Capitolo Tredicesimo - Noi ti aspettiamo qui

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In ospedale non volava una mosca. L'unico rumore, continuo, era quello delle macchine che permettevano al ventenne inglese di respirare.

Josh, dopo l'incidente, era stato trasportato d'urgenza, in elicottero, all'ospedale più vicino. Al suo fianco, come sempre, era rimasto il fratello maggiore.
Dopo un'operazione durata ore ed ore, Josh si trovava in terapia intensiva, in coma indotto. I medici non volevano che si sforzasse, in alcun modo. Indurlo al riposo era l'opzione migliore, per far sì che ci fossero più possibilità che si riprendesse dall'intervento.

Sam non aveva mai provato uno spavento tale; il suo cuore aveva iniziato a battere furiosamente, il terrore si era impossessato del suo corpo mentre i paramedici trasportavano la barella su cui giaceva, inerme, una delle persone più importanti della sua vita.

I quindici minuti impiegati per raggiungere l'ospedale erano stati i più lunghi della sua vita. Le mani gli tremavano, gli occhi incastonati a quelli del fratello, chiusi.

Guardava quel corpo inerme, come addormentato, e i ricordi iniziavano a farsi spazio nella sua mente, prepotenti.
Sam e Josh al mare, con i genitori.
Sam e Josh sulle minimoto.
Sam e Josh che si allenavano insieme.
Sam e Josh che, separati, non funzionavano a dovere.
Sam non esisteva senza Josh, e Josh non esisteva senza Sam.
Sam non riusciva nemmeno ad immaginare la sua vita senza il fratello.

Stava muovendo la mano sulla gamba del ragazzo, l'unica parte del corpo che non era stata invasa da tubi e fasciature. Ogni tanto la stringeva, lievemente, come per far sentire al fratello la sua presenza.
Non aveva alcuna intenzione di allontanarsi da quel letto.

Poche ore prima erano arrivati in ospedale i loro genitori, con il panico dipinto sui volti.
Dopo qualche ora Sam li aveva mandati in albergo, per farsi una doccia e dormire un po'. Non riusciva proprio a vedere sua madre in quelle condizioni.
Jack Sanders era invece impassibile. Nonostante il suo volto non facesse trasparire alcuna emozione, gli occhi parlavano per lui.

-Dovresti riposarti un po'- Sam sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla -Sei qui da ore ormai.
America era dietro di lui, in piedi, con i capelli disordinati e il volto sfinito.
-Non mi muovo di qui. Non lo lascio solo.
America accennò un sorriso a quelle parole.
-Starò io con lui, fino a che non torni. Non lo lascio solo un secondo. Ma tu hai bisogno di uscire un momento. Se non vuoi tornare in circuito, almeno esci a prendere un po' d'aria - la ragazza gli strinse la spalla, con fare rassicurante.

Sam si girò a guardarla e, di scatto, si alzò per stringerla in un abbraccio.
-Grazie - mormorò, mentre i capelli biondi della ragazza gli solleticavano il naso.
-Noi ti aspettiamo qui.

Sam si allontanò e si diresse verso la porta. Una volta uscito dalla stanza, tornò a respirare. Allo stesso tempo, era come se stesse annegando in un turbine di acque gelide.
Per la prima volta, il suo sport, il suo lavoro, gli fece paura. E rabbia, allo stesso tempo. Avrebbe voluto spaccare tutto.

Aveva fatto solo due tiri e già quella sigaretta l'aveva stancato. Fumava di rado, in rare situazioni. Quel giorno, ne aveva sentito il bisogno.
Nonostante il fumo gli offuscasse la vista e gli facesse bruciare la gola, non riusciva a calmarsi. La gola che protestava mente il fumo cercava di farsi spazio, prepotentemente, non riusciva a surclassare il dolore ben più grande che sentiva dentro.

Stizzito, tirò lontano il mozzicone, con un gesto secco.
Stava per rientrare in ospedale quando qualcuno lo chiamò, da lontano. Un ragazzo si stava avvicinando a lui, ma non riusciva a capire chi fosse.

Quando riuscì a metterlo a fuoco, il suo volto si distorse in una smorfia confusa; davanti a lui, trafelato, Battistini cercava di riprendere fiato. Sembrava avesse corso per chilometri e chilometri.
-Come sta?!- la voce era tremolante, indecisa. Sembrava preso dal panico.
Sam era parecchio confuso. Non sapeva nemmeno che i due si conoscessero, e tantomeno che fossero amici. Evidentemente lo erano, altrimenti non si sarebbe spiegata un reazione del genere.

Indeciso su cosa dire, Sam continuava a guardarlo, fisso.
-Sta.... non bene. L'hanno operato d'urgenza, e ora è in terapia intensiva. In coma- pronunciare le ultime due parole era stato come ricevere un pugno in pieno petto.
-In co..ma.. - il ragazzo davanti a lui reagì ancora peggio. Si porto le mani in faccia, cercando di coprirsi.
-Posso vederlo?- continuò dopo qualche secondo, cercando di trattenere le lacrime.
-Solo i familiari sono ammessi. Ora è entrata una sua amica solo per darmi una piccola tregua, ma se la vedono i medici la cacciano.

Battistini scosse la testa. Non poteva crederci. Sperava fosse solo un incubo, anche se tutto appariva fin troppo reale per poterlo essere.
L'incidente, l'elicottero, l'ospedale, il fratello distrutto.
Tutto sembrava irreale e, allo stesso tempo, maledettamente reale.

Il volto di Josh fece capolino nella sua mente, sorridente, con i due denti davanti leggermente più grandi rispetto agli altri.
Come aveva potuto dirgli quelle cose? Come aveva potuto trattarlo così? Come se non valesse nulla.

"Mi fai schifo. Scopati tutto il paddock, a me non interessa"
Pensare che quelle sarebbero potute essere le ultime parole che il ragazzo gli avrebbe detto gli diede il colpo di grazia. Per la prima volta, nella sua vita, si sentì davvero disperato.

E non poteva parlarne con nessuno, perché nessuno sapeva cosa lo legava al giovane inglese. Nemmeno il fratello maggiore, che lo conosceva come le sue tasche, sapeva cosa stesse accadendo fra i due.
Difatti se ne stava lì, impalato, a osservare il pilota italiano. Davvero non capiva come potesse essere così scosso. Josh non l'aveva mai nemmeno menzionato. Neppure di sfuggita.

-Sarà meglio che torni in circuito. Grazie-
tentennò Federico, una smorfia gli incorniciò le labbra.
-Josh è un leone, si riprenderà - Sam non sapeva cosa legasse i due, ma si era sentito in dovere di provare a lenire il dolore di quel ragazzo.

E quella frase, beh, quella frase la pensava davvero. Nonostante fosse ancora terrorizzato, sapeva che Josh non avrebbe mai mollato. Ce l'avrebbe messa tutta, ne era sicuro.

Battistini si era già allontanato, e lui si avviò verso l'ingresso dell'ospedale. Giunto al piano di terapia intensiva, si fermò davanti alla porta della stanza. La aprì, in silenzio, e rivolse lo sguardo al letto bianco.

America era seduta ancora sulla sedia, con il corpo proteso verso il materasso del letto. Si era addormentata accanto a Josh, con la testa appoggiata al braccio inerme del ragazzo addormentato.

Dopo molte ore di crudele sofferenza, un piccolo sorriso gli spuntò sulle labbra.
Afferrò un'altra sedia e l'avvicinò al letto, cercando di non fare rumore. Si sedette, e anche lui appoggiò la testa sul materasso, accanto a quella della ragazza.

Chiuse gli occhi, sfinito, sperando che la loro vicinanza potesse far capire al fratello quante persone stavano aspettando che si svegliasse.

Così come un certo ragazzo italiano, che in quel momento stava piangendo, chiuso nel suo motorhome. E pregando, pregando con forza che quel meraviglioso ragazzo non si arrendesse.

Perché era inconcepibile che ciò che più amava potesse togliergli la vita.



BUONDÌ
La faccina felice c'entra poco in questo capitolo.
È triste, comprensibilmente. Spero sia riuscita a farvi sentire ciò che i nostri personaggi sentivano. Missione non facile, ma ci ho provato.
Spero vi sia piaciuto!
Alla prossima
Em xx

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