Limone

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Sentivo le caviglie bruciare: non volevo correre perché se c'è una cosa che odio è sentirmi ballonzolare lo zaino sulla schiena, quindi camminavo velocemente; non ero in ritardo, ma piuttosto sul filo del rasoio.

Stavo salendo le scale, ma ero distratta, fissavo i gradini ma in realtà non li vededevo: ero immersa nei miei pensieri quando ad un tratto uno scossone sulla spalla mi riportó alla realtà; sentii un assonnato "scusa", alzai lo sguardo e una fitta mi trafisse lo stomaco.
Lui sembró svegliarsi solo in quel momento: erano passati 4 anni e non lo avevo mai più incontrato, il che può sembrare assurdo dato che viviamo in una cittadina molto piccola.
Non ci volevo credere.
Stesso sorrisetto, stessa occhiata veloce dall'alto al basso: "Ciao Lia".
Aveva il casco incastrato tra il gomito e l'avambraccio.
Poi si rigiró e riprese a salire le scale, mentre io rimasi lí con la gola secca. Non mi ricordo nemmeno se gli sussurrai un "ciao" di risposta, ma quel che non potrò mai scordare è il vuoto che provai.

Entrai in classe e sembravo veramente rincoglionita.
"Ciao Lia, tutto okay?"
Mi chiese Cami quando presi posto vicino a lei.
"Sisi, solo che..." e in quel momento lo vidi: ultimo banco a destra, blocco di banchi centrale, probabilmete stava ridendo ad una battuta di Filippo, ma smise nel momento in cui anche lui vide me.
Schiusi le labbra, rabbrividii e distolsi subito lo sguardo.
Mi girai verso Eli, che era seduta dietro Cami, e mi accorsi che stava avendo la stessa reazione che avevo avuto io due secondi prima: anche lei aveva visto Enea.
Non riuscivamo a dirci nulla, non ci capivamo nulla.

Io ed Elisa siamo amiche sin dai tempi dell'asilo; abbiano frequentato due scuole elementari differenti, ma non ci siamo mai perse di vista. Al liceo siamo finite nella stessa classe così come alle medie: quei tre anni furono i più brutti della nostra vita, anche perché Enea ne fece parte.

"Ehi Veraldi, hai visto chi ti ho portato?" urló Filippo
"Varaldi, non dirmi che non mi hai riconosciuto prima" mi chiese retoricamente Enea facendo poi di nuovo quel sorrisetto.
Era così strano vederlo dopo tutto quel tempo.
"Perché sei qui?" andai dritta al punto.
"Che c'è? Non sei felice di rivedermi?" disse ridendo.
"Ti ha fatto una domanda" intervenne Elisa.
"Nervosetta come sempre la Eli, eh?" disse Filippo.
"Secondo te perché sono qui?" mi chiese Enea.
Lo faceva sempre: era l'unico che riusciva a spiazzarmi ad ogni risposta, l'unico che mi teneva testa; ammetto che mi piace avere sempre l'ultima parola, la conversazione in pugno, ma con lui non ci riuscivo mai. Tutte le volte che iniziavamo a parlare era come una partita a scacchi in cui ogni parola, ogni risposta, era studita per mettere l'altro in difficoltà. Il punto è che ero sempre io a rimanere bloccata e a non sapere che mossa fare per "contrattaccare". La cosa che mi innervosiva di più, però, era la sua epressione dopo che si accorgeva di avermi lasciato col fiato mozzato: lo capiva perché involontariamente io gli sorridevo e spostavo lo sguardo. Così anche lui sorrideva e lo faceva con arroganza: gli si formavano anche due fossette profondissime sulle guance che sembravano sottolineare la sua soddisfazione.
"Hai deciso di cambiare scuola perché non ti sopportava più nessuno?" gli risposi.
Lui sorrise, ma in quel momento entrò la prof che dopo essersi seduta alla cattedra lo guardó sorpresa e disse:
"Raffaeli, ma allora è vero che sei in una delle mie classi quest'anno". Enea giocava a calcio con suo figlio quando erano piccoli, ecco il motivo di tanta confidenza.

"Lia stasera hai allenamento?" mi chiese Cami sottovoce
"Cosa?" per tutta la mattinata cercai di comportarmi normalmente e di evitarlo parlando con le mie amiche o impegnadomi a prendere appunti, ma comunque sapere che si trovava a pochi banchi di distanaza mi distraeva.
"Stasera hai allenamento? Se no potresti venire a vedere la nostra partita, se hai voglia" mi propose Cami
"Ah nono stasera sono libera; a che ora giocate?"
"Alle 20.00" disse Chiara
"Okay. Vengo in moto, ti passo a prendere?" chiesi rivolgendomi a Lara che era seduta dietro di me tra Eli e Chiara.
"Ti so dire perché finisco inglese alle 19.30" mi rispose.
"... forse più di tutti gli altri filosofi" sentii dire dalla prof poco prima che suonasse la campanella.
Chiara, Lara e Cami corsero via perché se no avrebbero perso la corriera, e anche Enea uscì quasi subito dall'aula.
Eli invece mi aspettó mentre mettevo a posto gli ultimi libri nello zaino.
"Ma che cazzo" mi disse Elisa mentre ci stavamo dirigendo all'uscita.
"Lasciamo stare" risposi io.
"Ti ricordi che tipo, quando eravamo in seconda, Fili ce lo diceva che Daniel e altri volevano cambiare scuola e venire da noi, ma non aveva mai parlato di En e a" guardai nella sua stessa direzione per capire cosa l'avesse fatta esitare nel finire la frase e vidi Enea che si stava limonando con la Bertolini: il mio stomaco si annodó. Lui incrociò i nostri sguardi, ma noi continuammo a camminare.
Ero imbarazzata, e credo anche Eli lo fosse così evitammo di commentare la scena a cui avevamo appena assisitito e non ci dicemmo nulla fino al cancello.
"Allora a stasera".
"A dopo" risposi io.

Quando ero piccola e mia nonna mi veniva a prendere a scuola le raccontavo sempre cosa avevo fatto e imparato di nuovo quel giorno, e quando finivo di raccontare mi domandava: "E che gusto ha avuto questa tua giornata?"
Io le rispondevo "fragola", "nocciola"... poi le spiegavo perché.
Ancora adesso quando la chiamo la sera me lo chiede.

Quella era stata decisamente una giornata al limone: quando ne addenti uno spicchio subito rimani un po' scioccato dalla sua asprezza alla quale però dopo un po' fai meno caso, per poi invece accorgerti dell'aciditá che ti ha lasciato in bocca.
Così anche io rimasi spiazzata quando rividi Enea, ma cercai di non farmi distrarre troppo da lui.
Quel bacio all'uscita però mi aveva vermanete lasciato la bocca acida. Ma il motivo di tale acidità non lo volevo ancora ammettere a me stessa.

Little Digs || Herman TømmeraasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora