Aaron (Cap.2)

33 4 4
                                    

《Dimmi tu se Elderich può pretendere che lavoriamo anche l'ultimo dell'anno! Ti rendi conto? È il 31 dicembre, ho un carico di parenti da Stoccarda da recuperare in aeroporto tra due ore e ancora non ho capito in questa maledetta Ford cosa ci sia che non va, il motore fa un rumore strano? Ma finché va non stare a preoccuparti!》 tuonò irritato Tom, scocciato non si capisce se per la macchina o per la famiglia.
Il collega facendo finta di niente lavorava silenzioso sotto la macchina, controllando in modo automatico ogni potenziale punto critico.
Tom innervosito allora afferrò con forza il carrello su cui era sistemato l'amico riuscendolo a vedere adesso dalla cintura in sù, lo guardò in faccia incuriosito e disse ancora《Che hai Aaron? Hai trovato qualcosa che non va?》.
Aaron si alzò in piedi e scosse la testa mesto, si tolse i guanti sporchi di olio e si passò una mano fra i pochi capelli brizzolati che gli erano rimasti, parlò rivolto verso Tom, ma i suoi piccoli occhi scuri sembrava andassero ben oltre la figura del collega 《È un problema elettrico secondo me, qualcosa che non va con l'alternatore, nulla che si possa sistemare velocemente》fece un lungo sospiro, sentiva la testa pulsargli, si sentiva stanco, un po' di fare il meccanico, un po' del suo stupido collega, un po' della vita.
《Chiama Elderich, digli che per oggi chiudiamo, il due gennaio controllerò circuiti e batteria per capire se è solo il comparto elettrico a non andare》.

Era mezzogiorno, Alexanderplatz era gremita di persone che sembravano così allegre, chi beveva una bevanda calda in un bar, chi chiacchierava sulle panchine, era un quadretto piacevole che nel suo insieme faceva sentire Aaron ancora più desolato e distante dal resto del mondo. Casa sua distava più o meno 20 minuti dall'officina, ma ci volle una mezz'ora buona prima che il meccanico si ritrovasse davanti alla porta del suo appartamento, sua moglie probabilmente era in giro a far shopping e lui le aveva detto la mattina stessa, prima del distaccato bacio di saluto, che sarebbe tornato solo nel primo pomeriggio.
Non tentò neanche di suonare il campanello, utilizzò direttamente le sue chiavi, entrò nello spoglio ingresso come un fantasma, silenzioso e malinconico e si buttò sul divano con ancora addosso la salopette e gli scarponi da lavoro.
Si stava per assopire quando sentì il rumore delle tapparelle che venivano tirate sù provenire dalla camera da letto.
Sua moglie doveva aver dormito fino a tardi, strano disse tra sè e sè poi concluse che essendo l'ultimo dell'anno magari aveva deciso di fare tutto con calma, si alzò e placidamente si avviò verso la sua camera.
Un uomo sulla trentina, in mutande, capelli castani, stava aprendo la finestra, Guendaline con le lenzuola che la coprivano guardava il soffitto, ci mise qualche secondo prima di notare suo marito, basso, grassoccio, con pochi capelli che la fissava sull'uscio.
《Aaron...》 disse lei con un filo di voce; l'uomo in mutande si voltò verso la figura sulla porta e diventando paonazzo incominciò a rivestirsi velocemenre senza dire nulla.
《Aaron non è davvero quello che》
《Tranquilla cara, oggi è proprio una giornata pesante, sono stanco, esco》, non c'era amarezza nella sua voce o odio nei suoi occhi, solo un velo di pietà nei confronti di una donna che dopo 25 anni di matrimonio gli era parsa, tutta ad un tratto, una sconosciuta.

Le ultime anime di BerlinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora