La sindrome dell'arto fantasma è la sensazione anomala di persistenza di un arto dopo la sua amputazione o dopo che questo sia diventato insensibile: il soggetto affetto da questa patologia ne avverte la posizione, accusa sensazioni moleste e spesso dolorose, talora addirittura di movimenti come se questo fosse ancora presente." C'è scritto su Wikipedia. Io mi sento così, come se mi avessero amputato qualcosa. È difficile da spiegare; non mi è stato strappato solo il cuore, anche il cervello non è più lo stesso, lo stomaco, i polmoni. Mi è stato tolto qualcosa. L'orgoglio, la dignità, l'autostima. Non sono una ragazzina inesperta, ho passato la trentina. Ho avuto altre relazioni, ho mollato e sono stata mollata, ma non ho mai vissuto uno strazio simile. Mi domando spesso cosa sia scattato di diverso questa volta. Lui mi ha mancato di rispetto, mi ha sminuita mettendomi in competizione con altre donne e mi ha gettata via come se non valessi nulla. Nessuno mi ha mai trattata così prima, allora perché non riesco a dimenticarlo? Credo di avere ancora bisogno di lui. Come un pianeta con il Sole, non posso combattere la forza di gravità. Orbitavo troppo vicina a lui e mi sono bruciata, ora sono così distante da congelare. Il fuoco della passione e il ghiaccio dell'indifferenza sono entrambi letali.
Anna mi prende in giro: "Cosa vuoi che sia un cuore spezzato? Ci sono passati tutti!", ma questa non è solo di una storia d'amore finita male. Sono stata derubata. Mi ha cercata lui, si è preso tutto l'amore e la vita che avevo dentro. A me non è rimasto nulla, se non la delusione. Ha recitato bene la sua parte. Mi ha corteggiata in un modo irresistibile, ha finto di essere qualcuno di cui era impossibile non innamorarsi. Gli ho creduto, sono stata ingenua, neanche per un attimo ho pensato che stesse fingendo. Ho seguito il mio cuore e mi ha condotto in un vicolo cieco, biasimo me stessa per la mia esagerata sensibilità, penso che gli stessi eventi non avrebbero avuto questo effetto su una donna "normale". Norah dice che non è stata solo colpa mia, anche lui ha la sua parte di responsabilità; insomma, certe cose non me le sono sognate. Mi aveva fatto delle promesse. Mi aveva invitato ad accompagnarlo a una trasferta all'estero, sarebbe stato un evento sportivo ufficiale e io sarei stata al suo fianco. Già mi vedevo sugli spalti, nella zona riservata alle celebrità, accanto a lui. Questa prospettiva mi aveva reso felice per una settimana intera e poi, senza avvisarmi, ha organizzato il viaggio escludendomi dal programma. Era partito da solo e io l'avevo visto alla tv, seduto sul palchetto d'onore tra un giornalista occhialuto e un'avvenente soubrette. Al suo ritorno non protestai, non manifestai il mio malessere per timore di infastidirlo e perderlo. Volevo mostrarmi matura, per nulla gelosa. Mi raccontò di aver cenato con quella donna e che si sentivano al telefono. Rimasi sconcertata dal tono placido con cui me ne parlava, come se fosse naturale, senza alcuno scrupolo per i miei sentimenti. Avrei dovuto dirgli quello che mi stava facendo e lasciarlo al suo squallore. Mi è mancata la forza di farlo e quelle parole mi sono marcite dentro, inquinando il mio organismo. Come dice Norah, devo smetterla di colpevolizzarmi, non è dipeso tutto da me. Certi eventi non si possono cambiare. Certi incontri non si possono evitare.
Lavoro come orafa in una gioielleria importante, nel fulcro vitale della città. C'è una comoda strada che da casa mia arriva dritta in centro in venti minuti, ma io non la uso più.
Mi tengo lontana da una certa zona, per la mia salute mentale. Devo evitare tutte le strade che percorrevo per andare a casa sua. Il caos di emozioni e ricordi che mi assalgono percorrendo quelle strade mi provoca ingestibili attacchi di ansia, perciò ho escogitato percorsi alternativi per spostarmi. Allungo la strada di parecchi chilometri, ma quando giungo a destinazione respiro ancora. Peggio di star male è star male e dover fingere di star bene. Continuare a lavorare, a conversare con le persone, continuare a vivere quando ti senti morta dentro. Per questo ho ridotto drasticamente ogni attività sociale. Lavoro sei ore al giorno, chiusa in un laboratorio, scambiando poche parole con il titolare e le commesse del negozio, il resto del tempo lo passo in casa, con Becky che non parla. Esco una volta alla settimana con le mie amiche solo allo scopo di incontrare lui e ho smesso di fare volontariato. Come posso aiutare gli altri quando non so aiutare me stessa? Norah e Anna fanno parte da anni di un'associazione di sostegno per le famiglie di malati di cancro, ci siamo conosciute lì. Sono stata a contatto con la vera sofferenza, ho incontrato famiglie devastate da lutti e malattie, ammirato la loro capacità di reagire. Li aiutavo a fare la spesa, sbrigare commissioni, ma non raccoglievo le loro confidenze. Ho smesso l'attività quando ho conosciuto lui. All'improvviso non avevo più spazio per nient'altro. Lui, il pensiero di lui, il nostro rapporto altalenante, assorbivano la totalità delle mie energie. Lui era al di sopra di tutto, persino più importante della mia salute. Sono consapevole che quanto mi è successo non è paragonabile alle sofferenze di quelle famiglie, eppure loro ce la fanno e io no.
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Cosa mi hai fatto
Mystery / ThrillerIniziò tutto su un social network, like, messaggi... divenne una storia esplosiva, bruciante come fuoco. Lily non riesce ad accettare che il personaggio pubblico con cui ha avuto un'intensa quanto fugace relazione l'abbia abbandonata all'improvviso...