Quarta entry per il contest #writemycharacter.
Autore:@violasimeone
Titolo: L'arrivo
A Thalassea regnava la pace.
O meglio, una specie di calma tranquilla che increspava lievemente le onde spumose.
Finché qualcuno non interveniva e provocava accidentalmente una tempesta mostruosa, ovviamente.
Quel qualcuno si chiamava Serena, e di sereno aveva solo il nome.
- Meg, sta arrivando! Sta arrivando! - gridò entusiasta la suddetta provocatrice di tempeste, mentre la sua lunga treccia bionda seguiva i bruschi movimenti della ragazza.
Era appena entrata di gran carriera nella stanza della sorella, la quale stava scribacchiando con la sua grafia elegante e arzigogolata in un modo incomprensibile su un foglio di carta pregiata, che nascose svelta nelle pieghe della veste azzurra e dorata all'arrivo di Serena.
Meg sorrise educatamente, anche se un tarlo la divorava dall'interno, rendendo vuoto il suo sguardo e fasullo il suo riso.
A Serena bastò uno sguardo per rendersene conto: la sorella fissava sovrappensiero il vuoto, senza badare al suo cicalio imperterrito.
- Ehi Meg, hai sentito cos'ho detto? - tentò di nuovo, il sorriso smisurato e l'eccitazione a stento trattenuta: aveva voglia di prendere le mani della sorella e ballare per la camera da letto di quest'ultima, ma non lo fece per rispetto di Meg.
Non le piacevano infatti le esagerate dimostrazioni d'affetto, e per una persona espansiva come Serena tutto ciò era inconcepibile.
Finalmente Meg sollevò lo sguardo, le iridi turchesi che riflettevano l'animo quieto e tranquillo della giovane donna, nonostante un briciolo di tristezza che finiva per ingoiare crudelmente la scintilla nei suoi occhi.
- Serena, chi sta arrivando? - proferì con calma, l'eleganza nella postura e i lineamenti regali a confermare la sua appartenenza alla nobiltà della città del mare.
- Tritone! È in canoa, a qualche ora da qui! Ha abbandonato la zattera con i compagni per andare più veloce! - squittì felice Serena, gli occhi colmi delle lacrime di gioia.
I suoi sogni si stavano avverando, e il ricordo del proprio amato le si stampò all'interno delle palpebre, riempiendole il cuore di felicità, anche solo per quell'immagine fittizia: non sapeva infatti quanto fosse cambiato Tritone durante il viaggio, ma lei lo avrebbe amato comunque, ne era certa.
- Oh. Sono felice per te, sorellina - commentò Meg, impassibile.
Sembravano le fredde congratulazioni di un estraneo, di uno dei ministri snob e altezzosi che ogni anno eseguivano il censimento, con arricciamenti di naso e smorfie malcelate.
Non fece neanche lo sforzo di sorridere, e ciò fece sgonfiare Serena come un palloncino bucato.
La delusione cocente si dipinse sul suo volto a chiare pennellate, sbiancando leggermente la pelle ambrata che era solita sfoggiare con orgoglio ai balli eleganti e alle feste di gala.
- Meg, cosa stai dicendo? - chiese, ferita.
- La verità, cara. Perché non vai dal tuo futuro marito? - disse ancora, l'acidità nella voce come fiele che fece morire sul nascere il tentativo di riappacificazione di Serena, che era pronta a scusarsi per qualunque cosa avesse fatto.
Quelle poche, perfide parole cancellarono il sorriso dal viso di Serena, la quale la squadrò con una furia trattenuta e uscì dalla stanza di Meg, prendendo a calci la tenda che la celava al mondo esterno alle spalle, in un attacco di rabbia improvviso.
La sorella sapeva perfettamente che i loro genitori l'avrebbero data in sposa a un uomo qualsiasi di una casta più elevata, appena ne avesse avuto l'età.
Serena, uscita dal quartiere ricco dove abitava, costruito sulle fondamenta di corallo e decorato con ogni perla del mare, corse fino al molo, dove si sedette sull'asse di legno del pontile, singhiozzando tristemente.
Pensava che Meg sarebbe stata felice del fatto che il suo amato fosse tornato presto, ma evidentemente si era sbagliata sul conto della sorella: È solo una perfida megera che vuole solo la tua infelicità si disse con un nodo in gola, riflettendo lugubre sulla soddisfazione che Meg avrebbe avuto dipinta sul viso quando l'avrebbe vista sposata a uno sconosciuto.
●●●
Finalmente sola, Meg si abbandonò a un pianto silenzioso, con le lacrime che solcavano lentamente le sue guance lisce, da bambola.
Amava profondamente la sorella, ma la sua felicità e il suo tono squillante avevano portato a galla ricordi spiacevoli nel subconscio della più grande.
Rivide con l'occhio della mente un giovane dai capelli corvini, la pelle ambrata, e gli occhi di ossidiana, impenetrabili e meravigliosi.
Partito per indagare sul misterioso corpo metallico abbandonato a pochi chilometri da Thalassea, un mastodontico Mostro fatto di un materiale indistruttibile e argenteo.
Era stato ritrovato dai compagni lasciati indietro in precedenza con i vestiti sbrindellati e il corpo ferito a morte. Un esperto in materia aveva dichiarato che si trattava di un attacco di uno squalo solitario.
Ricordava le parole di rammarico, gli abbracci silenziosi, gli sguardi impietositi degli amici e della sua stessa famiglia. Tra cui Serena.
Ma ricordava anche il fetore del suo corpo per metà decomposto, il dolore nei suoi occhi color onice, l'ultima parola sulle labbra, quel sussurro che non era mai riuscito a pronunciare: Megara.
Mentre Serena era innamorata di un ragazzo che era tornato dalla spedizione, ancora vivo.
Non era giusto.
Si sforzò di fermare le lacrime, deglutendo il sapore salato e soffocante, la gola gonfia e gli occhi dalle palpebre serrate.
Alla fine si decise: raccolte le proprie vesti turchesi, prese la lettera e la strappò in due, in quattro, in otto, con gesti decisi e nessun rimpianto.
Poi incrociò il proprio sguardo allo specchio, rimosse le piccole imperfezioni che il pianto aveva portato con un sottile pennello con la punta in cui era incastonata una preziosa perla bianca e uscì dalla propria stanza, i passi imperiosi e degni di una sovrana.
Camminò fino al molo, senza incrociare lo sguardo di nessuno: i servi la scrutavano con timore reverenziale, ma lei si limitaca ad accelerare il passo se qualcuno si avvicinava troppo, per chiederle un parere sulle mansioni da svolgere.
Lì Serena fissava il mare, mesta e pensierosa. Spesso tirava su con il naso, le piccole mani che tremavano impercettibilmente a causa di lievi spasmi, gli occhi puntati sull'orizzonte.
L'acqua chiara e limpida doleva agli occhi, per tutti i riflessi accecanti che il sole proiettava su di essa.
Meg si fermò a pochi passi dalla sorella, incapace di avanzare oltre. Sentiva irradiarsi lo sconforto della sorella, furiosa e confusa per le sue cattiverie.
Meg sentì una stretta al cuore, e prese una decisione immediata.
Cinse le spalle della sorella in un abbraccio improvviso, premendo il proprio viso umido di lacrime appena sbocciate nei suoi occhi azzurri contro la chioma dorata di Serena.
Serena si immobilizzò vigile all'inizio, ma poi riconobbe il profumo familiare di Meg e ricambiò la stretta, cercando di fermare il flusso di lacrime.
- Non volevo dire quelle cose, mi dispiace - sussurrò Meg, tremando leggermente.
Per tutta risposta Serena annuì, incapace di proferire parola, e si aggrappò a lei come se fosse stata la sua áncora, necessaria per non affogare nel torbido specchio d'acqua dell'autocommiserazione.
- Non ti preoccupare, sono stata io... - balbettò, cercando gli occhi celesti della sorella con lo sguardo.
Lei lo ricambiò, ferma e decisa, come sempre.
- Sei la sorella maggiore migliore del mondo - sorrise Serena, con le guance rigate di lacrime.
- E tu la sorellina migliore del mondo...Tritone è fortunato ad averti - replicò Meg, con una strizzata d'occhi.
A quel punto un bambino, sulla soglia del cammino per l'età adulta, comparve all'improvviso all'inizio del pontile e le interruppe, gridando a squarciagola: - È arrivato! È arrivato! -
I ricci castani, una nuvola vaporosa di ciocche inselvatichite, con anche qualche striscia di alga, e le sopracciglia incurvate, come due punti interrogativi, gli conferivano un'espressione perennemente sorpresa, accresciuta dagli occhioni scuri spalancati.
La coda color nocciola si agitava come impazzita, fendendo l'aria.
- Le guardie l'hanno avvistato con i cannocchiali, è a venti minuti da qua, in canoa! - ansimò il ragazzino, sorridendo radioso.
Aveva un bizzarro nasino a patata, raro per il popolo del mare: Serena e Meg avevano infatti un delicato naso all'insù.
Serena si illuminò in viso alla notizia portata dal messaggero più improbabile che riuscisse a immaginare, e corse sul bordo del pontile per sporgersi il più possibile, come se avesse potuto vedere il suo amato che fendeva le onde con il remo ligneo.
La superficie dell'oceano era accecante, però, e la ragazza socchiuse gli occhi per riuscire a intravedere qualcosa che non fosse un fastidioso miscuglio di bianco e luce.
Intanto Meg sorrise, ben conoscendo l'emozione frenetica e ansiosa che attanagliava lo stomaco di sua sorella, e bisbigliò qualcosa all'orecchio del giovane, il quale sgranò gli occhi e sorrise entusiasta, annuendo con enfasi.
Poi si mise a correre a tutta velocità verso le dimore di Thalassea, gridando fuori di sé: - Tritone è tornato! -
- Dobbiamo preparare una festa! - aggiunse poi, ripensandoci.
Ormai aveva raggiunto il mercato, che sbocciava in un tripudio di colori e profumi dolciastri.
Lì i mercanti esponevano le loro merci, lodandole ad alta voce, e i poveri ladruncoli dalle mani abili sottraevano agilmente bracciali e preziosi manufatti dalle braccia degli incauti e dei distratti.
Superò come un fulmine le prime bancarelle, correndo con lo sguardo alla sua meta: la dimora elegante e maestosa dei genitori di Meg e Serena.
Batteva violentemente i piedi nudi sul suolo di sabbia, il più veloce possibile per evitare che la polvere bollente gli ustionasse le piante.
Arrivato alla nobile abitazione, entrò impaziente, senza chiedere permesso, e corse dritto fino alla sala da pranzo, dove la madre delle due sorelle, Nereidea, lo guardò stralunata.
Fra i lunghi capelli biondi, che le sue figlie avevano ereditato, spiccavano alcune ciocche grigie, e le rughe leggere sotto gli occhi formavano un reticolo, segno dell'età avanzata della donna.
- Tritone è tornato! - strillò gioioso il bambino, che nutriva una profonda ammirazione per il giovane.
Nereidea sorrise all'ingenua spontaneità del bimbo.
- Ragazzo, come fai a sapere che Tritone è tornato? - lo interpellò, deponendo i gioielli che stava ammirando nel portagioie perlato.
- Le guardie, lo hanno avvistato con i cannocchiali! - rispose concitato lui, battendo festoso le manine.
- Ora voi e vostro marito potrete concedergli la mano di vostra figlia, considerato il suo alto grado di esploratore! - esclamò, felice.
Nereidea annuì, solenne, e tese al bambino una moneta di perla, come ricompensa per i suoi servigi.
Lui la intascò con un sorriso radioso, e dopo aver salutato ossequiosamente la donna sfrecciò di nuovo via, alla ricerca dei suoi amici.
●●●
- È lì! - esultò Serena, intravedendo una figura che dava energici colpi di remo alla canoa, spingendosi verso il pontile.
Meg sorrise, contenta.
Se lei non poteva avere il suo lieto fine, perché mai avrebbe dovuto proibire a sua sorella il suo?
Anche perché vedere la felicità sul suo volto era ciò che di più bello avesse mai visto.
Quando Tritone fu a poche decine di metri dal pontile, Serena riuscì a vedere finalmente il suo amato: i lunghi capelli biondi in parte raccolti in un nastro rosso acceso, i muscoli scolpiti e abbronzati in rilievo sul corpo attraente, il viso segnato dalle intemperie esultante, gioioso.
Sulla pelle ambrata risaltavano i tatuaggi vermigli, gli stessi che ricoprivano l'epidermide di Elena.
Avevano scelto il rosso perché è sempre stato il colore preferito di Poseideo, le sussurrò il suo subconscio, e Meg si impose di sorridere, nonostante fosse sull'orlo del pianto.
Di nuovo.
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