Music makes you do the weirdest things

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Juliet non pensava si sarebbe mai abituata alla sensazione di svegliarsi la mattina con Cameron accanto.
Non che non fosse mai accaduto prima, avevano tutti perso il conto delle volte che, fin da bambini, li avevano ritrovati addormentati insieme dopo aver passato ore a parlare o litigare, finché la stanchezza non aveva vinto su di loro.
La maggior parte delle volte, in più, Juliet aveva anche usato Cameron come cuscino, senza minimamente sentirsi in colpa, nonostante le proteste del ragazzo.
«Fammi capire perché non puoi semplicemente usare i cuscini come le persone normali e devi proprio usare me tutte le volte» le ripeteva sempre lui, sbuffando.
«Perché tu sei più comodo, te l'ho già detto. E ora taci.» Tagliava corto lei, invece.
Ma questo era diverso.
Il modo in cui la faceva sentire era completamente diverso.
Forse lei stessa lo era, anche.
Era lei la prima ad alzarsi di solito, non riuscendo mai a dormire per più di poche ore. Cameron invece sarebbe potuto, probabilmente, restare a letto anche fino all'ora di pranzo. Sceglieva di non farlo, però, il più delle volte, per non lasciare Juliet (o sua madre, quando tornava a casa propria) da sola troppo a lungo.
Quella era una delle poche mattine in cui Cameron lasciava la sua pigrizia prendere il sopravvento, lottando contro la sveglia e il dovere di alzarsi, a favore di qualche ora in più di sonno. E questo permetteva a Juliet di perdersi nei suoi pensieri mentre, completamente adagiata contro al suo petto, lo guardava dal basso, tracciando mentalmente tutta la linea che dalla clavicola portava alla gola, alla mascella...
Avrebbe voluto disegnarlo, oppure ricoprirlo di baci, ma sapeva bene di non poter fare nessuna delle due cose. Non in quel momento, almeno.
Si concesse altri 5 minuti al caldo sotto il piumone, guardando la sua espressione rilassata e accarezzandogli piano i capelli, prima di alzarsi il più cautamente possibile, per non svegliarlo. Sgusciare fuori dal piccolo rifugio tra le braccia del suo ragazzo era davvero una tortura, per Juliet. Tortura che, però, avrebbe dovuto affrontare, seppur controvoglia.
Guardò il telefono alla ricerca, lo sapeva, del messaggio di Joel che le scriveva in piena crisi mistica sull'outfit da indossare quel giorno – dici che con i pantaloni grigi sta meglio la camicia azzurra o la classica bianca? – per poi ricordarle di sbrigarsi e non arrivare tardi.
Non fare niente di quello che farei io, al tuo posto, se avessi un ragazzo come Cameron addormentato di fianco. – le scrisse poi, aggiungendoci un'emoji ammiccante.
Juliet ridacchiò sottovoce, era il solito cretino.
Lo ignorò e decise di iniziare a prepararsi sul serio, altrimenti avrebbe fatto davvero tardi, sempre ammesso che prima ritrovasse i jeans che il giorno prima aveva frettolosamente tolto.
Perché non poteva essere ordinata come la maggior parte delle sue coetanee? Perché doveva sempre essere quella incasinata?
Sospirò.
Mezz'ora dopo era incredibilmente pronta ad uscire di casa, accordandosi con quell'idiota del suo migliore amico di incontrarsi al bar dietro lo studio.
Si rifiutava categoricamente di andare a discutere sulla loro futura carriera con Chris, il loro vocal coach, senza aver ingerito una buona dose di caffeina e zucchero prima.
Forse più zucchero che caffeina.
Andò per scrupolo a controllare se Cameron si fosse svegliato, ma ancora dormiva beato.
Sorrise, allora, e gli mandò un bacio al volo, che lui ovviamente non poté vedere.
Decise di lasciargli anche un biglietto sul comodino lì vicino, giusto per non farlo preoccupare, prima di uscire definitivamente di casa diretta a "lavoro".

***
Quando Cameron si svegliò erano ormai le 11 passate. Non ricordava di aver fatto chissà quanto tardi la sera prima, eppure quando la sveglia della sua ragazza era suonata, qualche ora prima, – ricordava vagamente di aver sentito la musichetta di quell'aggeggio infernale – la stanchezza che aveva addosso era così tanta da impedirgli di alzarsi. Aveva davvero bisogno di dormire ancora e Juliet parve averlo intuito.
Aprì gli occhi a fatica, sforzandosi di cacciare la sonnolenza latente, che ancora lo richiamava tra le sue grinfie, e rimase per qualche minuto steso immobile a fissare il soffitto.
Ormai era tardi per fare qualunque cosa, così decise di prendersela comoda.
In quegli attimi cruciali, si ritrovò a riflettere su come la madre lo avrebbe ammazzato, se solo avesse saputo. Dormiva dalla sua ragazza e neanche si degnava di svegliarsi e accompagnarla a lavoro, che razza di fidanzato era? Uno davvero pessimo.
Fortuna che non lo saprà mai, sospirò ad alta voce infine, facendosi forza per alzarsi.
Passò un attimo in cui rimase fermo, in piedi al centro della stanza, in attesa – di cosa, esattamente, non lo sapeva nemmeno lui – mentre i sensi di colpa si impossessavano di lui.
Idiota, si maledisse. Ti sembra davvero il caso di farti prendere dal panico per una cavolata come questa?
Non seppe per quanto questi pensieri gli invasero la mente, ad un certo punto, semplicemente, sembrò rassegnarsi e si affrettò a raccattare il telefono dal comodino, mandando un messaggio a Juliet.
Il pensiero fisso della faccia delusa di sua madre non lo aveva ancora abbandonato del tutto, ed era una cosa che odiava di se stesso.
Alla buon'ora Tigrotto – aveva visualizzato il suo messaggio in tempo record, tanto da riuscire a levargli un peso dal cuore – stavo iniziando a chiedermi se non fosse il caso di mandare un'ambulanza a controllare che stessi bene - gli rispose lei, con una risata.
Comunque fai con calma e non preoccuparti, non ce n'è motivo. A proposito, tra un po' dovrei aver finito qui... quando torno ti ritrovo ancora a casa, vero? – aggiunse poco dopo. Se non l'avesse conosciuta bene, avrebbe scambiato la sua risposta come una minaccia più che una semplice domanda, anche se sospettava che lo fosse.
Cameron non poteva di certo andarsene dopo questo, non se ci teneva alla sua vita.
Juliet gliel'avrebbe fatta pagare cara quella fuga.
Il fatto che avesse una disperata voglia di vederla anche lui, poi, era sicuramente un incentivo a restare.
Sembrava un drogato in astinenza, nonostante l'avesse vista l'ultima volta solo la sera prima. Non era un tempo eccessivamente lungo per sentirne così tanto la mancanza, doveva darsi un contegno, diamine.
Nell'attesa del ritorno di Juliet, Cameron decise di cercare qualcosa da mettere sotto i denti.
In realtà, però, aveva già una mezza idea di portare la sua ragazza fuori a pranzo non appena fosse rientrata.
Lo aveva rassicurato che fosse tutto a posto, ma lui si sentiva ancora tremendamente in colpa e in qualche modo doveva sedare questo suo malessere. Farla felice e uscire lo avrebbe aiutato.
Andò verso la cucina, ancora un po' intontito dalla dormita, prese qualcosa dal cassetto – non era abbastanza lucido da capire cosa effettivamente stesse mangiando – e si adagiò sul divano in salotto, accendendo la radio come unica compagna in sottofondo.
In pochi minuti si ritrovò a maledire i dj.
Chiunque ha deciso la musica in questa stupida radio probabilmente si è appena mollato con la fidanzata – rifletté – una musica più deprimente di così non potevano sceglierla.
Si stava sforzando di tenere gli occhi aperti, ma la cosa gli risultava particolarmente complicata. Aveva la stessa vitalità di un bradipo in quel momento e di certo la musica non lo aiutava.
Doccia. Ho bisogno di fare una doccia. E anche fredda, possibilmente, così mi sveglio, pensò, prendendo la decisione una volta per tutte di alzarsi e dirigersi verso il bagno, dimenticandosi naturalmente la radio accesa.
Rimase sotto il getto della doccia per un tempo indefinito, l'acqua fredda che gli scorreva addosso, mentre si passava le mani sulla faccia, nel tentativo di riprendersi del tutto (e di non pensare a Juliet, era più forte di lui).
Quando finalmente chiuse l'acqua, si sentì subito meglio.
Tutto quello che successe dopo, però, decisamente non faceva parte del suo piano originario per la giornata.
Non era ancora uscito del tutto dalla doccia, quando sporgendosi per recuperare l'accappatoio – che aveva lasciato dalla sua ragazza ormai da mesi – il suo udito decise proprio in quel momento di ricordare di attivarsi a dovere, sentendo la musica dall'altra stanza in sottofondo e riconoscendo la canzone: Shoutout to my ex delle Little Mix.
Cazzo.
Adesso decidono di mettere le belle canzoni? Davvero?
Non ebbe esattamente il tempo di pensare in quel momento, il suo cervello prese il comando in automatico e il suo corpo reagì da solo, escludendo ogni parte logica e razionale presente in lui.
In meno di mezzo secondo si ritrovò a correre in salotto, rinunciando all'accappatoio e avendo optato per un classico e molto più comodo asciugamano legato in vita, per poi alzare il volume della musica al massimo.
Era più forte di lui, non-così-tanto segretamente innamorato della girlband inglese, non poteva fare a meno di alzare il volume e cantare a squarciagola ogni volta che la radio passava un loro brano.
Tra le altre cose di cui non si era reso conto, per lo meno in un primo momento, c'era da aggiungere l'aver afferrato il telecomando della televisione con il solo scopo di usarlo come microfono.
Una piccola parte del suo cervello sapeva quanto sarebbe risultato imbarazzante, se mai lo avessero visto, ma la maggior parte del suo subconscio aveva evidentemente deciso di fregarsene della ragione per lasciare spazio all'istinto.
Tanto, chi potrebbe mai vedermi? Sono a casa da solo.
Dentro di sé Cameron sapeva quanto il tutto fosse ridicolo, ma fu solo dopo l'aver iniziato ad improvvisare una specie di balletto sulle note del ritornello che capì di aver davvero toccato il fondo.
***

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