M'incuriosiscono quelle persone che inmezzo a tutta questa confusione riescono a scorgere il mio passaggio.Si voltano, a volte sentono un rivolo d'aria, a volte è solo unasensazione strana.
Non vedono nulla, ma sanno di essereosservati, con quegli occhi curiosi scrutano l'imponenza del luogo,cercano di specchiarsi in quegli stessi vetri che un tempo hannovisto i grandi del paese compiere grandi imprese, che hanno visto me.
Dopo di che, un po' frastornati,tornano sui loro passi, proseguono il percorso prestabilito, violanostanze a loro un tempo non permesse, ma non ho più forza perdecidere, non ho più forza per parlare e non ho più forza neancheper andarmene.
Sono tornata qui, costretta a viverefra queste immense mura; gioco o scherzo del destino, che un tempoavevo perfino odiato.
Un tempo.
Alcune volte mi spavento notando l'annostampato su alcuni graziosi oggetti che gentili signorine, un po'troppo vestite maschilmente a mio avviso, porgono a dei signorialquanto eccentrici e dagli occhi strani. Non sempre sono le stesse,ogni sei mesi arriva una ragazza nuova e allora mi diverto a scoprireil suo nome.
Ora ci sono al lavoro Alice, unaragazza sui vent'anni, ha uno strano colore di capelli sulle punte,dice che deve studiare e non ha tempo perchè lavora sempre;bugiarda, lavora tre giorni alla settimana, sempre il lunedì, ilmercoledì e il venerdì; poi c'è Julie che oggi al collo porta unfoulard, dice di aver preso freddo e ha un po' di mal di gola, noncapisco cosa continui a mettersi in bocca, un medicamento sicuro einfine c'è Ludovica, italiana, è arrivata qui per studio e poi nonse ne è più andata, stanca della pronuncia accentata del suo nome,dopo mesi ha ceduto alla traduzione francese per poi abbreviarla efarsi chiamare Ludo. Non mi piace particolarmente, ma non è mio percui poco importa.
Ci sono altre ragazze al pianoinferiore, ma di rado scendo fin laggiù, non è mai stata miaabitudine, se lo faccio è per uscire e raggiungere la mia piccola etranquilla residenza a nord del parco.
Le sale sono così piene, così tantagente che alza la voce e tiene in mano strani oggetti lampeggianti,li alzano di fronte a loro e premono con un dito. Non ho ancoracapito a cosa servono e a poco mi interessa visto che non li possotoccare.
Perchè il destino ha voluto chetornassi qui ancora non lo comprendo; questo posto è cambiato,cambiato come mai avrei creduto possibile e mai ci avrei creduto seme lo avessero detto, alcune stanze che conoscevo alla perfezione nonesistono più sostituite da un'immensa nuova galleria a cui mai miabituerò, evito spesso di andarci se non per spiare qualche personaparticolarmente interessante.
Perfino lo svolgere delle giornate ècompletamente cambiato: vige il silenzio fino all'alba dopo di chedei sordi rumori iniziano a provenire al piano inferiore, alcuniuomini salgono portando con loro dei pesanti marchingegni che conpremura attaccano a un filo, il rumore proviene da questi oggetti, unronzio, un lungo ronzio che prosegue fino alle nove del mattinoquando le prime persone, che fino a poco prima scorgevo, dallafinestra, in fila di fronte al cancello, hanno il permesso d'entrare.Alcune sono capitanate da un uomo o una donna con in mano unabandierina dai colori improbabili, spesso urla per richiamarliall'attenzione. Questo si ripete per tutto il giorno fin al tramonto,a quel punto le luci si spengono e io posso vagare di nuovo in tuttatranquillità, da sola, qui dentro. Ma non è sempre così, alcunevolte un'orchestra suona nel parterre di fronte, fra le due vasche d'acqua ofuochi d'artificio accompagnano l'andamento delle fontane.
Ci sono sere a volte che sono costrettaa rifugiarmi nelle mie stanze, fingendo di non sentire le risa dellapersone che fingono di essere me, non so perchè lo facciano, non soperchè imitino i miei abiti e le mie acconciature, ho capito che èun travestimento. Mi fa male vedere loro e mi fa male vederlo. Gli uomini con i suoi abiti.
Lui.
Mio adorato e incompreso. Mio marito. Fin da quandosono tornata mi chiedo come mai lui non sia con me, lui chesicuramente meritava molto più di me di essere qui. Io neanchevolevo questo posto. E pensandoci bene anche lui, costretto per morteprematura del fratello a prenderne il posto. Troppo giovani siamostati portati qui, troppo innocenti ancora per capire cosa,lentamente, ci avrebbe portato al declino, troppo bambini peraffrontare quel mondo già evidentemente distrutto e corrotto.
Sono state dette tante cose su di me,tante bugie, tante malvagità. Col senno di poi mi rammarico di nonaverle compiute per davvero, mi sarei tolta qualche soddisfazione. Mivolto e guardo le persone percorrere la galleria guardandoesterrefatti quello che per me era diventato la normalità e labanalità. Come mai ho potuto pensare una cosa simile? Tutto questoche ancora duecentotrenta anni dopo suscita tanto stupore?
Vorrei scuotere il capo, ma non hopeso, non ho forma. A volte immagino di essere solo un pensiero,eppure vedo, sento...è una maledizione subire questo.
Sono di nuovo da sola, come la primavolta che sono giunta qui.
Ho visto donne e uomini parlareestasiati di me, mi idolatrano. Vorrei dirgli di non farlo, ma nonposso parlare, alcuni di loro però percepiscono, credo, la miapresenza. Cercano le mie sale, vogliono vedere la mia camera daletto. So di messe in mio onore e gente chevisita la mia tomba.
Pensare che un tempo era la piùodiata, odiata solo perchè straniera. Se avessero saputo del mio sangue,della mia dinastia. Non ero più straniera che lo stesso mio sposo intermini di nascita.
Mio adorato.
Se fosse possibile credo che sentireidolore ogni volta che il suo pensiero tocca la mia memoria.
Non era portato per questo compito, losapevo e lo sapeva, ma ha fatto di tutto per rendermi felice anchequando la nostra unione sembrava ormai terminata. I nostri bambini. Il pianto non ha più toccato il mioviso, ma è questo che vorrei fare ora.
I miei bellissimi bambini.
Sarebbe stato meglio sciogliere ilmatrimonio ed evitare a loro le atroci sofferenze che hanno dovutopassare. I miei piccoli, i bambini che ho tanto voluto e desiderato...li ho persi tutti, tranne la miaprimogenita, sapevo che era forte, ma non avrei mai potuto pensare atanto. La mia roccia.
Più penso a loro e più vorreiscomparire, ma non accade mai. Sono sempre qui, senza riposo, senzasosta, qui, non posso varcare il cancello.
Perchè Signore? Dammi un motivo perquesta punizione! Voglio tornare nell'oblio, che senso ha per mevedere tutto questo? Voglio tornare da loro, voglio dirgli che andràtutto bene, che siamo tutti riuniti.
So cosa sono...un fantasma.
So che i fantasmi hanno un motivo pertornare, o così sentivo dire dai numerosi, ora so, ciarlatani concui parlavo. E il mio di motivo? Dov'è? Perchè di nuovo qui, cosadevo fare qui?
Sono il fantasma del castello? Non eradecisamente così che pensavo di passare il tempo fino alla fine delmondo.
Vorrà dire che farò a modo mio, hosempre trovato la forza per combattere, per risollevarmi. Hosopportato la morte dei miei figli, ho combattuto per non lasciarmiandare, ho affrontato a testa alta offese, mi sono arresa a unpubblico urlate e ad una lama lucente con tutto il coraggio e ladignità che il mio ruolo ne concerne.
Lotterò anche questa volta, sarò dinuovo...la novità.
Farò parlare di nuovo di me, oggi comeall'ora il mio nome tornerà sulle labbra di tutti.
Infondo sonoMaria Antonietta e qui...è casa mia.
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Il ritorno di una regina
Short StoryUna one shot speciale per un personaggio molto speciale. Poche righe immaginate dopo la mia recente visita allo Chateau de Versailles.