Capitolo 1

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Salto giù dal tetto di quella catapecchia atterrando su un cassonetto ritrovandomi in un vicolo, un vicolo cieco. Mi avvicino al muro di fondo il più possibile.
《Arrenditi Alexis, sai benissimo che non mi sfuggirai, non questa volta.》la voce di quel lurido uomo rimbomba dall'alto del casale.
Cerco di non fare rumore. Probabilmente ha ragione, questa volta non riuscirò a sfuggirgli.

Un tonfo mi fa girare dalla parte opposta al muro che rende il vicolo "cieco". 《Adesso non hai più scampo...》mi sorride ghignando mentre continua ad avvicinarsi a me.
《N-non provare ad avvicinarti.》tento di minacciarlo, cosa alquanto difficile data la scarsa credibilità dal tono insicuro della mia voce.
《Certo bambolina...》continua ad avvicinarsi a me. Okay, lo spazio che ci separa sarà meno di una decina di metri, e sto iniziando seriamente a sudare.
D'un tratto guardo dietro di lui. Il cassonetto dove sono atterrata...il cassonetto vicino a me...la scala antincendio del palazzo abbandonato... Eureka! Salto sul cassonetto più vicino a me arrampicandomi nella scala e "volo" verso il cassonetto sotto la catapecchia. 《Dove credi di andare?!》. Scavalco ed arrivo sul tetto da dove sono venuta. Ormai Bronson è troppo distante, non riuscirà a raggiungermi. Grazie al cielo ho un corpo molto agile.
Saltando all'incirca dieci tetti, arrivo su uno con un camino.
Senza pensarci due volte salto dentro il camino scivolando verso l'interno della casa. Sono abbastanza magra e per fortuna arrivo giù senza troppi problemi, sporca, ma almeno senza ossa rotte. La casa sembra abitata. Davanti a me ho un grazioso salotto composto da poltrone e divanetti di pelle bordeaux.
Mi tiro su e scuoto via la cenere dalla mia canotta un tempo bianca.
Mi sistemo la corvina coda di cavallo e comincio ad ispezionare l'appartamento.
Uscita dal salotto, percorro il corridoio. Ogni stanza è vuota. Trovo una camera da letto con un letto singolo. A giudicare dal disordine probabilmente ci abiterà un uomo.
Esco dalla stanza da letto e cerco un bagno, lo trovo, e ci entro dentro lasciando la porta dietro me aperta. Decido di darmi una sistemata. Mi spoglio e apro l'acqua della vasca di marmo. Nel frattempo che aspetto che la vasca si riempia, prendo delle tovaglie da usare per asciugarmi appena finito il bagno.
Non appena la vasca è totalmente riempita ci verso dentro del bagnoschiuma e degli oli. Agito la mano dentro l'acqua, creando della schiuma. Sciolgo i miei capelli ed entro nella vasca. Poggio le braccia sul bordo laterale della vasca, chiudo gli occhi, e mi rilasso.

È impossibile per me trovare un "momento relax", insomma, sono Alexis Cecilia Backhem, figlia di William Backhem, poliziotto che riuscì a far condannare a morte il mafioso più temuto d'America, Nathan Bronson. I figli di questo criminale hanno ucciso mio padre ed adesso vogliono uccidere me. Non credo proprio che mi daranno mai tregua. Ho cercato di arruolarmi nell'esercito, ma mi hanno trovato, così sono dovuta scappare a New York, ma anche qui mi hanno trovato e continuano a darmi la caccia. Questa storia va avanti da ormai quattro anni, e sono stufa della situazione. Per me è ormai normale occupare le case mentre nessuno le abita, manovrare armi per difendermi dai sicari, dormire sui tetti o per i marciapiedi, trattare male chiunque prova a socializzare con me per paura che possano essere dei mandatari di Bronson, e perfino evitare qualsiasi contatto umano. Molto spesso mi chiedo se riuscirò mai a realizzare i miei sogni, o meglio, tutti quelli che erano i miei sogni. Amavo disegnare, era la mia passione più grande. Seppur frequentando degli studi ad indirizzo scientifico, ho sempre dedicato lunghi pomeriggi ad abbozzare qualcosa sul mio album dei disegni.

Prendo uno shampoo dal bordo della vasca e comincio ad insaponare i miei lunghi capelli. Probabilmente dovrei tagliarli, arrivano a sfiorarmi il sedere, ma non ho mai tempo essendo sempre occupata a scappare via.
Finisco il mio dolce bagno risciacquandomi, ed esco dalla vasca asciugandomi con le tovaglie che avevo preso poco prima.
Attacco un largo asciugamano sopra il seno, in modo da coprirmi fino a metà coscia, e creo un turbante con un altro asciugamano sui miei capelli.
Aziono la lavatrice e ci infilo dentro i miei vestiti e il mio intimo.

Esco dal bagno e mi dirigo verso la camera da letto. Apro il grande armadio accanto al letto e tiro fuori una polo azzurra. Tolgo l'asciugamano che ho avvolto al corpo, ed indosso sul mio corpo nudo la maglietta che, tra l'atro, mi arriva a metà coscia. Sotto di essa sono totalmente nuda, ma, come avevo dedotto precedentemente, in questa casa ci abita un uomo, ed ho trovato solo dei boxer...
Corro in bagno alla ricerca di un phon, che trovo subito. Sciolgo via il turbante e aziono l'asciugacapelli.
Dopo alcuni minuti i miei capelli sono asciutti.
Fermo la lavatrice ed esco i miei indumenti da essa. Prendo gli slip e cerco di asciugarli con la tovaglia, ma il risultato è scadente, così aziono il phon su di essi. Appena asciutti, li indosso.
Metto i miei vestiti all'interno dalla lavasciuga, azionandola.
Sento il mio stomaco "brontolare",così entro in cucina ed apro il frigo. Ne estraggo un hamburger tagliato a metà ed una lattina di cola. Mi accomodo sul tavolo e comincio ad addentare il mio adorato panino.
Adesso sono in uno di quei momenti in cui la mia testa è completamente tra le nuvole. Penso di tutto, a tutto. Cosa ne sarà della mia vita? Riuscirò mai a non dover fuggire dal mondo che mi circonda? Quando finirà questo inferno? Avevo soltanto sedici anni quando mio padre, l'unica persona che mi era rimasta dopo che mia madre ci lasciò, venne ucciso. Me lo comunicarono i suoi due partner poliziotti. Racket e Muller, due uomini sulla quarantina molto simpatici e sempre sorridenti. Quando mi bussarono alla porta, però, non vidi alcun sorriso, e lì cominciai a preoccuoarmi. Gli chiesi cosa fosse successo, e Racket non riuscì a trattenere le lacrime, scoppiando in un pianto che molti avrebbero giudicato "da femminuccia", ma io in quel pianto ci vidi un uomo che teneva a mio padre più della sua stessa vita, e che avrebbe voluto proteggere mentre Nathan gli sparava una pallottola alla tempia. Appena mi raccontarono ciò che successe, non riuscii a compiere alcuna mossa; non riuscivo a piangere, né tanto meno a parlare, infatti ogni parola che mi usciva dalla bocca risultava come un balbettìo. "Devi fuggire, Evy" furono queste le parole che Muller mi disse due giorni dopo l'assassinio di mio padre. Fuggire, era questo tutto ciò che potevo. Ed eccomi qui, ad essere fuggitiva.

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