Uno.

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Partiamo un giorno prima, si erano detti quando era venuto il fatidico momento di organizzare la trasferta sanremese, quella trasferta che si sperava fosse solo l'inizio, e non la fine della loro collaborazione, che andava avanti da mesi ormai, ma che non era ancora, per ovvi motivi, decollata.

In ogni caso, Fabrizio non rimpiangeva nemmeno un secondo delle passate settimane, e ancor meno il giorno in cui aveva detto a Ermal: "vieni nella mia camera, dobbiamo parlare".

Quel ragazzino timido e schivo, che sembrava chiuso verso tutto e tutti, l'aveva colpito subito.

La forza delle sue canzoni lo colpiva da sempre, dalla prima volta in cui l'aveva sentito, per caso. Ma durante il Festival, il torrente di emozioni che usciva solo e sempre quando attaccava il proprio brano, lo aveva completamente asfaltato.

Era come se Ermal, normalmente un guscio chiuso come il riccio attorno una castagna, sul palco esplodesse, come se incanalasse tutto il proprio cuore in quelle parole; a Fabrizio tornava la pelle d'oca solo a pensarci.

Chiunque avesse un minimo di empatia, poteva chiaramente capire che c'era più di retorica in quella canzone contro la violenza.

E l'idea di una collaborazione aveva iniziato a formarsi fin dal primo giorno di Sanremo, ma solo quando tutto era finito aveva trovato la forza, e soprattutto il tempo, di "rapirlo" per qualche minuto e parlargli.

E ora, un anno dopo o quasi, eccoli finalmente pronti a una nuova avventura, al test finale, quello che avrebbe detto loro se avevano perso tempo o meno.

Che poi no, non avevano perso tempo.

Anche se la loro canzone fosse stata un fiasco, Fabrizio non avrebbe mai definito una perdita di tempo le notti e i giorni passati in sala di registrazione, a casa sua, a casa di Ermal, in uno Starbucks a Londra perchè avevano deciso che dovevano staccare per qualche giorno e scappare dall'Italia. Quei mesi lo avevano arricchito, e gli avevano fatto conoscere una persona nuova, che gli aveva aperto gli occhi su un sacco di cose, di si sente parlare, ma che allo stesso tempo non arrivano davvero finchè non le vedi.

E Fabrizio l'aveva visto con i propri occhi:

Ermal era sempre e perennemente teso e all'erta, di questo Fabrizio se ne era accorto subito, quella sera in quella camera d'albergo.

L'aveva invitato a entrare e aveva, come sempre, chiuso la porta dietro di sè e poi fatto un passo verso di lui per invitarlo ad accomodarsi, ed era allora che l'aveva vista.

Una tensione che da normalmente impercettibile, era diventata visibile; i suoi occhi erano immediatamente saettati dalla finestra alla porta del bagno per poi tornare sulla porta d'ingresso.

Il tutto non era durato più di mezzo secondo, nemmeno il tempo di pensare a che diamine fare per metterlo tranquillo.

E poi Ermal era semplicemente tornato sè stesso, e gli aveva fatto un mezzo sorriso, come a scusarsi di quell'attimo di puro terrore, come una preghiera di non fare domande.

Fabrizio si era voltato verso il minibar, e ne aveva estratto due bottiglie di birra, perchè quando non sai cosa fare, la birra è sempre la soluzione giusta.

Ermal non amava le porte chiuse. Specialmente se tra lui e la porta c'era qualcun altro sulla via più breve per arrivarci.

E dal momento in cui se ne era accorto, Fabrizio ci faceva particolarmente attenzione, specialmente quando la suddetta porta era l'unica via d'uscita percorribile, a meno di non volare giù dal chissàqualesimo piano.

E non gli piacevano i rumori improvvisi.

E i movimenti fulminei.

E le cuffie insonorizzanti.

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