1. I Cadetti.

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Viaggiare nello Spazio è stato lo scopo di gran parte della mia vita vissuta fino ad ora. La prima volta che ho messo piede su una nave spaziale avevo tre anni. Una cosa fottutamente ridicola, chissà come si alzava da terra. Comunque da allora non mi sono più fermato, né ho voluto farlo.

Il mio stile di vita è decisamente caotico, fatto di giorni in cui forse potrei morire, altri in cui chissà come sono tornato in vita, ed in altri in cui non faccio assolutamente un cazzo se non mangiare cibo spazzatura e masturbarmi. Insomma non posso lamentarmi.

In realtà tutto questo mi piace; ciò disturba le persone. La natura umana è di natura sedentaria, e anche tremendamente noiosa, devo dire.
Quando ho iniziato a considerare l’idea di diventare un soldato non l’ho fatto per difendere l’umanità – non era ancora necessario – ma per… in realtà l’ho dimenticato. Posso solo garantirvi che non volevo diventare un eroe.
Per onorare mio padre, forse?

“Fammi indovinare, hai perso i genitori, non è vero?”, starete pensando – so che lo state pensando --. Mi dispiace deludervi ma no. Onestamente? Credo che i miei siano in una forma migliore della vostra.
… vi ho offeso? Vi ho offeso. Diamine, Rafael mi aveva detto che dovevo migliorare la mia sensibilità. Ah, mi dispiace, mi dispiace. Non era mia intenzione ferire i vostri sentimen—suonavo sarcastico? Suonavo sarcastico, non è vero? Dannato Rafael.
Comunque. Cosa stavo dicendo? Oh, giusto. Le mie scuse, per tutto. Ricominciamo di nuovo, va bene?
Mi chiamo Shane Sheppard.
Sono le 19:53, 29 ottobre dell’anno 5083 e io sto lasciando questa nota perché la fine si sta avvicinando.
Nella più rosea delle visioni, l’unico a morire sarò io. In quella non così brutta, la Terra verrà fottuta. In una delle peggiori, la Via Lattea imploderà su stessa.
Ecco, questo è il cliché della storia: sono il coglione che deve sacrificarsi per il bene della comunità.
Volete continuare a scorrere verso le altre storie? Non posso impedirvelo. Ma se siete annoiati, scazzati e disgustati dall’umanità, allora per favore leggetemi.
Non voglio essere quello che dice “il mio destino è segnato” o stronzate simili perché, insomma, voi ne avete le palle piene ed io ho superato quella fase di fatalismo.
Ora voglio soltanto essere ascoltato.
Voi non avete nulla da perdere in fondo, no?
Tanto sono io il coglione che muore, no?

“Ho superato quella fase di fatalismo” un cazzo. Bastardi figli di puttana, non lasciatemi morire!





“Shane?”
“Shane.”
“Shane!”
“Andiamo coglione, svegliati!”
“Se non ti svegli dico a tutti che sei gay.” Mi alzai a sedere in un lampo, sbattendo la testa contro il letto a castello sopra di me. Non prestai attenzione al dolore. Invece, afferrai per il colletto della tuta Rafael e avvicinai minacciosamente il viso al suo.
Lui si limitò ad alzare gli occhi al cielo, per niente sorpreso.
“Lo so, lo so. Sei bisessuale. Il tuo orientamento sessuale è valido e dire che sei omosessuale non è né giusto né carino e tante altre cose, blah blah blah.” Assottigliai gli occhi, lo sguardo fisso nel suo, rafforzando la presa sulla sua felpa.
“Hai dimenticato un pezzo.”
“E non devo dirlo a nessuno. Il coming out è un momento importante e devo rispettare il fatto che tu non ti senta pronto ad ufficializzare la cosa” borbottò Rafael, scocciato, recitando a memoria quello che gli dicevo ogni singola volta in cui l’argomento si affacciava nelle nostre conversazioni.
“Usi troppe volte la ‘e’. Dovresti lavorare sul tuo vocabolario” commentai. Finsi di non sentire la risposta.
“Amico, non vorrei dirtelo, ma l’hanno capito tutti. Per essere più gay dovresti soltanto indossare quella maglia verde e rosa. Tu hai capito quale” si intromise quel rompipalle di Joky, infilandosi le scarpe.
“Io non sono gay” dissi automaticamente, guardandolo senza vederlo davvero.
Maglia verde e rosa, maglia verde e rosa, maglia verde e rosa… oh.
“E tu come diavolo fai a sapere cosa ho nell’armadio?” gli domandai, scostando le lenzuola per mettere i piedi nudi sul pavimento. Quanto cazzo è freddo.
“Bello, davvero fai queste domande? Quelle che hai addosso sono le mie mutande” rispose Rafael al posto suo. Mi voltai verso di lui schifato.
“No. Non è vero.” Mi sorrise divertito, incrociando le braccia al petto e alzando un sopracciglio.
“Controlla.” Esitante, portai le dita sull’orlo dei boxer neri che stavo indossando per leggere l’etichetta. Una ‘R’ e una ‘V’ spiccavano bianche su nero. Rafael Velez. In realtà il figlio di puttana ha due cognomi, il suo nome completo sarebbe Rafael Velez Sanchez ma lui preferisce usarne solo uno. Dettaglio irrilevante forse.
Lasciai andare, arricciando il naso, e la stoffa elasticizzata tornò con uno schiocco a svolgere il proprio lavoro: coprirmi il culo.
“Quindi chi hai i miei?” Il latino alzò le mani, lui non le aveva. Conoscendo la sua indole perfezionista, sarebbe stato estremamente improbabile.
“Vuoi muoverti e vestirti o preferisci diventare uno spogliarellista?” sbottò Joky, alzandosi. Mossi il bacino nella sua direzione, schiaffeggiandomi una natica per il semplice gusto di metterlo a disagio.
La risata di Velez esplose alle mie spalle mentre mi infilavo i calzini. Infilavo prima i calzini perché sarebbe stato scomodo metterli dopo aver messo i pantaloni.
Perché mi sto giustificando con voi?
“Gay.” mormorò Joky uscendo dalla stanza. Non gli corsi dietro solo perché gli avrei dato soddisfazione. Inoltre, avevo una reputazione da far rispettare. Uscire in mutande era da evitare.

Il Diario di Shane SheppardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora