Tavernello

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/Tema n.2/

Era un tizio veramente fortunato, Tavernello. A causa di qualche strano meccanismo della carità umana era proprio lui a ricevere gran parte degli spicci migliori. Forse era per via del suo faccione simpatico. O forse perché quando piangeva sembrava che avesse un rubinetto aperto in faccia. E poi, quei goccioloni s'intrappolavano nella barba e si mischiavano a tutti i rimasugli di cibo e alcol. Così, ogni lacrima, prima di congelarsi, si riempiva di riflessi policromi che gli illuminavano tutto il viso come un albero di Natale.

Gli altri barboni gli avevano affibbiato il suo nomignolo per via della marca pregiata del vino che amava trangugiare: Tavernello bianco, brik da un litro, due euro e nove centesimi. Questo prezzo snob lo rendeva meno accessibile alle fasce più povere, che dovevano invece ripiegare sul più comune San Crispino (€ 1.79) o qualche altra marca tarocca.

Quando beveva, Tavernello, si attaccava al cartone. Ci si incollava con così tanta passione che sembrava quasi di osservare una giovane coppia. E lui spremeva quel povero brick, quasi come se avesse paura di lasciare dentro anche solo una goccia; di non aver potuto assaporare appieno quel gusto acido che gli faceva emozionare le papille gustative.

Era febbraio; il mese delle non feste. Il mese nel quale il freddo aveva ormai scavato nello strato più profondo della carne e aveva già iniziato a grattare le ossa, e nonostante tutto questo le offerte dei passanti erano al minimo. Tutti avevano già appagato a dicembre il proprio desiderio di sentirsi delle persone migliori e si sarebbero sentiti tali per altri undici mesi. E in tutto questo, i barboni, quando non erano troppo impegnati a fare la metamorfosi da umani a cadaveri surgelati, si dovevano arrangiare. Ed è proprio in questo febbraio che troviamo il nostro Tavernello.

Stava seduto di fianco alla Conad, quella di corso Vittorio. Aveva lo sguardo leggermente assente, mentre davanti sfilava una serie interminabile di persone imbacuccate intente a sbuffare nuvolette di fumo. Come una colonna di trenini a vapore che si muovevano rapidi rapidi seguendo la propria rotaia.

"Salve!" esclamò Roger sorridente mentre gli si sedeva accanto, "per caso ho interrotto qualche pensiero profondo?"

"Nah," rispose lui rispolverando la solita gag, "ero abbastanza vicino a capire il senso della vita, ma niente di interessante."

Roger rise di gusto abbracciando la sua chitarra sfondata, quasi come se non avesse sentito quella stessa battuta neanche trecento volte. Poi, tutto eccitato, riprese: "hey, Tavernello, amico, la vuoi vedere una cosa?"

Sapevano entrambi cosa stava per accadere, così come sapevano che la risposta di Tavernello sarebbe stata ininfluente. Roger raccontava spesso della sua vita da rock star prima di cadere in miseria. Il suo nome d'arte era "Smoke on the water" per via del suo vizio di fumare ovunque, persino al cesso. Aveva anche più volte chiesto agli altri barboni di essere chiamato con quel nome. Tuttavia, preferivano chiamarlo "Roger," per via del chitarrista dei Pink Floyd del quale parlava continuamente. Amava anche raccontare la storia di come aveva suonato proprio assieme al leggendario Roger Waters alla Wembley arena. E di come, durante il concerto, gli aveva offerto un brick di vino da duemila dollari dicendogli: "Hey, Roger, another brick in the wall." Che oltre ad essere un gioco di parole di pessimo gusto, era anche il titolo di una canzone dei Pink Floyd.

"Cosa?" domandò Tavernello senza alcuna curiosità, "cosa vuoi farmi vedere, Roger?"

"Another brick in the wall!" esclamò lui mentre indicava il San Crispino da 0.25 che teneva in mano.

Tavernello sorrise per un istante brevissimo. Poi: "hai sentito di Steve Jobs?"

"Ha finalmente vinto all'euro jackpot?"

Concorso "Voce alle emozioni" PessimoAugustoWhere stories live. Discover now