1 - Emil

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CAPITOLO DAI TONI FORTI

Sii gentile.

Dimostra di essere un bravo ragazzino.

Si lasciò gettare in ginocchio sul pavimento sporco, accettò le mani che gli stringevano i capelli e le altre che gli toccavano la schiena, ruvide e decise. Accettò le dita che lo esploravano fra le cosce e i denti che gli percorrevano la pelle, graffiandola. Percepì le parole appena sussurrate, le lasciò scivolare lontano insieme alle brevi risate di attesa e ai respiri umidi e accelerati.

«Sei sicuro che sia maggiorenne?»

«Non lo so e non mi interessa.»

La risposta gli arrivò in pochi mormorii quasi incomprensibili, li cancellò, non erano importanti.

Cosa lo era?

Si lasciò aprire le gambe e sollevare il volto.

«Succhia.» Un ordine che eseguì senza opporsi, perché a quello serviva.

Nient'altro che a quello.

Aveva imparato, aveva accettato e l'aveva fatto in fretta.

Sei un bravo ragazzino...?

Si sentì soffocare, d'istinto si ritrasse, ma l'uomo in piedi davanti a lui non glielo permise. Gli si infilò più a fondo in gola, accompagnando i movimenti bruschi con un grugnito. Lo tenne immobile. «Stai fermo, so che ti piace» sibilò.

Bravo, così...

Emil controllò il respiro e serrò gli occhi. Si aggrappò ai fianchi dello sconosciuto per non crollare.

E poi furono ancora mani che stringevano e unghie che graffiavano e saliva e sudore e respiri spezzati contro la pelle gelida . Ma non lacrime. Quelle le aveva terminate da troppo tempo per ricordare cosa fossero.

Si costrinse a ridurre la tensione dei muscoli mentre permetteva all'uomo dietro di lui di penetrarlo, perché non serviva - e non gli era permesso - opporsi. E perché così, forse, avrebbe sentito meno dolore.

Lasciarli sfogare, in modo che finissero in fretta. Questo sapeva fare, ed era bravo.

Un bravo ragazzino obbediente... sì.

Restò in silenzio, nessun gemito sfuggì dalla sua gola, nessun rumore, nessuna ribellione. Solo il peso dei corpi che lo bloccavano, solo i colpi sempre più vigorosi e le mani a trattenerlo alle tempie e alla vita.

Non gridare.

Non permetterti di gridare...

Era stato istruito bene, aveva imparato bene. Obbediva, nient'altro.

Bravo ragazzino... silenzioso.

Emil fece quello che sapeva fare meglio.

Obbedì.

Restò in silenzio.

Aspettò.

Chiuse la mente, come sempre alla ricerca di un appiglio per annullarsi, per illudersi di non essere lì, di non essere diventato quello che era. O, più semplicemente, per dimenticare di non aver avuto abbastanza coraggio, in passato, da impedirlo.

Non lo trovò e si costrinse a restare fermo, aggrappandosi a una supplica appena percettibile dentro la mente.

"Finite... finite, per favore."

Furono rapidi ma non abbastanza. Non lo erano mai abbastanza.

Lo lasciarono sdraiato sul pavimento lercio, gli occhi bene aperti, fradicio e immobile, a ingoiare il suo respiro e il dolore che conosceva da troppo tempo.

Strinse i denti, continuando a fissare qualcosa che non vedeva davanti a sé.

Sarebbe passata, come le altre volte, senza lasciare niente se non un vago senso di fastidio in una parte di sé che aveva costretto a tacere troppo a lungo, tanto da averne quasi dimenticato l'esistenza.

Si rivestirono senza più guardarlo.

Avevano apprezzato la merce, credeva.

«La stanza è pagata» disse uno dei due. Non ricordava i loro nomi, forse non li aveva mai conosciuti; erano volti ignoti fra tanti altri, e, in fondo, se l'era già spiegato troppe volte: cosa importava?

Sarebbero scomparsi in fretta e dopo sarebbero state altre mani e altre bocche e altri bisogni da soddisfare.

Lui, che serviva a questo e a null'altro.

Lasciarono cadere tre banconote sul letto inutilizzato e uscirono.

Solo quando fu certo che fossero lontani, Emil forzò sulle braccia per alzarsi e, nudo, barcollò fino all'angusto bagno della camera, lasciando i soldi dov'erano.

Si fermò davanti al lavandino, sollevò appena lo sguardo verso lo specchio davanti a lui.

Restò a osservarsi per un breve istante, conscio di voler vedere con chiarezza, per trattenere il disgusto e portarlo dentro di sé in modo da non scordarlo, o magari solo per impedirsi di credere che fosse stato uno strano sogno.

Resse poco.

Sei un bellissimo ragazzino, Emil... fammi vedere quanto.

Si distolse, chinando il volto al petto.

Lascia che ti guardi.

Lascia che ti tocchi.

Toccami.

«Va bene» mormorò, lo sguardo fisso al lavandino scrostato, «Va tutto bene, adesso.»

Inghiottì rabbia e repulsione e qualsiasi accenno di speranza si fosse permesso di affiorare dentro il suo cuore così stanco.

«Tu sei questo e devi ricordarlo...» terminò, gli occhi ora saldi dentro le iridi verde scuro che lo scrutavano.

Cos'altro aveva, in fondo?

Sei un bravo ragazzino silenzioso... lo terrai a mente?

Emil l'aveva tenuto a mente e, ogni notte, continuavaa farlo.


Dentro i miei vuoti - Demo VersionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora