Capitolo 2

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Il sabato non mi è mai piaciuto, il sabato è un carnevale, la gente si veste, si addobba come fosse un albero di Natale, poi finge di essere entusiasta, finge di stare così bene da credere che quella sera gli cambierà la vita, crede che basti vestirsi e mettersi una maschera in faccia per fare in modo che quella diventi la "sera". La verità è che ogni persona adulta o giovane che sia spera che il sabato, conclusione di una settimana, alleggerisca i pesi sulle spalle, ognuno si ritrova a sperare che il sabato si porti via i tormenti di una settimana, di un mese, di una vita. Ma il sabato è solo un giorno, i giorni non salvano le persone, nessuno ci salva se non noi stessi, possiamo essere aiutati, possiamo aggrapparci e in quel caso non ci saremo salvati, semplicemente illusi, che poi è un po' come fingere e sappiamo come la finzione aiuti a sperare e sperare ti fa andare avanti. Siamo tutti vittime di un ciclo interminabile dove l'unica vittima è colei che apre gli occhi. Purtroppo mi ritrovo a dire che io sono fra quelle che non hanno avuto scelta, quelle a cui la vita ha spalancato gli occhi, quelle che hanno visto e avrebbero voluto non farlo, si stava meglio sotto il leggero velo che ricopre la maggior parte degli uomini: l'ignoranza.
Come ogni sabato non so bene cosa farò, mi piace sperare ed è forse questo che più impegna questa mia giornata: spero e basta, spero che qualcosa cambi, che io cambi o forse il mio modo pessimistico di sopravvivere possa anche minimamente cambiare eppure mi ritrovo ogni sera con più cocci di prima e meno forza. Mi alzo con molta fatica e mi soffermo un attimo a guardare fuori e noto come l'inverno si stia facendo spazio gelando ogni cosa intorno a se, quasi volesse conservare qualche ricordo tra quelli ormai abbandonati e morti a causa dell'autunno che non ha portato altro che un'immensa tristezza. In realtà è da un po' che convivo con l'autunno, mi porto dentro solo una grande devastazione ed ogni cosa è secca e spenta, ogni cosa è ormai morta e vorrei poter attendere la primavera, ma sembra che per me non ci sia, che io debba accontentarmi di un eterno silenzio. Mi dirigo in bagno dove mi specchio e vorrei davvero non averlo fatto in quanto la mia figura riflessa sembra quella di un essere ancora non ben identificato e mi scappa un suono che dovrebbe somigliare ad una risata, perché sì, sono una grande amante dell'autoironia; alla fine credo che se mi avesse visto qualcuno, avrebbe riso anche lui: ho i capelli castani che tendono a formare un cespuglio in testa, i miei occhi azzurri sembrano due grandi biglie e sembrano quelli di una bambina eppure vorrei che questi occhi non appartenessero mai  a nessuno, soprattutto ad una bambina; i miei occhi sono come due lampadine spente, se qualcuno si soffermasse più del dovuto noterebbe quanto in realtà non ci sia nulla, quanto il male possa distruggere tutto e se cercasse più giù troverebbe le tenebre ed intravedrebbe qualche demone perché io di quelli ne ho troppi e nonostante cerchi di tenerli a bada, loro non mi lasciano, vivono con me e mi ricordano che io non esisto più. Ho il viso pallido e scavato, le labbra costantemente rosse e due grandi occhiaie come marchio di fabbrica, come regalo delle mie notti insonni dove quando mi va bene, dormo anche tre ore, ma ormai ci ho fatto l'abitudine, ormai mi tiro su e cerco di finire la giornata senza nessun nuovo taglio, cercando di fingere come se fossi la migliore attrice e soprattutto cercando di non crollare, cercando di non perdere l'equilibrio perché se mai dovessi fermarmi e perdermi, loro mi sopraffarebbero, io scomparirei annullata da loro che non sono altro che i miei amici del passato, squarci che continuano a sanguinare, ferite che non posso e non devo curare in quanto se non fosse per loro, smetterei di sentire quel poco che sento e di diventare grigia non se ne parla. Mi faccio una doccia e lavo via i brutti pensieri e i vizi e le abitudini che mi logorano un po', lavo via preoccupazioni e l'odore di malinconia, lavo via ogni briciola di speranza che tutto questo groviglio possa davvero andare via con un po' d'acqua. Mi asciugo e mi chiedo cosa farebbe un ragazza dalla mia età il sabato mattina: poterei cercarmi un lavoro, dato che che l'ultimo l'ho perso a causa della mia testa sulle nuvole e del mio brutto caratteraccio; potrei giacere inerme e attendere che tutto passi; potrei andare a comprare un nuovo telefono, visto che l'ultimo l'ho tirato contro il muro e si è leggermente rotto in mille pezzi. Potrei semplicemente uscire e cambiare aria, potrei cambiare io tanto per iniziare, mi ricorda la mia coscienza.
Indosso velocemente un paio di jeans a vita alta ed una maglietta semplice bianca, le mie all star nere e il giubbotto di pelle anch'esso nero. Prendo lo zaino e ci infilo il necessario e così anche i miei occhiali da sole. Riguardo il mio riflesso allo specchio e la situazione è sempre la stessa, se non peggio. Saluto Dorian e mi precipito fuori dal mio appartamento chiudendo la porta e lasciandomi alle spalle il luogo che racchiude tutti i miei segreti. Se mai le mura dovessero parlare, sarebbe la fine. Rido dei miei pensieri ed inizio a camminare senza avere una precisa meta, anche se poi finisco sempre lì, il mio amato bar. Sì, ho un bar che preferisco ed anche altre stranezze, ma nessuno dovrà mai saperle. Entro e subito l'odore dei dolcetti alla cannella mi investe e fa in modo che il mio stomaco reclami cibo, non che mangi tanto in questo ultimo periodo, ma la mattina ne sento la necessità. Mi guardo intorno e tutti sembrano presi nel loro mondo, ognuno vive la sua vita ignorando completamente quello che accade intorno a loro, vorrei urlare qui e vedere quanti finalmente si desterebbero dai loro pensieri, vorrei portarli a guardarsi attentamente intorno e dirgli che nulla va tralasciato, che se solo stessimo bene attenti smetteremmo di credere che quei film di mostri siano solo film di fantascienza, capiremmo che i mostri sono reali che perseguitano ed uccidono delle volte. L'unica cosa che faccio è quella di cercare mentalmente il mio tavolo, ma per la prima volta lo vedo occupato e questo monta in me un fastidio inspiegabile, come mi avessero rubato qualcosa di prezioso, qualcosa di mio, come se si fossero appropriati di un pezzo della mia quotidianità ed io non voglio condividere la mia vita con nessuno. Essere gelosi di un tavolo? Forse non è solo quello, ma  ci vuole tempo e pazienza per capirlo.
Guardo, ammazzo con lo sguardo chiunque sia lì seduto, ma inevitabilmente i miei occhi incontrano due occhioni verdi e le mie gambe un po' vacillano. So perfettamente chi sia: è quel grandissimo prepotente e scorbutico ragazzo che si è presentato in libreria!
Tutti questi giudizi affrettati, sembra che qui qualcuno sarà pronto a cambiare idea...
Zittisco la mia mente malata e ancora più irritata, forse per il fatto che non sia un semplice ragazzo, ma lui, mi reco verso quel tavolo, il mio tavolo.
Arrivo e mi fermo, lo guardo incenerendolo, ma lui sembra così tranquillo come se non ci fosse una pazza che sbuffa davanti a lui. Dal suo canto sento una risata cattiva, quelle risate che fanno i cattivi dei film quando sanno di aver attirato nella loro trappola la preda indifesa. Una risata amara, un invito a scappare. Ma io i guai li ho sempre affrontati di testa, li ho presi tutti in pieno, perché sono io il mio pericolo più grande e questo per me è un modo per sopraffare ciò che sento, almeno per un po'. Lo guardo e ho capito più o meno di che genere di ragazzo si tratti e lui fa proprio a caso mio, lui mi servirà a nascondere un po' di quel dolore, un po' di quel nulla che mi ha uccisa. Sorrido nella mia mente ed è subito un "pronti, partenza e via!".
Che i giochi abbiano inizio!
«Sai, una parte della mia testa ha subito collegato al tuo dolce visino l'idea di una fuori, con le rotelle completamente da un'altra parte, l'unica persona che potrebbe avere un tavolo dove si siede e senza il quale potrebbe fare a meno. Appena mi è stato riferito che alle 10:30 avrei dovuto prendere le mie cose ed alzarmi, solo perché sarebbe arrivata una cliente che non accetta repliche, pensavo si trattasse di qualcuno che contava, allora chiesi a qualcuno, non allo stesso ragazzo, evidentemente follemente innamorato, ma ad una biondina piuttosto carina e disponibile, la quale non ha esitato a dirmi che si trattava solo di una ragazzina ossessionata dalle sue abitudini, una ragazzina che ogni giorno ripete le stesse identiche azioni e così via per tutta la settimana e le settimane a seguire. Una ragazzina ed il suo ciclo infinito. Ma sai cosa mi sono detto? Che sarei rimasto e mi sarei infilato in una tua abitudine e avrei così apportato una novità e sai? Mi aspettavo attacchi di panico o svenimento e quant'altro, questo mi ha sorpreso, ma scombussolato ed ora mi chiedo se tua sia ancora sana o completamente fottuta.» No, io non parlo, lascio fare a lui. Vorrei dirgli che di sentenze sul mio conto ne ho sentite parecchio, ma nessuno si è mai avvicinato alla verità. L'ho sempre tenuta così lontana ma così vicina che nessuno ha mai guardato sotto il suo naso. Crediamo che le persone difficili lo siano e che per questo dobbiamo iniziare una ricerca infinita per far breccia nelle loro vite, ma in realtà le persone difficili non sono altro che persone che mettono la propria vita in bella vista, persone che si vestono di tutte le verità più crude ma che nessuno vede, tutti presi in qualche ricerca impossibile. Ora, qui, lui sta facendo qualcosa che nessuno ha mai fatto, mi sta studiando, ma non partendo da una conclusione, sta partendo dal nulla ed é dal nulla che si generano le peggiori cose.
Mi guarda nella occhi e gli consento di guardarli, si forma una piega sulla sua fronte, è infastidito, non legge nulla ed io sorrido.
Questo gioco è mio, comando io. Non saranno quattro frasi a far cadere le mie mura, sempre se ci siano mura. Non c'è nulla dietro, ma questo non lo sai. Pensi che sia misteriosa? Pensi che tu debba scoprire cosa c'è sotto, avanti. Ti sfido, ma stai attento. Ho giocato e ho sempre vinto. Mi piace la gente come te, quelli dannati, quelli con il mondo contro. Ti credi potente, ti credi il demone in persona ed io ti lascerò credere questo e fingerò che tutto vada come vuoi tu. Saprai ciò che vuoi sapere, ma sappi che non si gioca con le cose più grandi di te. Arrenditi ora che puoi, lascia perdere, non finisce mai bene.
Non andò come avrei sperato, avrei dovuto guardare quegli occhi verdi e avrei dovuto capire che c'era qualcosa che non andava, ma la rabbia e loro mi stavano soffocando ed erano sempre di più ed io avevo un tremendo bisogno di volare via.
Lui ad un tratto inarca leggermente la bocca verso su ed è quel sorriso che mi ha fatto capire che dinanzi avevo lui, il più temibile tra gli angeli.
«Ti ho vista mentre guardavi ogni minimo particolare, ti accertavi che fosse tutto uguale, ma non è andata così. Quando mi hai guardato, lì ho visto che tu di sano non hai proprio nulla. Non ti aspettavi questa mossa, una falla nel sistema e qualcosa è andato in cortocircuito, ma sei stata brava a riprendere le redini in poco, pochissimo tempo, ma a me è bastato per capire. Per vedere da che parte stai. Mi hai colpito in libreria, la finta tonta ti riesce bene e vediamo quante altre cose sai fare.» ride di gusto ora, ride forte e si alza. Prende il suo diario in pelle, prende il giubbotto e non lascia nulla, nulla di lui e così farà sempre. Lui non lascia che il nulla, il vuoto più assoluto così assordante che finirai per chiederti se ci sia mai stato, se sia stato reale e no, non avrai mai una risposta. Prima di andarsene sbatte contro la mia spalla, appositamente e dice: «ho sempre adorato le bambine che vogliono provare giochi da grandi, ma stai attenta, sai a cosa stai andando in contro? Valuta bene con chi vuoi giocare, non sottovalutare i dettagli. Addio, ragazzina»
Il problema è che io l'unico dettaglio che vidi fu il suo stare fermo in un mondo che corre. Questo fu il primo di tanti addii, una sola parola che iniziò ad assumere mille sfumature, finché non arrivò il bianco, finché divenne reale.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 10, 2018 ⏰

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