passato e il mio futuro era sempre più incerto. Non sapevo cosa avrei fatto il giorno dopo, ne quello dopo ancora, ero bloccata dentro un limbo interiore. Tutto per colpa mia. Solo mia, mia e della mia testardaggine.

"Sei troppo orgogliosa Samantha"

Me lo diceva sempre Mamma, che da quando non parlavo più con Carly sembrava ce l'avesse con me, persino lei stava andando contro la mia scelta, perché era ovvio che stessi sbagliando.

Mi alzai e mi rimisi la giacca, avevo bisogno di prendere una boccata d'aria e stare un po' sola con me stessa. Uscii di casa, alle quattro e mezza del mattino, con il vento che trasportava la sabbia del mare e la faceva dondolare nell'aria. Stare un po' da sola forse mi avrebbe aiutata a domare tutto il trambusto che io stessa avevi creato, mi avrebbe aiutata a riflettere, a rimediare ad ogni singolo errore.

Ashley e Seth erano dalla mia parte, non sapevo per quanto ancora si sarebbero parlati con Carly, ma una cosa era ovvia: da lì a poco anche loro, come me, avrebbero smesso di rivolgerle parola. E questa cosa mi faceva tanto male, perché è impossibile cancellare anni e anni di amicizia.

Io lo avevo fatto. E ci stavo sempre più male.

***

Mamma venne a svegliarmi presto. Il sole non era ancora alto in cielo e ad illuminarmi era soltanto la piccola lampadina di casa mia.

"Vieni a fare colazione" disse "E non fare tardi"

Quella notte non avevo chiuso occhio, quella passeggiata mi aveva aiutata a pensare ma comunque non mi aveva portata a nessuna conclusione. Provavo ancora ribrezzo e odio nei confronti di Carly, era troppo testarda, voleva a tutti costi il ragazzo di sua sorella, quando lui non la degnava di uno sguardo.

Pensai che la vita di Carly era una continua menzogna e, anche se sapevo che era vero, accartocciai ogni singolo pensiero che mi portasse a ciò.

Andai a fare colazione con mamma e Papà, due uova strapazzate al volo, e poi corsi a prepararmi, un filo di Mascara sugli occhi e pronta per andare a scuola, pronta per evitare un'altra volta lo sguardo di Carly, pronta per soffrire per un altro miserabile giorno.

La mia routine era diventata questo, non avevo più pilastri su cui sostenermi, ero costretta a subire ogni saluto mancato, che mi si annodava al collo e non mi faceva respirare. La fermata distava a venti metri da casa mia, e l'avrei rivista anche lì, vicino al nostro albero, dove regnavano le nostre iniziali. Salutai i miei, loro non lo fecero, ma a me non importava, chiusi la porta e, a passi lenti, mi avviai in direzione della fermata.

A volte, quando camminavo, sentivo ancora forte il dolore, le braccia, le gambe, il torace, bruciavano, era come se dentro di me tutto stesse prendendo fuoco, ero una granata pronta ad esplodere. E se pensavo alla persona che mi aveva portato a fare quello che avevo fatto piangevo e mi disperavo, perché sapevo che a quella persona la amavo con tutto il mio cuore, perché il fato ci aveva fatto incontrare per caso, e quello era stato il caso più bello della mia vita.

I miei occhi erano lucidi, erano lucidi perché cercavo di trattenere il dolore, a mamma dicevo che gli antidolorifici facevano effetto, anche se non era così, anche se ero costretta a sopportare un così forte e lancinante dolore.

Lei fu la prima cosa che vidi una volta girato l'angolo, seduta su quella banchina logorata dal vento e dalla pioggia, piena di scritte infernali e disegni blasfemi.

Come sempre, abbassai lo sguardo e cominciai a fingere. La mia giornata iniziava nel momento stesso in cui la vedevo, quando cominciavo a fingere e a tirar fuori le mie doti da attrice nata.

Nessuno le stava accanto, nessuno le rivolgeva la parola, era un Angelo caduto con l'ala spezzata costretto a non volare e a sopportare le dure insidue del mondo terreno.

Seth e Ashley le passarono accanto e ogni mio dubbio fu presto confermato, non avevo torto, anche loro avevano rotto il loro legame con Carly Jensen, avevano scelto me a lei, avevano scambiato l'angelo con il demone. Si avvicinarono a me, Seth fu il primo a prendere parola.

"Vedi? Adesso è sola, è proprio quello che si merita"

No, non dovete lasciarla sola, non può sopportare tutto questo, non sbagliate come me.

Ashley scoppiò a ridere.

"Se l'è cercata la bambina bisbetica, la prossima volta impara"

Loro erano i suoi due migliori amici, io ero la sua migliore amica, noi eravamo un gruppo, e lei non c'era più, era stata scaraventata fuori come una lebbrosa, stavamo sbagliando, non potevamo comportarci in questo modo.

"Già" dissi, trattenendo ogni singolo singhiozzo che mi lesionava l'anima.

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