La nostra vita si basa sulle relazioni umane, sui rapporti che riusciamo a costruire, sulle persone che decidiamo di frequentare.
Quanta gente ignoriamo? Quanta desideriamo frequentarne?
Perché abbiamo così tanto bisogno di esternare i nostri sentimenti, di condividerli con qualcuno?
Perché non ci bastiamo? Perché abbiamo sempre bisogno di conferme?
Su cosa si basa realmente un'amicizia, un amore? Sulla fiducia, sulla stima, sull'intimità.
Io so di essere amica con qualcuno quando non ho bisogno di parlargli. Quando il silenzio non è sintomo di disagio. Quando è il semplice stare insieme, ognuno a fare le proprie cose, a farmi stare bene.
So di essere amica con qualcuno quando posso mostrarmi debole, fragile, goffa e timida. Senza avere paura di essere giudicata o incoraggiata. Quando il mio modo di essere va bene così com'è.
So di essere amica con qualcuno quando posso ballare. E cantare. E gridare. E ridere a voce alta. E parlare di politica. E di cinema. E di arte.
Sono amica di qualcuno quando lo posso trattare male e poi chiedergli scusa e poi tutto torna come prima. Sono amica di qualcuno quando non ho paura di perdonarlo. Sono amica di qualcuno quando lo posso abbracciare, baciare e picchiare.
Mentre scrivo queste parole, abbandonata su un lato della panchina, penso a Chandler Bing e Joey Tribbiani. Ecco, la loro è una vera amicizia. Non si tratta solo di affetto, ma di confidenza.
Porto l'indice e il medio alla bocca, come se dovessi fumare, ma non ho sigarette. E la verità è che non fumo nemmeno. È un semplice gesto che faccio da anni senza pensare.
Sono al porto di Cagliari, nello stesso punto in cui, poche settimane fa, un mio amico mi aveva letto il libro che stava scrivendo. Uno di quei racconti scritti da Dio, che ti prendono a pugni lo stomaco e che ti saltano sul cuore. Un racconto così, tutto vita vissuta e sentimenti sentiti. Mentre il mio amico, Joe, lo leggeva, io guardavo il vuoto e annuivo in silenzio, con la consapevolezza di avere a fianco un artista. Tutto ciò che circonda Joe è arte: la musica jazz, l'impegno politico, il fumo, la lettura, l'omosessualità. Anche l'ansia, la rabbia e la tristezza contribuiscono alla costruzione del suo personaggio, così vincente e perdente allo stesso tempo.
E io corro dietro alle persone così, quelle che provano emozioni abbastanza forti da travolgere anche me, che mi influenzano l'immaginazione e che mi modificano i pensieri.
C'era un capoverso, in Sulla Strada, in cui mi ero identificata nell'estate della terza media.
Diceva così:
"A quel tempo danzavano per le strade come pazzi, e io li seguivo a fatica come ho fatto tutta la vita con le persone che mi interessano, perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d'artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle."
Joe è del fuoco d'artificio, così come lo sono numerose persone che ho incontrato e conosciuto negli ultimi due anni: Keira, Vanessa, Ambra, Alice, Daniele, Matteo, Nicola, Dario, Enrico e Andrea. Persone che ho visto di sfuggita e con cui ho parlato appena qualche minuto, persone che sono diventate importanti nel mio quotidiano. Persone che, come i fuochi d'artificio, sanno essere spettacolari nella loro malinconia e distruzione.
Quindi me ne sto qui, con le gambe incrociate su una panchina davanti al porto, mentre mi passano davanti coppie di anziani e gruppi di adolescenti. Un ragazzo senegalese mi si avvicina per chiedermi qualche soldo. Gli dico che non ho niente e mi scuso. Lui sorride e dice di non preoccuparmi. Ci battiamo il pugno e ci salutiamo allegri.
Lo guardo andare via con un passo quasi danzante, porta con sé della musica che non posso sentire. Metto le mani in tasca e stringo in un pugno il biglietto del pullman. Me ne vado.