Demons.

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Lennon alzò gli occhi al cielo, riempiendoli di quelle nuvole grigie che da giorni minacciavano Mullingar. Una, due, tre gocce cominciarono a cadere sul suo viso. Aveva aspettato la pioggia per non piangere da sola, eppure nemmeno in quel momento riusciva a versare lacrime per tutta quella merda che la circondava. Chiuse gli occhi e lasciò che la pioggia levigasse la sua pelle, sperando che portasse via con se anche i ricordi. Prese un respiro profondo, per poi rimanere in silenzio, ad ascoltare i suoni della natura. Era sola, completamente. Aveva raggiunto la radura senza nemmeno accorgersene.

Jude se ne era andata per sempre quella mattina, chiedendole di non piangere per lei. E mentre tutti quelli che la circondavano nel corridoio dell’ospedale si disperavano per la loro perdita, Lennon fissava la porta della sua stanza piena di infermieri e dottori che cercavano di rianimarla, per poi confermare l’ora del decesso. Si morse il labbro inferiore e – senza incrociare lo sguardo di Simon – s’incamminò verso le scale. Uscì dall’edificio, cominciando a vagare senza una meta precisa.

Il cellulare squillava continuamente e aveva impostato il silenzioso appena arrivata in centro città, pur di non essere disturbata. Era la punizione che meritava, quella di rimanere da sola. Se solo non si fosse fatta abbindolare da quegli occhi color del ghiaccio. Se solo avesse prestato attenzione alle parole che le aveva detto Simon. Non doveva fidarsi di lui, perché lui non portava altro che guai.

Sorrise amaramente continuando a guardare quel cielo pieno di nuvole. I Coldplay cantavano di un cielo pieno di stelle, ma lei non meritava più di vederle. Perché guardarle significava immergersi nuovamente nei profondi occhi di Jude, solo per osservare la vita abbandonarli ancora una volta, per l’eternità. Come si faceva a dimenticare qualcosa che alla fine c’era sempre stato?

Si sedette sul blocco di marmo dove c’era inciso il nome di lui. Si erano ritrovati così tante volte in quel luogo – anche quando non si conoscevano – che ormai ci andava tutte le volte che aveva bisogno di stare sola. Le prime volte non si parlavano nemmeno. Lennon prendeva un libro dalla sua stanza e andava lì a leggere, lui intanto si fumava una sigaretta e si allenava.

La prima volta che si parlarono, Lennon gli chiese semplicemente il suo nome, più per formalità che per curiosità. «E perché una puttanella come te vorrebbe saperlo?» le aveva chiesto lui per poi rimettersi le cuffiette e continuare ad allenarsi. Lei abbassò di nuovo lo sguardo sul suo libro e riprese a leggere, promettendosi di non rivolgergli più la parola, nemmeno fosse stata l’ultima persona presente sulla faccia della Terra.

Era passato un mese da quel misero dialogo avvenuto tra di loro, ma nonostante tutto si ritrovavano sempre nello stesso posto entrambi. Lennon ne aveva parlato con Jude e Simon. Loro avevano alzato le spalle e le avevano detto che era meglio non fidarsi di una persona simile. Però quel giorno, mentre aveva lo sguardo chino sul nuovo libro, lui si era avvicinato e aveva tolto le cuffiette. «Niall» disse senza porgerle la mano. Lennon alzò lo sguardo e quasi gli venne voglia di sbattergli il volume in faccia. «Non pensavo che una puttanella come me fosse degna di saperlo» e detto questo chiuse il libro, si alzò afferrando la borsa e andò via, lasciandolo a bocca aperta.

Altre due settimane erano passate e si stava avvicinando la stagione invernale. Stretta nel suo cappotto – e con un altro libro tra le mani – si era recata di nuovo alla radura. Quel giorno sperò di non vederlo. Aveva già abbastanza problemi. Suo padre aveva ottenuto l’affidamento esclusivo, mentre lei pregava per andare con la madre. L’avevano fatta passare per un mostro, quando il vero mostro aveva vinto il processo. La sera prima era tornato – ancora una volta – a casa ubriaco e l’aveva spinta contro il muro. Non pianse; quell’uomo non era più suo padre e non meritava le sue lacrime. Si medicò da sola come al solito prima di andare in camera sua.

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