"quando una stella muore"

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a chi soffre
in silenzio


















Mantova
17  Settembre 2018
09:15

"Mi chiamo Alessandro Perondini e frequento la medesima scuola di Agnes. Non avevo mai avuto il coraggio di parlarle in questi tre anni di liceo per paura che non fosse interessata a conoscermi, per vergogna perché sono un ragazzo timido e per non so quale strano altro motivo. Ma la vedevo; era impossibile non notarla quando correva per i corridoi per arrivare prima alle macchinette, quando si perdeva in chiacchiere con le bidelle, quando cantava a squarciagola e disturbava le lezioni delle classi altrui, quando interveniva alle assemblee per dire la sua, quando litigava con le sue amiche davanti a tutti e quando esponeva un progetto scolastico. Era chiassosa, ma portava un pizzico gioia in quel triste edificio scolastico decadente.
Ricordo la notte in cui le rivolsi la parola per la prima volta: era il dieci Agosto di quest'anno. Avevo appena accompagnato la mia migliore amica ad una festa in un bar sul lungolago della città e nel cammino di ritorno la incrociai. Era sdraiata sul prato e il primo pensiero che mi passò per l'anticamera del cervello fu fai che non sia morta e come un emerito idiota mi avvicinai a passo felino. La scrutai da capo a piedi, soffermandomi sul suo petto per assicurarmi che respirasse, ma lei ovviamente mi colse in flagrante e mi accusò di essere un maniaco. Sbadatamente e per lo spavento, caddi indietro provocandole una risatina. Rammento che parlottai alla stessa velocità di una mitragliatrice e questo la divertì ancora di più. Le spiegai il perché la stessi osservando e non capii mai se mi credette o meno, ma fatto sta che incominciammo a scambiare quattro parole - e sono serio quando vi dico quattro parole. Ero a disagio; non ero solito espormi granché, motivo per cui fu lei a parlare più che altro e io ascoltavo. Aveva il profilo illuminato dalla luna, che le metteva in risalto gli zigomi sporgenti e alti, il naso non troppo grande, ma nemmeno troppo piccolo e le labbra mediamente carnose, sulle quali mi soffermai troppo spesso, ma tralasciando la sua descrizione fisica che noi tutti conosciamo, vi informo soltanto di quanto fosse bella e differente quella notte, ché la sua bellezza pareva aver perso la propria freschezza, pareva smorta, consumata.
Le domandai il perché si trovasse lì a quell'ora e lei si limitò ad un'alzata di spalle, senza smettere di osservare le poche stelle del cielo di Mantova. Dominò svariate volte il silenzio tra noi due, sebbene cercassimo ambedue di conversare per conoscerci un po', studiarci un po' e sentirci meno soli di quanto volessimo ammettere. Era simpatica e gentile, ma d'improvviso il rumore dei suoi singhiozzi e lo scorrere rapido e infinito delle sue lacrime, mi pietrificò. Ero agitato e spaventato; non sapevo che diavolo dovessi fare. Si stava spezzando, frantumando in pezzettini che mai avrei creduto impossibili da riunire fino ad oggi. Io ero un conoscente, anzi, lo sono tuttora per lei; eppure quella notte, si era confidata con me, era crollata su di me e si era abbracciata a me. Non seppi che dire per rassicurarla che in un qualche modo tutto sarebbe migliorato, pertanto stetti muto. E rimanemmo in quella posizione sotto quel cielo stellato per svariati minuti, mentre lei mi bagnava la maglietta con le sue amare lacrime e mentre il sottoscritto percepiva il dolore che quel corpo esile racchiudeva. Mi disse di non essere più in grado di lottare, di respingere tutto quel dolore che la vita le aveva regalato con tanta generosità. Mi raccontò che la sua infanzia terminò alla morte del padre quando aveva soltanto sette miserabili anni, che sarebbe cresciuta senza questo, che la sorella era malata di cancro, che non aveva una vita perfetta, che nessuno ce l'ha – purtroppo.
Sulle sue spalle aveva questo, sommato e aggravato poi dal fatto che ognuno pretendesse qualcosa da lei. Dava il meglio di sé per non deludervi, ma questo non ha fermato alcuni a giudicarla una pessima persona.
Non era una ragazza d'oro, ma chi lo è, d'altronde. Si ubriacava, partecipava alle feste e baciava anche sconosciuti, così come ogni comune adolescente. E sempre come ogni essere umano aveva bisogno di qualcuno che notasse quanto stesse morendo dietro quel sorriso che illuminava i corridoi cupi e pieni dell'istituto scolastico, dietro quei vestiti del mercato di giovedì, dietro quegli occhi che celavano ogni sua cicatrice e dolore, dietro alla sua disponibilità a quel che richiedeva la massima partecipazione. Aveva bisogno di una casa, dove poter stare tra le braccia della persona che rappresentava per sé il proprio eroe, dove poteva confidare ogni cosa, dai dettagli più insignificanti a quelli che invece le rendevano le giornate, dove poteva rifugiarsi e dove non si sentiva sola. Aveva bisogno di qualcuno che le dicesse che non è un male né una vergogna lasciarsi andare ogni tanto, piangere.
Si era persa, credeva di potercela fare, ma siamo essere umani e necessitiamo di qualcuno su cui contare.

Quella notte la costrinsi a resistere, me lo feci addirittura promettere – come i bambini. Trascorremmo suppergiù quattro ore assieme, quasi fino all'alba, ma dopo ciò non ci incontrammo più tra le strade di Mantova né tra i corridoi di scuola; e i suoi social rimasero inattivi. Girava la voce che si fosse trasferita, che lei e la sua famiglia fossero partiti per curare il tumore della sorella, che sarebbe tornata presto. Alcuni, tra cui i suoi amici stretti, affermavano che fosse scappata di casa e che fosse solo un rito di passaggio della vita adolescenziale, ma pochi mesi dopo il ritrovamento del suo corpo morto e la notizia che si trattasse di un suicidio, avvenuto alle sette di sera dell'undici Agosto, azzittì la città.

La verità è che non è facile capire se una persona sta male, perché stia male e se desidera aiuto. Quello che so è che Agnes poteva essere salvata; che io potevo salvarla, dandole magari un numero da chiamare per parlare, informando la madre della sua condizione emotiva o restando con lei fino a quando potevo. E mi porterò questo sulla coscienza." termino il mio sproloquio e la psicologa e la psichiatra, assunte dalla scuola per sentire cosa abbiamo da dire a riguardo della nostra compagna, mi sorridono in modo inquietante, ma comunque confortante. Una di loro, si permette anche di prendermi per mano, la quale stava tremando. Mi dicono che non è una mia colpa, che la decisione è stata la sua e che l'essere stato con lei e averla ascoltata non era da sottovalutare. Poi si rivolgono alla mia classe e affermano che Agnes non deve essere ricordata per come abbia posto fine alla sua giovane vita, ma per la sua bellissima e divertente personalità, per la sua ammirabile forza nel rimanere in piedi, per aver trovato il coraggio di confessare quanto stesse male a qualcuno e per la gioia che ha portato.
Agnes, effettivamente, prima di cedere alle lacrime, si era rivelata una ragazza gentile e interessata a me, ponendomi domande su domande, sorridendomi calorosamente, scambiando battutine pessime ma esilaranti. Alla vista di una stella cadente, espresse anche il desiderio di una nuova e lunga amicizia con me.

Mi erano bastati degli sguardi, quattro ore in sua compagnia, delle imprecazioni, la sua risata e il suo sorriso per innamorarmi della stella più luminosa e bella di quella notte di San Lorenzo.









Parlatene.

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