Capitolo Uno

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Una mattina ti svegli e sei un'adolescente.

Così, senza un avvertimento, dall'oggi al domani, ti risvegli nel corpo di uno sconosciuto che si vede in sovrappeso, odia tutti, si veste solo di nero e ha pensieri suicidi l'84% del tempo.

E io non facevo eccezione.

Il giorno del loro quattordicesimo compleanno tutti i miei compagni di classe si erano fatti organizzare feste pazzesche, ricevendo tutto ciò che avevano sempre desiderato.

Mia madre, invece, mi aveva portato al ristorante italiano assieme al suo compagno e mi aveva regalato un semplice libro di Stephen King dicendomi che ormai ero grande abbastanza per leggerlo.

Mio padre mi aveva fatto gli auguri con ben due giorni di ritardo e aveva insistito affinché andassi a cena da loro.

Loro erano la famiglia perfetta: papà, La sua nuova fiamma e i due nuovi gemellini, la dichiarazione ufficiale del nostro fallimento. Come se noi fossimo stati la brutta copia.

Un tempo eravamo stati bene insieme, un sacco di fotografie lo dimostravano!

Certo, è vero che in fotografia alla fine devi sempre sorridere anche se preferiresti che ti sparassero in quel momento, ma ero davvero convinto che andasse tutto bene fra di loro poiché mi sentivo sereno, protetto e sicuro - anche se detto così, sembrava di più la pubblicità di un'assorbente -.

Il mio non era un padre modello, uno di quelli che ti prendono per la manina e ti portano al parco giochi.

Lui era uno di quelli che ignoravano la tua presenza, come se fossero impegnati ad architettare l'invenzione del secolo - tipo la formula per sciogliere la chewing gum da sotto la suola delle scarpe - e se gli chiedevi di ripeterti cosa gli avevi appena chiesto, ti guardava interrogativo e ti domandava cosa ci fosse per cena. Più che mio mio padre, sembrava un ospite, uno da cui ti aspetti che prima o poi ti chieda di fargli il conto della camera.

E infatti un giorno aveva fatto le valigie e se ne era andato, non prima di averci detto addio.

Non dimenticherò mai le sue parole.

«Anche se non abiterò più qui e avrò altri due bambini da accudire, sarò sempre anche il tuo papà» detto come se fosse la cosa più naturale al mondo, mentre mi fissava negli occhi.

Era quell'anche che mi aveva ferito più di tutti. Come quando dicono di offrire le caramelle anche agli altri bambini.

Era come dire "Non essere egoista, dai il tuo papà anche agli altri bambini!"

E da quel giorno era diventato il marito e il padre dell'anno, per tutti tranne che per noi.

La mamma diventò la sua migliore amica alla fine, una specie di confidente da chiamare in qualunque momento, per sapere come cuocere un uovo, o per farsi consigliare uno shampoo antiforfora. E se anche lei voleva dimostrare il contrario, si notava lontano un chilometro di distanza che ci stava ancora male.

Mentre io continuavo a sentirmi fuori posto. Del resto avevo poca scelta: con un padre anglosassone e una madre italiana, era facile sentirsi né carne, né pesce.

Si conobbero a Milano, dove papà frequentava uno di quei - inutili - corsi di lingua straniera e mia madre era la sua insegnante.

Fu amore a prima vista. "Il primo e l'unico" recitava mia madre ogni volta che glielo si chiedeva, ma forse era convinta dell'idea che gli anglosassoni fossero dinamici e autosufficienti.

Certamente, mio padre era dinamicissimo e autosufficientissimo: dinamico come un blocco di cemento e autosufficiente come un poppante.

La prima - e l'ultima - volta che la portò a cenare fuori per S. Valentino fu ad una trattoria rozza, situata appena dopo lo svincolo di casa, provocando una grande delusione da parte di mia madre.

Innamorato Di Un Angelo (Versione Larry)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora