Porto, la chiamavano.
Un fazzoletto di terra in mezzo a tanti altri, che si distingueva da essi solo grazie alle innumerevoli case in pietra che ospitava. Stradine piene di ciottoli, un continuo via e vai di mercanti e mercati.
L'aria di mare baciava il paesaggio e i suoi abitanti usando la stessa tenerezza di una madre con il suo bambino, mentre nuvole bianche solcavano il cielo candidamente azzurro.
Era questo il ricordo della mia terra.
Io ero sicuramente nato altrove, vicino ai monti forse, circondato dalle donne nomadi che accompagnavano mia madre in un viaggio verso un futuro migliore sia per me che per mio fratello, dove magari avremmo potuto vivere in modo più dignitoso.
Ah già, mio fratello. C'era pure il faccino di mio fratello -all'epoca doveva avere tre anni- che mi osservava mentre venivo al mondo.
Mia madre raggiunse Porto quando io ancora la facevo nel pannolino e mio fratello aveva i capelli ricci come il cappello di un fungo e faceva i capricci perché voleva essere un nobile, o chissà che cosa. Già, ora aveva ventidue anni e non era cambiato di una virgola, ma un punto a suo favore glielo potevo dare: aveva cambiato acconciatura.
Io, invece?
Ho smesso di farla nel pannolino da un pezzo.
Questo è quanto.Ah, e nell'arco dei miei diciannove anni ho anche perso un braccio.
Non vi dirò come, né quando: non solo perché non lo ricordo con esattezza, ma anche perché non credo sia importante. Vi basti sapere che era quello destro.Ma spostiamoci ai miei diciannove anni di vita, appena compiuti freschi freschi: una meravigliosa giornata di primavera ed è lì che iniziò tutto.
Stavo nel negozio di spezie, trafficando sotto il bancone.
Sparse sul pavimento di legno vi erano cianfrusaglie di ogni tipo, illuminate da quella luce giallastra che ormai mi era tanto famigliare mentre io svuotavo sempre di più il cassetto, standomene chino e canticchiando qualche canzoncina che forse mi stavo pure inventando sul momento. D'altronde era calma piatta in negozio e potevo permettermi di non badare ai clienti e cercare quello di cui avevo bisogno.Ritrassi il braccio meccanico e rimasi qualche secondo, come incantato, ad osservare quel maledetto cassetto buio.
Lo guardai un altro paio di secondi con aria di sfida.
Il cassetto voleva giocare duro?
Io lo avrei accontentato.Stavolta mi ficcai dentro con la testa, cominciando a lanciare fuori tutto quello che vi trovavo dentro, spinto da un'irrefrenabile frenesia e carico come una molla.
Capitemi: ero disperato.
La prendevo parecchio sul personale quando non trovavo una cosa e avrei passato interi mesi solo a cercarla, vantadomi del fatto che la mia testardaggine fosse più forte dell'acciaio.Ma presto mi ricordai che anche le urla di mia madre erano maledettamente forti.
Più forti dell'acciaio e la mia testardaggine messi insieme.Mi tirò fuori dal cassetto e mi alzò il volto, guardandomi con forte aria di rimprovero. "Raritas!"
Mia madre era una donna bellissima.
La consideravo ancora giovane, nel fiore dei suoi trenta, forse trentacinque, anni.
La sua pelle nera era piena di lentiggini e i suoi occhioni azzurri brillavano come diamanti, riflettendo i mille colori dell'arcobaleno.
I capelli ricci e scuri le cadevano dolcemente sulle spalle vestite da un drappo verde. Parecchi bracciali le cingevano quelle braccia che apparivano ai miei occhi così forti ma allo stesso tempo così incredibilmente delicate.Era ancora una donna stupenda e più volte mi chiedevo perché non si fosse mai risposata. Ma sapevo già la risposta: era orgogliosamente testarda come me e non credeva più tanto all'amore o alle favole.
Veniva da un ambiente per niente facile e le sue esperienze dovevano averla temprata a sufficienza per spingerla a portarsi appresso un bambino in mezzo ad un gruppo di mercanti nomadi, difenderlo da tutti i conseguenti problemi, partorirne un altro nel bel mezzo del nulla ed infine stabilirsi in una nuova ed enorme città.
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The Goldenbird Name
Fantasy"Svelami, oh uccellino d'oro, il tuo nome." Cosa si fa quando una persona è ammalata? La si porta dal dottore. Ma cosa si fa quando, invece, la persona non è semplicemente ammalata, ma ha tessuta sotto la sua pelle una maledizione che la corrode pia...