Marlboro

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Sono passati più di vent'anni dalla prima volta in cui ho davvero avuto paura, da quando ho sentito per la prima volta le gambe cedere sotto il peso del mio stesso cuore, da quando ho sentito per la prima volta il sapore della sofferenza in bocca. In quei momenti, quando guardi le stelle sognando una vita migliore, mentre senti tua madre supplicare e i tuoi fratelli piangere, sei come intrappolato in una bolla, non pensi esista altro a parte quella casa, quei lividi da dover spiegare il giorno dopo, quelle urla. Credevo che non avrei più avuto paura, che sarei riuscito a volare sulle mie ali sgangherate e gracili, ma quando rischi di perdere la persona che ami niente ha più importanza. Quella è stata la prima volta dopo anni che ho rivisto i miei mostri, subdoli e furbi, che venivano a portarmi via ciò che per me era importante.

Ricordo che eravamo appena tornati da una gita in spiaggia con i figli di Fabrizio, ricordo anche il suo respiro affannato all'una di notte e il terrore nei suoi occhi quando disse di avere un dolore lancinante al braccio sinistro. Entrai nel panico, non sapevo cosa fare e pensai subito al peggio. Lo portai io stesso in ospedale, credo che non avrei mai trovato una calma tale da riuscire a chiamare l'ambulanza, lui tremava come una foglia, odiava gli ospedali , gli facevano ripensare alla sua ipocondria, che non esitava a ripresentarsi rendendolo inerme, con solo me come appiglio per non sprofondare. Bizio venne ricoverato poco dopo il nostro arrivo, i medici acconsentirono a farmi entrare nella sua stanza subito dopo averlo sedato, ma nessuno si era disturbato a spiegarmi cosa fosse successo, si limitarono a dire che "il paziente era stabile".

Appena entrai lo vidi lì, steso sul letto, tremante, gli occhi colmi di panico che minacciava di trasformarsi in lacrime. Mi avvicinai, in modo calmo, per quanto riuscissi a esserlo in quel momento, per non spaventarlo ulteriormente, mi sedetti su una sedia accanto a lui e gli presi delicatamente la mano per calmarlo

"hey Bizio"

" ti prego, non fare così" – disse lui nervoso-


"Così come?"


"come se ce fosse er funerlare mio qui de fronte"


"scusa se sono spaventato, sai, il mio fidanzato è finito all'ospedale poco fa"


"smettila, odio questo posto, odio questo letto de merda e odio sti dottori der cazzo che nun se decidono a dimme se posso tornà a casa"


gli afferrai le spalle, costringendolo a guardarmi negli occhi


" dai Brì, andrà tutto bene" – cercai di sorridere per rassicurarlo, credo che fu l'impresa più ardua delle mia vita-


dopo un breve scambio di sguardi, che furono molto di più per noi, si gettò fra le mie braccia, inumidendo la mia spalla di calde lacrime di paura, che riflettevano la luce del led che illuminava quell'asettico ambiente.


"te prego, nun me lascià" - disse tra i singhiozzi-

"tranquillo Bri, non me ne vado, sto qua con te"


Dicendo così strinsi un po' più forte, ma quell'abbraccio venne interrotto da una ragazza sulla trentina, che si avvicinò al letto con la cartella clinica in mano


" salve, abbiamo i risultati delle analisi"


"allora?" – chiesi io, che ormai non riuscivo neanche a rspirare-


"signor Mobrici, lei è un fumatore?"

I nostri sogni su un aereo di cartaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora