Le tre del mattino, quando il sonno è più pesante e tutti dormono. Il telefono squilla, mi sveglia ma decido di ignorarlo, chiunque sia non ha nessun diritto di strapparmi al sonno. Ma il telefono insiste, insiste, e capisco che devo rispondere se voglio farla finita con questo supplizio.
E' Jeff, dice che gli è venuta voglia di parlarmi e non poteva aspettare; sullo sfondo sento un rumore ritmico, una specie di "pot-pot", immagino che sia una sorta di base ritmica di qualche musica dance. Scopro che non ha molto da dirmi, si lancia in una specie di amarcord del passato, ricordandomi le cose che abbiamo fatto assieme, *pot-pot* i posti dove siamo stati, le persone che abbiamo conosciuto *pot-pot* e tutte le esperienze che abbiamo condiviso. Mi rendo conto, dalla cadenza monotona delle parole, che è triste. La sua voce però è ferma, chiara. Come se tra quello che realmente prova e quello che mi racconta, vi fosse un vetro molto spesso.
Io faccio uno sforzo immane per starlo a sentire e reagire al suo monologo con qualche monosillabo e mugugno, tanto per fargli capire che sì *pot-pot* siamo buoni amici, ma telefonarmi alle 3 di notte per ricordarmelo è peggio che confessarmi di essersi scopato la mia ragazza. Alla fine riesco a metter su una frase con senso compiuto, gli dico che è un caro *pot-pot* amico, gli sono molto affezionato, che se vuole domani vado a trovarlo e parliamo dei suoi problemi. Lui sembra non sentirmi, ha ancora voglia di parlare, ma capisce dal tono (involontario) delle mie parole, dette con la massima educazione, per non ferirlo, che *pot-pot* voglio troncare la conversazione. Mi saluta e chiude.
Maledico ogni divinità mai esistita nella mente dell'uomo, dal Dio Ra dei Faraoni a Maometto, passando per Gesù Cristo, suo Padre Dio, Confucio, Buddha, Santi Maggiori e santi minori, profeti di sciagura e non. E con ciò mi sono prenotato un posto all'inferno se per caso uno di costoro esiste davvero. Poi sbatto il telefono sul comodino, giro la faccia sul cuscino e ritorno finalmente a dormire.
L'indomani faccio la scoperta: poco prima di chiamarmi aveva collegato il tubo di scappamento della macchina all'abitacolo, si era rinchiuso dentro e aveva fatto la sua ultima telefonata, proprio alle 3 precise. Ed ero stato io a riceverla, ma non avevo capito che quel maledetto "pot-pot" era il rumore del motore della macchina che scaricava nei suoi polmoni il veleno che poco dopo lo avrebbe ucciso.
Ci sono notti che mi sveglio sudato e urlante, perché nel sonno sento il telefono squillare, e sento che devo rispondere subito, che è lui, che devo dirgli di uscire subito da quella macchina, di non uccidersi. Ma, a parte quella prima volta, non c'è nessun telefono che squilla ma è solo un sogno, sicuramente dettato dal mio senso di colpa. Accendo la luce per cercare un sonnifero per potermi riaddormentare e guardo l'orologio: puntualmente, ogni volta, sono le 3 di notte esatte e puntualmente un brivido mi corre lungo la schiena.