Prologo

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Corro. Veloce. Aumentando costantemente il ritmo. Il battito cardiaco mi penetra nelle orecchie.

Ad ogni falcata, il vento salmastro mi fende sempre più il viso. Il caldo che fa ribollire il sangue nelle vene mi fa bramare di tuffarmi in quella bellissima acqua blu.

Certo, prima di rinfrescarsi, il mio corpo dovrebbe infrangersi su quegli scogli appuntiti lì sotto.

Un piccolo dettaglio. Meglio non pensarci.

Mi soffermo invece sul paesaggio. Il cielo coperto dalle nuvole scure rende tutto ancora più particolare e teatrale, mentre il faro rosso lì in fondo è la ciliegina sulla torta.

Un panorama stupendo. Come sempre, del resto.

Amo questa sensazione. Ad ogni passo, le endorfine che il cervello rilascia in ogni muscolo del mio corpo, lungo la spina dorsale, sono un vera goduria. Molti lo chiamano “sballo del corridore”. Non mi sono mai interessate l’etichette o lo sballo in generale; ma fatto sta che i sensi si acuiscono, le vesciche sotto i piedi diventano un lontano ricordo e le gambe sono più leggere. Talmente leggere che sembra di volare.

Già, volare. Mi farebbe proprio comodo in questo momento. Un paio d’ali mi impedirebbero di sfracellarmi dalla rovinosa caduta di cui sarò protagonista tra poco. Ma non le ho.

La fine è inevitabile quindi.

Per questo ho voluto concludere qui la mia esistenza, dove tutto è iniziato.

E dire che quando ho cominciato a correre, l’ho fatto perché me l’avevano imposto.

«Se non rientrerà nei parametri di massa corporea concordati, la compagnia non potrà più assicurarle l’adeguata copertura pattuita.» mi disse il medico dell’assicurazione sanitaria. Un altro modo carino per dire: “Muovi quel culo ciccione, altrimenti se ti viene un infarto a trent’anni dovrai vedertela da solo nel tuo letto di morte!”. Modi diversi per esprimere lo stesso concetto.

Sorrido a ripensarci adesso. Eppure la prima volta che sono venuto qui, non riuscivo neanche a farla camminando, questa ripida pendenza. E ora corro senza sforzo verso il baratro. Che magra consolazione.

A sapere come sarebbe finita, mi sarai risparmiato tutti questi dieci anni e lo avrei fatto, quello stesso primo giorno. Mi sarei trascinato fino al limite del precipizio e, zuppo di sudore, sarei caduto giù di sotto. Fine dei giochi.

Si, a ripensarci sarebbe stato meglio. Niente dolore, niente immagine di me che perdo i capelli, niente conoscenti in lacrime che mi guardano con compassione, proprio con la stessa espressione con cui si guarda un vecchio cane che stancamente si trascina verso i suoi ultimi giorni.

Se l’avessi fatto, niente di tutto questo sarebbe successo e invece… è andata proprio così.

Quando il dottore me lo ha detto, non volevo crederci. Un cancro, io?

Solo dopo ho realizzato che stavo attraversando la prima delle 5 Fasi del Dolore.

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