prologo

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Non ci credo, un'altra volta!
Neanche in un anno è già la terza volta che mi ritrovo in questa situazione, e devo dire che è anche poco rispetto a tutte le cose che combino.
Ancora una volta mi ritrovo nell'auto dei carabinieri, nel mezzo della notte.
Hanno pure acceso la sirena, ma credo sia per il loro divertimento, visto che con la scusa possono correre per le strade.

Il mio nome è Cheryl Ross e ho 19 anni.
Ho dei capelli castani scalati fino alle spalle e occhi verdi.
Sono cresciuta con mia madre in una piccola casa nella periferia di Seattle.
Mia mamma è sempre stata apposto, ma non mi ha mai dedicato tanto tempo. Lei ha sempre lavorato tanto, per portare a casa quei pochi soldi che ci servivano per sopravvivere, e ha sempre rinunciato a parecchie cose per la mia istruzione.
Lei non vuole mai parlare di mio padre, schiva sempre l'argomento.
Morì quando io avevo solo sette anni, e lei mi disse che fu un incidente sul lavoro, ma io non me la sono mai bevuta. Non so neanche che lavoro facesse, perché nessuno me ne vuole parlare.
Questa cosa mi uccide, sono una persona molto curiosa e determinata, e rimanere all'oscuro di certe cose non mi piace affatto.

La macchina si è fermata, e uno dei carabinieri apre la portiera facendomi scendere. Non capisco la necessità di mettermi le manette, e anche di portarmi qua. Non ho fatto nulla di grave infondo.
Entriamo nell'edificio, e nonostante siano le due di notte c'è un gran baccano.
<< Ross, ancora qua?>>
Per fortuna qua trovo sempre l'unico carabiniere simpatico.
<< Sa com'è, qua ci si diverte.>>
Dico roteando gli occhi.
Lui accenna una risata e mi fa segno di seguirlo.
<< Che hai combinato stavolta?>>
<< Problemi in discoteca, niente di che.>>
Percorriamo un lungo corridoio e finalmente, se così si possa dire, arriviamo alla mia cella.
<< ventiquattro ore e sei fuori, e niente più cazzate, non voglio più vederti qua.>>
Annuisco sarcasticamente.
Le sbarre vengono chiuse e da una parte sono soddisfatta di essere qua, avrò un po' di pace.

<< Avrò una bella compagnia.>>
Sento dire alle mie spalle. Non me lo aspettavo, solitamente stavo da sola.
Mi volto e vedo un ragazzo seduto per terra. Per il poco che riesco a vedere, noto i suoi disordinati capelli neri e i suoi profondi occhi di tale colore.
Indossa una canottiera che mette in mostra le sue muscolose braccia, ed è aderente al punto giusto per far intravedere gli addominali.
Devo ammettere che non è male.
<< Sono solita a stare da sola in cella, non so se mi piacerà la tua compagnia.>> Mi appoggio al muro.
<< Molto spesso da queste parti?>>
<< Capita spesso, tu invece, prima volta o abituato come me?>>
Sento il suo sguardo addosso, non che ci sia altro da guardare, ma è una bella sensazione.
<< Questo postò è tecnicamente la mia seconda casa.>>
<< Siamo messi bene.>>
Parlare un po' non mi farà male, sopratutto adesso che ho vicino una persona simile a me.
<< Io sono Cheryl, ho 19 anni.>>
<< Christian Evans, 22 anni.>>
Dalle sue parole sembra un tipo freddo, ma i suoi occhi dicono il contrario. Misteriosi e profondi ma con un velo di dolcezza che riesco a cogliere.
Lascio scivolare la mia schiena contro il muro, rimanendo seduta  sul pavimento. Saranno delle lunghissime ore, dovrò cercare di stare comoda per quanto si possa esserlo.
<<Allora, Cheryl. Per quale ragione ti trovi qua, insieme a me, stasera?>>
<< Niente di che. Ero in discoteca con delle amiche, un ragazzo si stava avvicinando troppo, e quando le parole non bastano, allora si passa ai bicchieri.>>
<< Cosa intendi con bicchieri?>>
<< Intendo che gli ho spaccato un bicchiere in testa. Gli sta bene, se lo è meritato.>>
Odio il fatto che una persona in discoteca non si possa semplicemente divertire tra amici. Sono single al momento, e tale voglio restare. Non voglio stare male per una persona, piangere e credere di essere io il problema. Meglio sola che mal accompagnata, di questi tempi non se ne trova uno decente. 
<< Tu che hai fatto?>>
<< Ho rubato qualche pacchetto di sigarette.>>
<< Per 'qualche', intendi?>>
<< I due scatoloni che erano nel magazzino. Cazzo, mi sarebbero bastate per un mese.>>
Che idiota, per qualche sigaretta. Io non ne trovo il senso.
<< Ed eri solo?>>
<< No, gli altri due coglioni sono usciti chiudendo la porta del magazzino e lasciandomi bloccato dentro.>>
Mi scappa una risata. Sembra tanto duro, ma raccontandomi questa cosa successa sembra tanto lo sfigato di turno.
<< Cosa hai da ridere? Tu probabilmente hai spaccato la testa a un tizio solo perchè voleva ballare con te, almeno io non mi sono fatto arrestare per colpa mia.>>
Adesso fa anche la vittima.
<< Senti bello, tu non c'eri in discoteca, saprò io che tipo era quello là. E poi, coglione tu che ti sei fatto chiudere dentro.>>
I nostri occhi non smettono di guardarsi. E da due sguardi infuriati , uno scontro fa nascere un momento di debolezza che fa sorridere entrambi.
Non lo conosco, ma non riesco ad arrabbiarmi con lui.

<< Parlami di te, Cheryl.>>
Continua a ripetere il mio nome. Non so perché lo faccia ma mi sta bene, adoro il suono del mio nome che esce dalle sue labbra.
<< Vediamo, oltre cacciarmi nei guai, andare a ballare e stare fuori con gli amici, mi piace leggere. Lo so, nessuno lo direbbe, ma mi piace leggere altre storie e immedesimarmici dentro, così non penso a quanto faccia schifo la mia vita e per qualche ora mi sento una persona migliore, in una vita migliore.>>
Il ragazzo si alza lentamente e incomincia a camminare nella mia direzione, per poi sedersi affianco a me.
<< Perché pensi che la tua vita faccia schifo?>>
Fa male parlarne, ma ogni tanto le cose vanno buttate fuori.
<< Ecco, forse sono io che non mi sforzo per far si che le cose vadano meglio, ma da quando è morto mio padre mi è crollato tutto addosso. E la cosa peggiore è che mia madre fa finta che non sia successo niente, vedi, io so che lei dentro sta male, ma non ne parla mai. Io non so neanche come è morto. Lei, i miei parenti, tutti, mi dicono che è stato un incidente sul lavoro, ma io non me la bevo, c'è qualcosa sotto. In ogni caso mia madre ha sempre fatto di tutto per garantirmi una buona istruzione, con quei pochi soldi che abbiamo, lei mette al primo posto la mia scuola. È per questo che vado all'università regolarmente.>>
Credo che possa bastare.
<< Nella tua vita invece, va tutto alla grande?>>
Mio dio risulto terribilmente antipatica, insomma, spero che a lui vada tutto bene.
<< No. Mi dispiace per tuo padre, ma qua nella situazione peggiore ci sono io.>>
I suoi occhi che prima fissavano il vuoto ora incontrano i miei.
<< Sono morti entrambi i miei genitori quando avevo dieci anni e non avendo altri parenti che avrebbero potuto prendersi cura di me mi spedirono all'orfanotrofio. Nessuno ha mai voluto adottarmi, chi avrebbe voluto un bambino come me.>>
Scoppia in una risata, che però esprime tanta tristezza e rabbia, lo si vede nei suoi occhi.
<< Non dire così, avranno avuto altri motivi.>>
<< No, Cheryl, sono sempre stato un fallimento. Ero il bulletto dell'orfanotrofio, come sarei potuto crescere? Ai sedici anni sono diventato indipendente, sono uscito da quel postaccio e mi ritrovo qua, in questo mondo schifoso. Spero di averti fatto sentire meglio.>>
Sono a pezzi. Pensavo la mia vita fosse la peggiore, e ascoltando lui ho capito che non sono al centro dell'universo.
<< No, non mi sento meglio per niente. Mi dispiace tanto Christian.>>
<< Almeno tu mi puoi capire, siamo più o meno nella stessa situazione.>>
Sottolinea il più o meno.
<< Dimmi, ti serve a qualcosa la compassione degli altri?>>
Mi guarda aspettando una mia risposta.
<< No.>>
Non riesco a parlare, in questo momento mi fa quasi paura.
<< Meglio starsene zitti allora.>>

Otto ore.
Il mio orologio segna le dieci del mattino e sono quattro ore che sono chiusa in questo posto. Il silenzio mi sta uccidendo.
<< Come sono morti i tuoi genitori?>>
Non vuole la compassione? Bene, allora lo farò parlare, mi ha trattato malissimo prima, adesso vediamo come se la cava.
<< Come dici?>>
<< Ti ho chiesto, come sono morti i tuoi genitori?>>
Lo fisso negli occhi, non voglio perdermi neanche una parte delle sue reazioni.
<< Non lo so, incidente d'auto credo. Non ricordo niente, o meglio, nessuno mi ha spiegato niente. Ricordo solo che mi hanno portato all'orfanotrofio due uomini, nient'altro.>>
Ed ecco che mi sento ancora in colpa.
<< Capito.>>

Sedici ore.
Ancora silenzio e poi si sentono le sbarre aprirsi.
<< Evans puoi uscire.>>
Christian si alza velocemente e si avvia all'uscita della cella.
<< Non dimenticarti di me, ci rivedremo, Cheryl.>>
Mi saluta con un occhiolino ed esce accompagnato dalla guardia.
Dubito altamente che ci rivedremo, è tecnicamente impossibile.

Otto ore.
Mancano solo otto ore e sarò fuori da qui.
Saranno delle lunghe ore che passerò a pensare e la mia mente sarà occupata da quel nome: Christian Evans.

Ciao!
Penso di avere un idea originale per questo libro quindi spero vi abbia ispirato. Se così lasciate una stellina e un commento, grazie!
Giulia❤️

Cuori criminaliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora