1- La Classe Non È Acqua

37 0 0
                                    

Il tubino mi stringe sulle gambe limitandomi i movimenti e facendomi sentire un pinguino paraplegico.

Ci sono due possibilità:

O si è ristretto in lavatrice o sono ingrassata io.

Credo nella seconda ipotesi, spero nella prima.

Cammino il più velocemente possibile verso l'ufficio cercando e sperando di non inciampare e cadere con questi tacchi vertiginosi.
Stranamente -non è vero- sono in ritardo e fortuna vuole che questa mattina non ci fosse un posto libero dove parcheggiare la macchina nel raggio di un chilometro.

Dopo minuti di camminata e male ai piedi finalmente varco la soglia dell'edificio che porta il mio nome.

No, rettifichiamo, se la metto così sembra che me la tiro.

Dopo minuti di camminata e male ai piedi varco la soglia della pasticceria.

No, così sembro un obesa.

La pasticceria porta il mio nome quindi è mia.

Cioè non il mio nome, ma il mio cognome.

E non è mia, ma della mia famiglia, io in realtà non metto praticamente mai piede nei laboratori in cui cucinano, sto in ufficio e mi occupo della parte finanziaria.

Ok si non sono molto brava a fare discorsi, forse per questo a scuola avevo sempre il debito in lettere, sono più brava con i conti.

Fatto sta che entro e percorro il più silenziosamente possibile i corridoi sperando di non farmi sentire da mio padre che dall'altra parte del muro lavora nelle cucine.

Mi ammazzerebbe se scoprisse che sono per l'ennesima volta in ritardo.

La prima cosa che faccio quando arrivo nel mio ufficio è far volare dall'altra parte della stanza le fastidiosissime scarpe e indossare le mie adorate ciabatte azzurre brillantinate con disegnate tante piccole scimmiette che ballano, le indosso sempre mentre lavoro per stare più comoda.

Finalmente a mio agio mi metto all'opera.
A breve la pasticceria Webber -si lo so quella volta mio padre ha avuto molta fantasia nel scegliere il nome- avrebbe innaugurato il suo ampliamento, ovviamente quel giorno avremmo dato un rinfresco con prodotti offerti dalla casa fatti da noi.

Ero lì da due ore che mi scervellando, I conti non quadravano.
Da un anno a questa parte le entrate erano aumentate a tal punto da poterci permettere un restyling , avendo speso più soldi del previsto però ora dovevamo stare attenti alle uscite e usare con parsimonia ciò che avevamo.
Eppure di punto in bianco eravamo al verde.
Forse ero stata io a non aver tenuto in considerazione qualche fattore.

Guardai spaesata gli innumerevoli fogli sparsi per la scrivania e non sapendo cosa pensare, ci appoggiai la testa sopra.

Dieci minuti dopo o forse di più - molto probabilmente mi ero addormentata- alzai la testa.

Mi prese il panico.
Ero diventata cieca .
Ero troppo giovane per perdere la vista.
E poi così improvvisamente?
Credevo che fosse molto più graduale come cosa, come avrei fatto a fare calcoli se non riuscivo a vedere i numeri?
Avrei dovuto imparare a leggere il braille? Davvero?
Io che a mala pena ero riuscita ad imparare a leggere l'inglese?

Ah no
Non ero improvvisamente diventata cieca
.

Anche se già mi ci vedevo a camminare per la città con un bastone, picchiare a caso le persone e poi giustificarmi dicendo che pensavo fosse una pignatta.

Staccai dalla faccia il documento che mi ci era rimasto appiccicato e lo rigirai tra le mani un po, poi lo lessi, senza sperare però di trovarci qualcosa di interessante.
Quando capì di cosa si trattava sobbalzai dalla sedia e corsi da mio padre facendo uno scatto che Usain Bolt levati proprio.

Sta volta mi avrebbe sentito.

Entrai in laboratorio come una furia buia pronta a scaraventare tutta la mia rabbia contro l'artefice della mia esistenza.

La trentina di presenti nella stanza si girò all'improvviso verso di me e io rallentai la mia marcia da terminator fino a fermarmi spaesata.
Ero nel posto giusto?

Proprio in quel momento mi passò davanti Charles che mi squadrò da testa a piedi stranito dalla mia presenza lì dentro, poi si soffermò sui miei piedi
<Bello il tuo outfit da ufficio> mi prese in giro mio fratello divertito.

Porca paletta

Le ciabatte

Diventati rossa come un pomodoro. Pazienza ormai ero lì, di sicuro passavo ancora di più per ridicola se dichiaravo la ritirata e scappavo via.

<Cosa ci fanno qui tutte queste persone? > domandai
<Sono stagisti testina, oggi è il primo giorno>
Mi ero completamente dimenticata che oggi sarebbe cominciato lo stage.

Mi presi un momento per superare l'imbarazzo, certamente il colore della mia faccia era in tinta con i capelli rosso fuoco.
Alzai la testa fiera e mi diressi verso mio padre, guardate le mie ciabatte e imparate plebei, questa si che è classe.

Tutto il resto sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora