Feci peso sulle gambe per rialzarmi dal pavimento della toilette, dopo due minuti intensi trascorsi con la mano sul petto a tentare di calmare il battito cardiaco con profondi respiri.
Mi domandai se quel ragazzo fosse ancora li ad aspettarmi e presa dalla curiosità mi abbassai verso la serratura della porta. Tirai via la chiave per poter godere di una porzione più vasta di spazio per indagare. Nel corridoio vi era un via vai continuo di medici,infermieri e anziani in carrozzella: non intravidi nessun ragazzo immobile fuori dalla porta e per questo mi sentì sollevata. I suoi occhi lucidi,l'abbraccio possessivo,la mano fra i capelli: diceva fossimo grandi amici eppure quelle azioni avevano tutto un altro sapore. Che fosse il mio...
Scossi la testa,mi rialzai velocemente da quella posizione intrecciata e riposi la chiave nella toppa. Per quanto carino potesse essere,non era decisamente il tipo di ragazzo che avrebbe potuto in qualche modo attirare la mia attenzione.
Decisi di lasciar da parte i pensieri, le allusioni e i ricordi. Poggiai il pigiama sul mobiletto accanto alla doccia ed entrai nella grande cabina fredda ed isolata. Non appena il getto d'acqua mi colpì la testa trattenni istintivamente il respiro quasi spaventata. Portai la mano al collo in assenza d'aria e presi a tossire violentemente. Arrestai immediamente il getto e aspettai che i secondi mi restituissero il possesso delle vie respiratorie. Alternai lo sguardo confusa dal soffione della doccia ai piedi immersi nell'acqua che pian piano scivolava nello scarico. Mi chiesi per quale assurdo motivo il contatto con l'acqua mi avesse provocato una simile reazione e senza pensarci due volte uscì dalla cabina, mi asciugai velocemente con uno degli asciugamani riposti ordinatamente sul lavandino e ficcai il pigiama. Aprì la porta del bagno e mi fiondai fuori fermando la mia corsa solo dopo aver allontanato di una decina di metri la stanza 207.
Avanzai spedita verso l'uscita dell'ospedale e una volta superato il portone d'ingresso notai che si affacciava su di un ampio giardino. Camminai per qualche minuto ma l'insegna dell'edificio attirò la mia attenzione: Brooklyn Medical Services. Mi grattai la nuca con la mano e rimasi immobile a fissarla. Brooklyn,mi dissi. Era davvero quella la mia città? Mi presi la testa fra le mani consapevole che da li a poco avrei sfogato tutta la mia frustrazione in un pianto liberatorio. Mi accasciai piegandomi sulle ginocchia e poggiandovi sopra la testa.
Mi diedi dell'incapace e della stupida per il non riuscire a ricordare cose basilari come il proprio nome e capì per quale motivo avessi così tanta paura di dialogare con chiunque dicesse di conoscermi: essere considerata stupida ed incapace. Nella mente abbozzai un'altra decina di insulti verso me stessa finchè una mano sulla spalla non interruppe il lungo flusso dei miei pensieri. Mi sollevai e voltai di scatto il capo quasi scottata da quel contatto.
<<Emily?>> asserì una ragazza,probabilmente della mia stessa età,dai lunghi capelli neri e dagli occhi magneticamente verdi. Mi fissava terrorizzata e al tempo stesso infuriata. Non risposi, mi limitai ad indietreggiare finchè le spalle non toccarono il rude muro dell'imponente edificio alle mie spalle.
<<Emily Jones>> mi sollecitò con rabbia avvicinandosi velocemente arrestandosi solo a pochi centimetri dal mio volto.
<<Non so di chi tu stia parlando>> balbettai insicura schiacciandomi con forza contro il muro desiderando con tutto il cuore che potesse risucchiarmi.
<<Brutta puttana>> bisbigliò afferrandomi la mascella con la mano destra e poggiando la sinistra al lato del mio volto impedendomi qualsiasi via di fuga. Mi strinse con forza le guance quasi volesse farmi sputare i denti. <<Sei viva?>> dirignò con le pupille dilatate ed un sorriso ironico sul volto. Prima che potessi pensare ad una qualsiasi via di fuga Daniel apparve dal nulla e l'allontanò bruscamente da me con una spinta feroce.
<<Cosa diavolo credi di fare?>> le urlò contro massaggiandomi la mascella con la mano ma continuando a tenere lo sguardo fisso sulla stronza. La ragazza fissò la scena sbalordita e confusa al tempo stesso. La spinta di Daniel l'aveva allontanata di tre passi,ma il suo sguardo continuava a rimaner fisso su di me,quasi non l'avesse scalfita affatto.
<<Stai bene,Ania?>> domandò Daniel preoccupato. Annuì devastata allontanando a disagio la sua mano dal mio viso.
<<Ania?>> sussurrò la ragazza sorpresa. <<E' il tuo nome?>>.
<<Sei abituata a mettere le mani addosso a chiunque?>> la schernì infastidito Daniel afferrandomi la mano. <<Non provarci mai più>> le sussurrò ad una spanna dal viso prima di tirarmi via con sè. Non mi voltai,Daniel procedeva troppo velocemente per permettermi di voltarmi. Continuò a tirarmi dal polso arrabbiato anche una volta rientrati nell'edificio finchè non impuntai i piedi a terra con forza e mi fermai sottraendomi dalla sua presa. Mi massaggiai il polso e lo fissai in cagnesco.
<<Mi fai male>> puntualizzai indispettita.
<<E quella ragazza?>> esordì confuso <<quella ragazza non ti faceva male?>>.
Si portò le mani ai fianchi e continuò a fissarmi con uno sguardo inquisitore. Mantenni la testa alta e lo fissai di rimando con la stessa espressione.<<Certo che mi ha fatto male>> accordai stizzita.
<<E allora per quale cazzo di motivo eri immobile a farti mettere le mani addosso?>> era arrabbiato,anzi furioso e mi chiesi cosa diavolo gli stesse balenando nella testa. Mi decisi solo allora di abbassare lo sguardo quasi ferita nell'orgoglio. Non seppi spiegare il mio atteggiamento e sicuramente non avrei voluto spiegarlo a lui visto il modo che aveva di domandarmelo.
<<Non lo so>> risposi sincera. <<Ero..spaventata>> lo vidi rilassare il petto e porsi una mano sulla fronte.
<<Va bene>> asserì duro riafferandomi la mano,questa volta più dolcemente,proseguendo su per le scale. Gli domandai per quale motivo non avessimo preso l'ascensore e si era limitato ad un semplice ''i luoghi chiusi senza uscite non mi piacciono''.
Raggiungemmo velocemente la mia camera. Daniel bussò prima di entrare, per poi fare il suo ingresso con un ''buongiorno'' molto educato. Non capì il suo atteggiamento finchè non notai un dottore sulla cinquantina parlottare con mia madre. Non proferì parola, aspettai che fosse lui a notarmi, e lo fece dopo pochi secondi. Aveva due grandi occhi celesti ed il naso aquilino ricurvo,come se fosse stato rotto almeno una volta.
<<Oh,Ania>> mi sorrise cordiale porgendomi la mano. <<Sono il dottor Lewis>>. fece una pausa prima di riprendere il discorso con una domanda. <<Come stai?>>. La trovai banale come domanda posta da un dottore che conosce perfettamente i tuoi sintomi ed i tuoi problemi medici. Tuttavia, mi limitai a sorridere e a ricambiare con la stessa gentilezza.
<<Bene>> assordì <<a parte...>> abbassai il capo a disagio ma lui capì all'istante.<<E' temporaneo>> mi rassicurò abbassando leggermente il capo con l'intenzione di incrociare il mio sguardo. <<Molto presto i tuoi ricordi torneranno,Ania Stevens>>.
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Fanfic''Vuoi che ti confida un segreto? Non credere a ciò che dico,sono una bugiarda'' il ragazzo arrestò bruscamente l'auto con un'espressione perplessa dipinta sul volto. ''Sai'' continuai serena immersa nel paesaggio fuori dal finestrino ''il mio nome...