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Karma era sdraiato all'ombra di un pesco

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Karma era sdraiato all'ombra di un pesco.

Si tastò un fianco. Nella tasca della giacca, il cappello di Nagisa formava un bozzo ruvido, un rigonfiamento fastidioso.

Doveva liberarsene.

Doveva restituirgli quello straccio e non pensarci più.

E per riconsegnare un cappello che valeva due soldi ad uno sconosciuto che si era rivelato una ragazza, almeno secondo lui, era pronto ad aspettare ore al gelo.

C'era senza dubbio qualcosa che non quadrava, ma Karma non ci voleva pensare.

Voleva solo sbarazzarsi del cappello.

Il cappello. Solo quello contava.

Concentrati sul cappello. È facile. Lei passa, tu la fermi, le dici che ti dispiace, le dai 'sto maledetto cappello di merda e te ne vai. Non ti volti più indietro, prendi l'autobus e torni a casa. Non lo rivedrai mai più.



Invece non era affatto facile, e iniziò ad accorgersene attorno alle otto.
Dopo quasi due ore di immobilità totale le sue gambe erano diventate due pezzi di legno.

E di Nagisa, nessuna traccia.

Forse lui aveva cambiato strada, forse quel giorno era altrove, forse davvero il destino esisteva sono nei manga e negli anime.

Come aveva potuto pensare di rincontrarlo così per caso?

Alzò la testa, guardò nella direzione opposta rispetto a quella che aveva tenuto sott'occhio fino a quel momento e gli prese un colpo.

Era lontano, illuminato dalla luce dei lampioni. Vestito di nero, camminava in mezzo alla gente, la testa bassa e un nuovo cappello a coprirgli la testa, una mano stretta alla tracolla della borsa.

La sua faccia era così pallida che quel poco di pelle che si riusciva a scorgere sembrava quasi verde, un colore malsano, da palude.

Era insignificante, anonimo.

Ma era lui.

Così secco doveva essere per forza lui.

Karma si ritirò di scatto dietro l'albero. Non doveva vederlo.

Era sicuro che se si fosse accorto di lui aveva cambiato marciapiede. E non poteva di certo inseguirlo così.

Chiuse gli occhi e contò fino a dieci, poi si buttò in mezzo a quella stradina, come se fosse appena uscito dal boschetto.

«Ehi, Secca. Ciao.» disse piano, con voce sottile, poco convinto. Ma a quanto pareva Nagisa ci sentiva bene, perché si girò di colpo, come se invece di salutarlo con quella vocina patetica e sfiatata gli avesse tirato un calcio nella schiena.

Gli occhi sbarrati nella faccia bianca. Un'espressione da animale braccato e aggressivo, e forse in fondo, per la prima volta, la paura.

«Non ti sto seguendo, non sono matto.» si affrettò a dire, tentando di rassicurarlo subito.

Ma Nagisa non gli rispose e da come lo guardava lui capì che non gli credeva. Quei suoi occhi fissi, lucidi, da cerbiatto impagliato.

E quello sembrava, fermo in mezzo alla stradina. Un pezzo di granito, completamente fuori posto. Karma ne approfittò per tirare fuori il cappello dalla tasca, forse così sarebbe riuscito a tranquillizzarlo.

«Insomma, stavo da queste parti e ho pensato, visto che passa spesso di qui magari la aspetto per dieci minuti, poi per caso sei arrivata e io ti volevo chiudere scusa e ti volevo restituire il cappello e..»

«Mi stai pedinando?»

«Cosa? No, io..»

«Mi stai seguendo. Conosci i miei orari, sai dove passo.. Cosa vuoi da me?»

«Ti volevo solo ridare questo coso che ti metti in testa. Ma ce l'hai con me perché te l'ho fottuto?»

Con uno scatto da serpe, Nagisa allungò la mano e si riprese il cappello, strappandoglielo dalle dita. Gli occhi adesso erano due fessure buie.

«Non sono incazzato- incazzata. È che tu sei uno stronzo.»

«Secca..»

«Non mi chiamare così. Non devi chiamarmi in quel modo.»

Si tolse il cappello che aveva e per un attimo la luce dei lampioni gli illuminò i capelli blu. Ma fu un istante, poi lui si rimise il cappello calandoselo bene in testa e, con un'ultima occhiata carica d'astio, si girò e riprese a camminare.

Karma sospirò, sconfitto.

Ci aveva provato a chiedergli scusa, ma Nagisa non voleva sentire ragioni.

Sarebbe rimasto lì a guardare la sua schiena che si allontanava per chissà quanto, se all'improvviso non ci avesse ripensato.

Si voltò, tornò indietro guardandolo diritto negli occhi, con quel modo un po' sbilenco che aveva di camminare, sgraziato come nessun altro, e Karma sentì che nonostante tutto gli veniva da ridere.

Ma lui no, lui non rideva affatto.

Minaccioso, ma con una faccia che comunque non faceva paura a nessuno, gli si piantò ad un soffio di distanza e gli puntò un dito sul petto.

«Non mi devi seguire. Non mi devi fare gli agguati come hai fatto prima, che volevi farmi credere di essere uscito dal boschetto, ma io ti ho visto che te ne stavi all'ombra dell'albero per vedere se io stessi per passare, acquattato. Non sono una deficiente, non mi puoi fregare. Se mi vuoi vedere mi dici che mi vuoi vedere e non lo fai apposta, è tutto chiaro?»

Karma annuì, mordendosi l'interno delle guance per non scoppiare a ridere. Era così arrabbiato, così serio.

Forse anche bello, ma era difficile dirlo.

Si voltò di nuovo e scosse la testa. Stringendosi nelle spalle, in quella giacca sottile che portava addosso, si incamminò, stavolta più lentamente.

Karma lo prese come un segno, la prova che doveva rischiare.

«Secca!» gridò forte, e qualcuno tra i passanti si girò a guardarlo. «Secca, quando ci rivediamo?»

Nagisa non rispose, esitò per qualche secondo, prima di esalare due semplici parole.

«ma vaffanculo.»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 08, 2018 ⏰

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uniforms ✧ karmagisa [ sospesa. ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora