rain

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Midoriya fissava le nuvole grigie e tramortite dal vento impetuoso, che le scostava, le ammassava, le scuoteva

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Midoriya fissava le nuvole grigie e tramortite dal vento impetuoso, che le scostava, le ammassava, le scuoteva. Seduto sul piccolo davanzale, con la schiena contro il muro bianco, la fronte diafana poggiata al vetro freddo, così freddo da provocargli un fastidio.
Tic.
Una goccia, precipitata e poi schiantatasi in un impersonale ticchettio, riportò alla mente del ragazzo molti, moltissimi episodi.

Le scale dell'atrio scolastico avevano gradini alti e grigi, con delle strisce antiscivolo al termine di ognuno.
E, come chi non vanta un'altezza enorme sa, gli scalini così, possono essere micidiali.
Proprio Izuku, quel pomeriggio, era inciampato e caduto rovinosamente sul quelle dannate scale, sbucciandosi anche un gomito, come i bambini.
Per secondi immemori, era rimasto seduto nell'atrio vuoto, senza realizzare cosa fosse successo, mentre la tempestosa piovuta che infuriava al di fuori della scuola, gli recapitava potenti soffi di vento e schizzi d'acqua ghiacciata, quando, due braccia tiepide e salde, l'avevano sollevato.
«Sembri stupido a fissare il vuoto mentre sanguini.»
La voce tagliente di Katsuki era sembrata così calda ed accogliente, come un riparo dallo zefiro che scuoteva la porta, che Midoriya non aveva nemmeno provato a mormorare qualcosa, come suo solito.
Si era solo lasciato trasportare, appoggiato alla schiena di Bakugou, con la guancia sulla sua spalla, improvvisamente, terribilmente stanco.
Ricordava di aver fissato con le guance imporporate la finestra vittima della furia temporalesca, mentre il biondo gli fasciava il gomito in silenzio, senza lasciargli nemmeno capire perché lo stesse facendo.
Prima che Izuku avesse potuto aprir bocca, infatti, Katsuki era sparito dietro la porta.
«Grazie, Kacchan—»,
aveva mormorato al muro bianco.

«Grazie, Kacchan—»,aveva mormorato al muro bianco

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Tic, tic.
Una goccia, due gocce.
Gocce che cadevano con apparente placidità, una dopo l'altra, veloci, eppure calme, inesorabili, sugli ombrelli dei passanti.
Ne riconobbe uno blu, uno nero, uno giallo e persino uno multicolore, arcobaleno.
Però, di ombrelli rossi come quello, non ce n'erano.

Il ragazzo dai capelli verdi-corvini camminava a testa china, osservando la punta delle sue enormi sneakers bagnarsi ad ogni passo di più, maledicendosi per non aver ascoltato le previsioni che, proprio qualche giorno prima, avevano previsto pioggia.
Il passo veloce di Izuku, non lo era abbastanza infatti da proteggerlo dall'incombente temporale che andava ad infittirsi a poco a poco.
Dopo qualche secondo, si era reso conto che le gocce non si stavano posando sulle sue scarpe, né sulle ciocche dei suoi capelli, né sulla punta del suo naso.
Aveva alzato lo sguardo ed aveva trovato un accogliente rosso a proteggerlo e, confuso, si era girato verso la figura accanto a lui.
Bakugou si erigeva in tutta la sua altezza accanto a lui, con l'usuale cipiglio e gli angoli della bocca rivolti verso il basso, nella solita smorfia infastidita.
Midoriya aveva fatto per dire qualcosa, ma il biondo si era limitato a riprendere a camminare, con il più piccolo accanto che si era affrettato a seguirlo per non rimanere nuovamente sotto la pioggia.
Una volta arrivati a casa del corvino, proprio Izuku aveva potuto notare che il naso del ragazzo più alto si era arrossato, ed un tremore mal nascosto gli scuoteva le spalle coperte soltanto dalla divisa scolastica.
«Vuoi entrare?», aveva chiesto titubante e pronto a ricevere una risposta secca o sgarbata.
Con sua sorpresa, il biondo si era limitato ad annuire e, un pochi minuti, erano entrambi seduti sul letto di Midoriya, con tazze fumanti in mano, a conversare, come succedeva ai tempi della loro infanzia, sui loro eroi preferiti, strappandosi, seppur raramente, anche qualche risata.

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