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Che si trova qua sopra
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C'era questo vecchio edificio, una villa, abbandonato in mezzo agli abeti alti del bosco. Si capiva che nessuno ci viveva più da decenni anche da lontano: le pareti esterne erano di un colore spento e non uniforme, le finestre rotte o dai vetri troppo sporchi per permettere di guardarci dentro, il tetto cadente e pieno di buchi, le piante e gli alberi tutt'intorno che sembravano un tutt'uno con la villa per quanto erano attaccati alle mura e al cornicione del tetto. Non c'era neanche un vero e proprio sentiero da seguire per arrivare di fronte al suo portone, immenso, ma nascosto da quelli che sembravano massi giganti di cemento staccati da qualche muro che, molto tempo prima, doveva esserci stato intorno al giardino.

Nessuno ci andava mai. E perchè qualcuno avrebbe dovuto farlo? La maggior parte degli abitanti del villaggio più vicino neanche sapevano della sua esistenza. Ma c'erano ancora alcuni abbastanza anziani da ricordare, e nessuno preservava belle memorie su quel posto abbandonato. Inutile chieder loro chi ci avesse abitato, se mai qualcuno lo avesse fatto, in quella villa. Si rifiutavano di rispondere o semplicemente facevano finta di non ricordarlo o di non saperlo. C'era addirittura qualcuno che ogni tanto tirava fuori qualche strana storia su fantasmi e vecchie anime perdute tra quelle mura, in attesa di trovare qualche anima da divorare. Quelle storie bastavano per tenere lontani i bambini dal posto. Nessuno voleva rischiare di farsi mangiare l'anima di uno spirito centennario di quel vecchio edificio. Nessuno tranno un ragazzo.

Pioveva.

C'era da aspettarselo, dopotutto l'autunno era iniziato da un pezzo. Il ragazzo alzò lo sguardo verso il cielo cupo e grigio e spalancò gli occhi. Una goccia. Un'altra goccia.

Camminava tranquillamente muovendo le gambe sottili a ritmo sostenuto, saltellando ogni tanto per superare trochi caduti o buchi nel terreno. La pioggia non era un gran problema poichè era gircondato da vecchi abeti che lo proteggevano sia dal vento che dall'acqua. E comunque era inutile tornare indietro, casa sua era a quasi dieci chilometri da lì.

In effetti non si era mai spinto così lontano nel bosco.

Ad un certo punto notò che gli alberi iniziavano a distanziarsi e di fronte a sè vedeva una zona vuota. Accellerò il passo fino a quando si trovò sotto i rami dell'ultimo abete del bosco, oltre il quale si estendeva una piccola collinetta senza alberi circondata dal bosco. Il ragazzo si fermò e si tirò indietro i capelli rosa, resi umidi dalle gocce di pioggia che ora gli arrivavano. Non credeva ai propri occhi.

Su quella collinetta c'era un edificio, la villa abbandonata.

Il ragazzo sorrise, aveva finalmente trovato qualcosa di interessante.

Decise di raggiungere la villa correndo per non bagnarsi troppo sotto la pioggia, poteva ripararsi sotto un albero proprio di fianco ad essa.

Arrivato lì, si guardò attorno e notò un piccolo balcone al secondo piano. Questo gli permetteva di avvicinarsi ancora di più. Corse e si riparò sotto di esso, rimanendo il più possibile attaccato al muro.

Si sedette a terra con le spalle aderenti al muro e trasse un profondo sospiro. Si chiese se la pioggia sarebbe durata a lungo.

Rimase così per un pò e pian piano iniziò a sentire qualcosa. Erano dei suoni, tanti suoni che si confondevano con il rumore della pioggia ed il frusciare dei rami. Forse un pianoforte? La cosa lo incuriosì.

Si alzò e iniziò a camminare lungo il perimetro dell'edificio incurante della pioggia, mentre la musica aumentava di volume. Trovò una finestra e provò ad aprirla. Probabilmente non veniva aperta da anni e anni ed ora che il ragazzo dai capelli rosa la premeva con tutte le sue forze, si aprì producendo un suono quasi stridulo.

Per fortuna il pianista non sembrava averlo sentito, dato che la musica continuava indisturbata. Il ragazzo poteva anche sentirla meglio ora che saltava dentro la casa. Si ritrovò in quello che poteva essere un salotto: un divano devastato posto al centro della stanza, metà coperto da una tenda trasparente, un caminetto in rovina con i mattoni smussati e la canna fumaria distrutta, quella che sembrava una tela appesa alla parete, dall'illustrazione completamente coperta da strati e strati di muffa e polvere. C'era anche un tappeto sul pavimento in legno, ma era tanto malconcio e coperto dalla polvere che il ragazzo non lo distinse dal pavimento stesso.

Aprì la porta con un cigolio lento e trovò un corridoio pieno di altre porte chiuse. Si fece guidare dalla musica e andò a destra, proseguendo nel semibuio senza timore. Arrivò in una sorta di atrio e immaginò che quel grande rettangolo sulla parete di fronte fosse la porta d'ingresso. Di fronte a questa, una scala. Iniziò a salire.

Ogni passo era un lamento delle scale di legno, che sembravano sul punto di spezzarsi. Il corrimano era nero e opaco per la vecchiaia, ma sicuramente era stato liscio e brillante una volta. Ora il rumore della pioggia non si sentiva più come prima. In compenso c'era un'aria pesante quasi irrespirabile.

Ed eccolo, immobile in cima alle scale. Davanti a lui una persona che gli dava le spalle, seduta al pianoforte. Il pianista non lo aveva nè visto nè sentito arrivare. Continuava a suonare indisturbato. Il ragazzo non volle interromperlo poichè quella musica era davvero bella e gli faceva sentire una strana sensazione di familiaritá.

La stanza in cui si trovava era molto più grande del salotto al piano terra e dell'ingresso. Era un pentagono con una grande finestra su ogni parete, questo permetteva di vedere tutto intorno alla villa. Ma la vera cosa che impressionò il ragazzo fu il fatto che tutto fosse a pezzi (il pavimento, le pareti, le finestre e le tende, i quadri appesi ai muri, il tetto), tranne il pianoforte che sembrava intatto. Anche il pianista sembrava essere vestito bene e pulito.

C'era qualcosa in quel pianista, forse le sue dita lunghe che ballavano sui tasti con eleganza, forse la sua schiena rilassata che dondolava a ritmo della musica che rendeva difficile al ragazzo levargli gli occhi di dosso. Aveva la testa inclinata di lato e il ragazzo dai capelli rosa quasi lo poteva immaginare con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, intento a gustarsi quella melodia.

Ma d'improvviso la magia scomparve. La musica si fermò e gli echi delle ultime note fluttuavano lontano per lasciar posto al silenzio, come i granelli di polvere fluttuavano accanto alla finestra lasciando entrare l'aria. Forse il ragazzo dai capelli rosa aveva sospirato senza rendersene conto o magari il pianista aveva sempre saputo che era lì.

Sappiamo solo che il pianista si scricchiolò le dita e poi, lentamente, si voltò verso il ragazzo ancora immobile sull'ultimi gradino della scala. Gli sorrise.

-Chi sei?-

-Jimin- rispose il ragazzo. -E tu?-

-Jungkook- disse il ragazzo dai capelli castano scuro, il pianista.

THE HELL IS EMPTY- JikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora