Cloe

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Guardo fuori dal finestrino stringendo con forza i pugni. Le case scorrono davanti ai miei occhi senza che le veda sul serio e mi chiedo quanta strada abbiamo già fatto. Mi sembra di essere in quella maledetta auto da secoli, e allo stesso tempo da pochi secondi. Sento una strana sensazione nella pancia, come se qualcosa mi stesse tirando indietro, contro il sedile; ogni metro che percorriamo è una coltellata ma io non posso farci niente.
Mia madre si gira verso di me per chiedermi se voglio qualcosa da mangiare. Io la ignoro. Non la guardo. Non le parlo. Perché dovrei?
-Cloe non fare così- mi dice con voce scocciata -vedrai, Milano è un bel posto. Ti piacerà- io continuo a far finta di nulla, reprimendo le lacrime. Non capisco perché mi stiano facendo questo. Non voglio lasciare i miei amici, tutto il resto della famiglia. Finalmente Corrado mi aveva notata, mi aveva chiesto di andare a casa sua per giocare insieme, e io me ne stavo andando. Non l'avrei più rivisto. Lascio che questi pensieri mi facciano compagnia mentre un gusto amaro mi si diffonde in bocca.
-Tesoro- mi chiama mio padre. Apro gli occhi e mi rendo conto di essere sdraiata sul sedile. Mi sono addormentata -rimettiti dritta e allaccia la cintura- mi dice -ormai manca poco- Sono tentata di urlargli contro ma questo andrebbe contro il patto che ho fatto con me stessa: non gli parlerò mai più. E poi sono curiosa di vedere dove siamo finiti, quindi faccio come mi dice. Fuori dal finestrino si rincorrono dei palazzi grigi che sembrano sospesi nell'aria per la nebbia fitta. Quando siamo partiti c'era il sole. Era una bella giornata. Corrugo la fronte a quel pensiero. Poi vengo scaraventata in avanti, sbatto la testa contro il finestrino mentre sento il mondo capovolgersi. Quando riapro gli occhi sono nel salotto di mio zio Giovanni a torturarmi le unghie delle mani.
-No, non posso- sta dicendo mia zia Carla in cucina -Lo sai che mi hanno licenziata Gio, e ho altri due bambini a casa. Come cavolo la mantengo un'altra ragazzina?- mi stringo le ginocchia al petto sulla poltrona di pelle, troppo grande per me.
-Senti, tu sai come si fa. Tu hai sempre voluto dei figli- sbraita mio zio -Che differenza ti fa un altro esserino che scorrazza per casa? Posso darti dei soldi- nascondo la testa tra le spalle.
-Vaffanculo- mia zia sembra ancora più arrabbiata ora -Non è più una ragazzina normale Gio, non bastano i tuoi soldi- quelle parole mi rimbombano in testa -Io di sicuro non la prendo con me- ribatte mio zio, mentre una nebbia fredda avvolge il salotto.
-Questa è la tua nuova casa- dice una voce nasale alle mie spalle, mentre guardo indifferente il letto singolo davanti a me, uguale agli altri. La signora bionda mi ha detto che sono delle tre bambine con cui condividerò la stanza; ora stanno studiando, mi dice. La coperta è di quelle ruvide che irritano la pelle. La odio.

Mi sveglio con uno scatto quando un rumore assordante riempie il silenzio della stanza da letto. Ancora sudata ed ansimante mi siedo, cercando di capire cosa succede. Quando mi giro vedo che è soltanto la sveglia e sento le mie spalle rilassarsi leggermente. Prendo il cellulare e la spengo con un gesto della mano, mentre vedo le mie dita tremare. Faccio dei respiri profondi fissando la coperta bianca attorcigliata intorno alle mie gambe e poi facendo scorrere lentamente lo sguardo sull'armadio bianco, alto fino al soffitto, sulla scrivania ricoperta da libri, cavi del computer, vestiti e trucchi, sugli scaffali che la sovrastano, esponendo alla vista tre file ordinate di romanzi. Mano a mano che i miei occhi studiano i dettagli della camera con fare analitico, le dita si rilassano intorno al cellulare e il mio respiro si fa più calmo. Ormai so come affrontare questi momenti, ma sono preoccupata. Era da molto tempo che non facevo un incubo e questo era stato lungo e pieno di momenti che avrei preferito dimenticare. Per un momento mi chiedo che cosa possa averlo scatenato, poi mi ricordo delle parole di Christian... l'orfana e l'idiota... l'orfana... scuoto la testa per allontanare il nodo che mi opprime il petto e ritorno a fare gli esercizi di respirazione, attenta a non chiudere gli occhi per non dover rivedere quelle immagini. Dopo poco sento la porta della camera aprirsi -Tesoro è pronta la colaz- Claudia entra in camera con il viso stravolto dalla preoccupazione, appena si rende conto di come sono ridotta -stai bene?- mi chiede sedendosi sul letto al mio fianco e stringendomi una mano.
-Scusa domanda stupida- mi dice nervosa -Pensavo che gli incubi fossero passati- sussurra insicura. Adoro Claudia. Mi ha salvata da un mondo che ho odiato con tutta me stessa, ma in questi momenti è la persona meno indicata per starmi accanto. È troppo empatica e non riesce a fermare le emozioni che la travolgono, quando qualcuno che ha accanto sta male. È pesante dover fingere di stare bene davanti a qualcuno per non far preoccupare questa persona, quando l'unica cosa che vorresti fare è aggrapparti a qualcosa, piangere, fino a quando le energie non ti abbandonano. Con quegli occhi scuri così simili a quelli del figlio puntati su di me, sento l'ansia crescere di nuovo.
-Va tutto bene- mento -È solo una piccola ricaduta. A volte può capitare lo sai- le sorrido sperando di essere convincente. Lei annuisce esitante e apre la bocca per dire qualcosa, ma io la interrompo scendendo dal letto -Ora vado in bagno a prepararmi, hai detto che la colazione è pronta vero?- cambio argomento, impaziente di rimanere da sola per qualche minuto. Ovviamente lei capisce cosa sto cercando di fare ma non mi ostacola -Si. Allora, si, ti aspetto di sotto. Ok?- annuisco prima di uscire dalla stanza. Vedo Christian passarmi accanto nel corridoio e so che mi sta guardando, ma cerco di ignorarlo e mi chiudo in bagno. Non ci siamo più rivolti la parola dopo sabato sera e a me sta bene così perché so che se mi chiedesse scusa probabilmente lo perdonerei. E non voglio farlo. Devo tenermi a distanza, continuare per la mia strada senza imbattermi di nuovo in lui. Sospiro appoggiandomi al lavandino bianco, mentre penso che non sarà una cosa facile considerando che abitiamo insieme. Mi sciacquo due volte la faccia con l'acqua fredda prima di entrare nella doccia e lavare via l'incubo che sento ancora sulla pelle come fango secco. Solo dopo essermi rivestita e asciugata i capelli riesco a guardarmi allo specchio e faccio quello che faccio sempre in queste situazioni: sorrido, cercando di inviare una scintilla di contentezza anche agli occhi. Quando penso di poter assumere un'espressione serena mi metto un filo di trucco e corro a fare colazione. Sono decisamente in ritardo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 23, 2018 ⏰

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