Prologo

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What about us? What about all the plans  that endend in disasters? What about love? What about trust? What about us?

Un'intensa fitta alla testa interruppe quello che doveva esser stato un lungo riposo.

Il calore del sole mise fine ai lunghi momenti di freddo della notte: era mattina.

Aprì gli occhi di scatto puntandoli sul soffitto, ma subito mi resi conto di quanto azzardata fosse stata come mossa:la luce del sole paragonata ai periodi di buio fu una pugnalata. Tentai di coprirmi la vista con la mano ma un piccolo tubo di plastica giallastro mi rendeva impossibile qualsiasi movimento. Spostai lentamente lo sguardo ancora assonnato su quella che sembrava essere una flebo e tirai su col naso spaventata:un ospedale.

Inspirai ed espirai adagio fissandomi intorno spaesata sollevando leggermente il capo dal cuscino ed ispezionando lo spazio che mi circondava, nonostante l'incessante fitta alla testa continuasse a pulsare. 

<<Ania? Ania Stevens?>> mi voltai di scatto verso un'infermiera: grata che ci fosse qualcuno a cui porre domande e stupita di non averla notata subito al mio fianco.

<<Cosa?>>la interrogai intontita tentando di rimuovere la flebo dalla mano.

<<Lei è Ania Stevens, è corretto?>> stringeva fra le mani una grande cartellina blu e alternava lo sguardo dai miei occhi confusi agli appunti che vi erano scritti.

<<Io...>>sussurrai portando la mano,finalmente libera,sulla tempia destra e cominciai a massaggiarla compulsivamente <<non lo so>> il fatto di non ricordarlo mi mise in un orribile sensazione di disagio.

<<E' come temevamo>> replicò tranquilla riponendo la cartellina sul carrello che si portava al seguito degnandomi finalmente della sua attenzione.

<<Ha subito un forte trauma celebrale ed il suo lobo temporale ne è rimasto danneggiato>> prima che potessi rivolgerle tutta la mia frustrazione,una donna in lacrime fece il suo ingresso irruento nella stanza.

<<Ania!Che Dio,sia lodato>> due lunghe braccia mi avvolsero calorosamente e sentì una strana sensazione sulla pelle:quasi fosse la prima volta che qualcuno mi abbracciasse. <<Sono io>> mi sussurrò all'orecchio singhiozzando. <<Sono la mamma>> il suo profumo mi era estraneo. L'allontanai bruscamente e presi a fissarla:i suoi occhi, grandi e luminosi,avevo la sensazione di non averli mai visti. La lasciai andare con il lieve timore che quella donna avesse sbagliato stanza,e soprattutto,figlia.

<<Tu sei..>> sussurrai insicura <<mia madre?>> mi fissò amareggiata arpionando le mani sul mio volto. <<Si,lo sono>> rispose sicura con la speranza che sua figlia potesse quanto meno ricordarsi di lei.

<<Starai bene>> riprese il discorso asciugandosi le lacrime con il palmo della mano e tirando su col naso. <<Ricorderai tutto>> continuò accarezzandomi i capelli ed annuendo con il capo,quasi tentasse di autoconvincersi. La fissai sorridendo tirandola a me.

Una mamma, mi dissi. Una mamma da abbracciare,una mamma a lenire ogni sofferenza,una mamma che ti rassicura,ti stringe la mano e ti coccola al petto:ricordare, in quel momento, non era poi così importante.

Si staccò dall'abbraccio e prese a frugare nel grande borsone di cuoio marrone che aveva malamente poggiato sul pavimento prima di saltarmi al collo,mentre l'infermiera abbandonava la camera. Ne tirò fuori un pigiama pulito, una mela ed una bottiglietta d'acqua.

<<Sarai affamata>> pronunciò porgendomi la mela. Prima che potesse aggiungere altro, non riuscì a reprimere una domanda.

  << Cosa mi è accaduto?>> . La donna mi fissò ed improvvisamente un'ondata di tristezza le attraversò lo sguardo.

<<Non lo sappiamo,Ania>> mi rispose mortificata << eri in gita con i tuoi amici. Tre giorni fa i tuoi professori mi hanno telefonata dicendomi che fossi sparita...>>fece una pausa tentando di reprimere le lacrime. <<Mi sono sentita persa finchè non è arrivata la chiamata dall'ospedale>> Concluse stringendosi le braccia al petto. << La polizia ti ha trovata sulla riva di un lago completamente senza sensi>>. Ascoltare quel racconto mi aveva provocato una miriade di brividi in tutto il corpo. Avevo bisogno di rimanere da sola,di riflettere e tentare di ricordare. Afferrai il pigiama che la donna aveva poggiato sul bordo del letto e mi sollevai velocemente poggiando i piedi sul pavimento freddo.

<<Metti le pantofole,ti ammalerai>> mi rimproverò indicandomi un paio di ciabatte rosa stile barbie. Mi chiesi come potessero quelle ciabatte appartenere sul serio a me. Tuttavia non feci domande,le indossai e feci forza sulle gambe per sollevarmi dal letto. Le sentivo piuttosto deboli e i muscoli formicolare all'interno. Feci per dirigermi verso la porta, poi un'altra domanda mi balenò nella testa.

<<Mamma>> sussurrai <<qual'è il tuo nome?>> mi sentì profondamente in imbarazzo ed ero sicura di averle provocato un dolore immenso nel porgerle di seguito due domande così terribilmente pesanti. La donna arrestò le sue azioni e tentò di nascondere la delusione nei suoi occhi.

<<Sono Jo>> esordì con un finto sorriso <<Jo Harrison. Ma avremo modo di parlare meglio quando saremo a casa>> mise fine al discorso,probabilmente troppo duro da portare avanti in quel momento. <<Il bagno è alla fine del corridoio. Vuoi che ti accompagni?>> terminò togliendosi la giacca che,presa dall'euforia del vedere sua figlia finalmente sveglia, aveva dimenticato di posare.

<<No,tranquilla. Posso andarci da sola>> sorrisi chiudendomi la porta alle spalle. Stanza 207. Presi a camminare velocemente verso il bagno. Posai la mano sulla maniglia della toilette ma prima che potessi aprirla venni travolta in quello che,a primo impatto,sembrò essere un abbraccio. Rimasi immobile e stranita nel provare,per la seconda volta nel giro di pochi minuti, la stessa sensazione:quelle braccia mi erano completamente estranee.

Tentai di sciogliere l'abbraccio che aveva il sapore di urgenza, calore, angoscia. Riuscì ad allontanarmi di alcuni centrimetri ma due mani possenti mi si poggiarono saldamente sui fianchi e mi riportano con la faccia spalmata su quello che sembrò essere un petto marmoreo. <<Finalmente>> mi sussurrò all'orecchio un ragazzo dalla voce tremante e flebile.

Posai la mano sul petto quasi a disagio e lo allontanai.
<Potreste smetterla di abbracciarmi?>>Conclusi degnandomi solo allora di fissarlo. Aveva due grandi occhi marroni ed un sorriso sornione dipinto sul volto. I capelli castani non erano stati pettinati e la barba non era stata curata. Aveva un aspetto decisamente trasandato e per un istante,un solo istante, mi illusi che avesse trascorso tutto il tempo sino al il mio risveglio,ad aspettarmi proprio li, al di fuori della camera 207.

<<Ania?>> domandò curioso. ''Tutto bene?>> ironizzò scompigliandomi i capelli con la mano.

<<Ci conosciamo?>> spostai la sua mano imbarazzata.

<<Fai...fai sul serio?>> si irrigidì notevolmente ponendo la mano destra nella tasca del pantalone mentre con la sinistra prese a grattarsi la nuca imbarazzato. <<Andiamo,noi ci conosciamo dai tempi dell'asilo. Sono..Sono io, Daniel>> Daniel. Frugai nella mia mente quel nome ma nulla, assolutamente nulla, tornò a galla. Quel nome mi era assolutamente estraneo.

<<Non sei a conoscenza della mia situazione?Non ricordo nulla>> conclusi il discorso voltandomi di spalle ed entrando finalmente nella toilette fortunatamente libera. Il suo sguardo inquisitore addosso bruciava ancora sulla pelle e per la prima volta dopo il risveglio, il peso di non ricordare cominciava a farsi sentire. Boccheggiai spaventata da quella che sarebbe potuta essere la mia vita da quel momento.

Dall'altro lato della porta,Daniel rimase immobile quasi spaventato. In un'altra occasione si sarebbe fiondato da Jo o dal primo medico di guardia a porgere domande sul motivo per cui la sua migliore amica non lo avesse riconosciuto. Ma la sorpresa, e delusione, furono così travolgenti da lasciarlo completamente immobile in quel corridoio sterile d'ospedale. 

Tuttavia non si perse d'animo e riflettè a mente lucida sul da farsi.

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