Certi odori son macchine del tempo.
*
Dove ho già sentito questa fragranza? Non riesco proprio a ricordare, eppure ho avuto come un flash non appena ha sfiorato le mie narici.
"Come si chiama il profumo che hai messo oggi?".
Lui si apposta dietro alla nuova poltrona di pelle arancione tutta stondata. Si vede che l'ha scelta solo per la sua comodità, forse non c'era altro colore, oppure semplicemente è daltonico visto che non ha nulla a che vedere con il resto dell'arredamento. È il cosiddetto pugno nell'occhio, ma appare morbida come una nuvola.
Si annusa il polso e solleva le sopracciglia soddisfatto. Guardo le rughe mettersi in fila sulla sua fronte, intanto lui mi si avvicina per accomodarsi al suo posto.
"Non lo so, non me lo ricordo. Me l'ha regalato mia moglie", e sprofonda, lasciandosi abbracciare da quella grossa zucca girevole. Annuisco e lui mi guarda da sopra agli occhialetti.
"Perché?", domanda curioso.
"È buono".
"Glielo dirò".
"No. So che non lo farai".
Sorride sornione, ma non ricambio, resto una lapide e lui prende il suo blocco, la penna e si sistema le piccole lenti quasi a voler ripristinare la conversazione.
"Riprendiamo dal sogno?", accavalla la gamba come è solito fare.
"Non ho altro da aggiungere". Lui apre la bocca, ma non gli permetto di dire altro. "Richard, quando hai deciso di prendere questa poltrona, hai pensato ai mobili del tuo studio o eri senza occhiali?"
"Mya", si sporge verso di me con un'occhiataccia greve. "Due cose: non cambiare discorso e non chiamarmi per nome". Alzo gli occhi al cielo e sbuffo. "Io qui per te sono il dottor Sloan", si irrita. Ignoro il suo sbraitare elegantemente contenuto. "E poi non porto gli occhiali. Questi sono solo per leggere da vicino, sono affetto da presbiopia, lo sai".
Incrocio le braccia e metto il broncio. Quella posizione lui la conosce molto bene. Solleva solo un angolo delle labbra, crede di avere qualche speranza probabilmente.
"Riprendiamo dal sogno", ritenta, preferendo non darsi per vinto. La sua è una virtù, gliene do adito e lo ammiro per questa sua faccia da 'la speranza è l'ultima a morire', ma con me perde. Intanto pensa di aver sciolto, almeno in parte, il grosso nodo che porta alla comprensione del mio cervello. "Quello è la chiave di tutto: il sogno".
Io continuo con il mio mutismo. Se non fosse per mio fratello, non sarei nemmeno entrata qui, oggi. Sospira come rassegnato, ma non lo è.
"Mya...", scuote il capo.
"Due cose, dottor Sloan", lo interrompo ricalcando il suo titolo e guardandolo dritto negli occhi. "Io qui per te sono la signorina Plath".
"Giusto. Manteniamo un rapporto professionale. E l'altra?".
"E l'altra..." allungo una mano e afferro fermamente la sua cravatta: questa volta non accetto un no. Lui inspira, ma non si lascia trascinare. Ammutolito, sbatte le ciglia al ritmo dei fremiti che lo stanno invadendo.
"Potrei essere tuo padre..." borbotta non troppo convinto. Sono talmente vicina che sento il suo fiato sulla bocca. Quante volte gli ho detto di smettere di fumare...
"L'incesto non l'ho ancora provato, dottore, ma non disdegno nulla".
Tiro ancora un po' la sua cravatta e sento che non oppone più resistenza. Mi lecco le labbra e lui le guarda come incantato. A questo punto mi passa ogni voglia e allentando la presa, passo ad adagiare i palmi delle mie mani sulle sue spalle. Con un colpo secco lo spingo via. La sua schiena sbatte sulla pelle arancione della poltrona, segno che ci ho messo troppa forza nell'allontanarlo.
Il profumo della sua colonia invade ancora i miei recettori, mi sta venendo mal di testa. Mi alzo e decido di andarmene nonostante l'ora sia pagata per intero e io non abbia nemmeno riscaldato la sedia.
"Come immaginavo, signorina Plath".
La sua voce soddisfatta mi spinge a girare la testa e a tentare di capire cos'abbia fatto per renderlo così contento. Ha un sorriso che pare quasi deridermi e ora è lui a leccarsi le labbra compiaciuto.
"Sono mesi che ci provi, ragazzina", lascia la poltrona e viene dietro di me. Guardo dritto di fronte e il suo attestato da Psicologo appeso al muro cattura la mia attenzione: è storto e mi dà sui nervi. Inoltre la cornice dorata stona con la carta da parati, è proprio vizio allora!
Nel frattempo il calore del suo corpo raggiunge la mia schiena e si insinua anche più in basso, aggrappandosi alle natiche. Il contatto mi fa sussultare, ma resto immobile, sono curiosa di capire dove voglia arrivare. Sento le mani posarsi sui fianchi e poi risalire su, verso i bottoni della mia camicetta.
Gliele blocco prima che i polpastrelli arrivino a toccarmi le estremità dei seni. Guardo le mie mani sulle sue e penso a quante volte le ho desiderate. Le voglio anche adesso, però sono confusa, non capisco a che gioco stia giocando.
Gli occhi tornano fissi sulla cornice storta, intanto la bocca di Richard sfiora i miei capelli e poi il lobo destro.
So cosa fare, adesso.
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M Y A
Short StoryQuella sera non c'erano stelle, né a puntellare il cielo, né ad accendere la luce che da sempre portavo in me. Il nero, solo il nero assoluto, dentro e fuori. Forse fu proprio quel giorno che iniziai a perderla: l'anima. No, no... Un'anima ce l'ave...