Tutti conosciamo l’esistenza del “Terzo mondo", ma cos'è davvero? Cosa vorrà dire? È un’espressione che usiamo tutti i giorni, senza rendercene conto. Li ogni persona lotta per un pezzo di pane, combatte per vivere. Ve lo sto raccontando io, che ho vissuto e che lo sto ancora vivendo in prima persona. Mi chiamo Joseph, sono il più grande dei tre fratelli, e siamo africani. Non ho paura di ammetterlo! Vi potrei anche dire che questa vita non mi piace, ma più che altro sono stufo. Mia madre è morta da cinque anni lavorando. Mio padre non c'è la fatta mentalmente a mantenerci, ed è scappato pochi giorni dopo per la disperazione e la tristezza che, secondo me, si porta ancora dentro ovunque si trovi. Sono passati ben due anni . Sono solo un ragazzino diciassettenne, non posso uscire la sera con gli amici e non posso permettermi neanche un istruzione. Poiché sono io a capo della famiglia, devo lavorare ogni giorno per mantenere i miei fratelli. Vorrei farli divertire, giocare con loro, magari con una partita di pallone, fatto con le solite cartacce aggrumolate fra di loro, o magari giocare a nascondino o qualsiasi altro gioco si può fare alla loro età. Era una mattina d’estate, ciò lo capivo dalle piccole goccioline di sudore che scorrevano lentamente sul mio corpo ed io come sempre mi alzai dal letto fatto di paglia, visto che era l’unica cosa che ci potevamo permettere, mi misi due stracci addosso e corsi a lavorare. Alla fine della strada, prima di sboccare la via del campo, si potevano intravedere i sopra visori. Degli uomini in divisa, sempre con la schiena retta e lo sguardo fisso. Non sorridevano mai e mi chiedevo ogni volta se conducevano una vita felice anche essendo abbastanza ricchi. Una volta entrato nel campo, circondato da migliaia fili di grano vidi meno persone rispetto al solito. Camminando verso il sentiero incontrai Paul sulla sua postazione di lavoro, impugnando un ascia di legno, con il viso pieno di dolore e le sue gambe oramai stanche che a stento lo sostenevano in piedi. Con un passo lento mi avvicinai ad esso “Paul! Il resto della truppa?” chiesi sotto voce, con un’aria preoccupata, guardando sott’occhio il sopra visore. “Non te lo so dire. Sono arrivato da poco e loro già non c’erano.” Rispose Paul scuotendo la testa. Io, sovrappensiero, proseguii. In quel momento avevo mille pensieri nella mia testa, mille spiegazioni per la loro assenza, mille domande. In tutto ciò non potevo fare altro che stare in silenzio e lavorare. In quel campo non si poteva ne discutere fra di noi ne parlare con quegli uomini in divisa. Che poi non sono persone come noi? Siamo animali? Noi veniamo chiamati “gentaglia” , solo perché siamo costretti a lavorare per portare un misero pezzo di pane a casa e che indossiamo degli stracci invece di camicia e cravatta. Noi eravamo e saremo sempre considerati gente inferiori ed è tale che nemmeno la parola ci si può rivolgere. Mia madre venne fucilata solo per aver chiesto aiuto. In quel tempo era malata e noi non ci potevamo permettere di comprarle le medicine e allora erano anche molto, ma molto costose. Si fece sera, ritornai a casa, anche se proprio “casa” non si poteva chiamare. Piuttosto era un rifugio con quattro letti di paglia, un piccolo masso di pietra che fungeva da sedia, le pareti erano fatte di legno che il tempo ha rovinato e non vi dico come si gela in inverno, la porta non era sicura perché la costruii con piccoli bastoncini di legno assemblati tra loro con del sottilissimo filo di ferro. Appena entrato nel nostro rifugio, non soddisfatto di quella giornata, tirai il masso di pietra a me, accesi la solita candela , immersi la punta di un bastoncino di legno nel grasso, presi un foglio e mi misi a scrivere. Ero solito mettere queste lettere sotto la paglia, sperando che un giorno mio padre le riuscisse a leggere e capire l’errore che ha commesso andando via. I miei fratelli mi domandano ogni giorno dove sia ed io gli rispondo sempre che è via per lavoro e che presto ci verrà a prendere. Ma che dico!? Odio mentir loro. Lui non ritornerà mai. Per me è solo un vigliacco. Aveva visto che la situazione si metteva più che male, per non prendersi a carico di noi è scappato come se niente fosse. In fondo però è sempre nostro padre. Mi misi steso sul letto a guardare il vuoto, quando sentii dei piccoli passi , lenti e silenziosi, arrivare verso di me. Una piccola mano che mi sfiorava il braccio, sentivo sussurrare il mio nome. Girai lentamente la testa e vidi lui. Era mio fratello Jacobh il più piccolo dei tre. Aveva ancora gli occhi socchiusi e mi sembrava parecchio assonnato dai suoi numerosi sbadigli. “Joseph, non riesco a dormire!” mi disse Jacobh con un tono abbastanza preoccupato. Gli feci spazio affianco a me e gli diedi una mano a salire. Mi prese il braccio, lo tirò a se, lo mise delicatamente sotto al suo collo e appoggiò la testa sul mio petto. Mi guardava con uno sguardo perso, come se mi volesse parlare. Gli luccicavano gli occhi qualcosa gli stava succedendo. Non l’avevo mai visto così. “Cosa stai pensando di così tanto terribile?” gli dissi sottovoce e accarezzandogli i capelli. Ci fu un istante di totale silenzio. Scosse la testa e di prepotenza si girò al lato opposto. “Dai su raccontami, sono tutto orecchie…” gli dissi con un tono dolce, ma molto preoccupato. Dopo qualche minuto si gira verso di me. Delle gocce gli scendevano lungo il viso ed ero sicuro che quello non era sudore. “Ho paura, ho paura di quello che accadrà in futuro. Questa casa non durerà tanto. Poi vorremmo parlare del cibo. Quel misero pezzo di pane. Ogni mattina devi svegliarti presto per noi e non puoi pensare a te stesso. Ti ho visto tante volte piangere mentre scrivi quei fogli. Per quanto tempo durerà ancora. Per quanto tempo durerai ancora! Non voglio perderti come la mamma e papà”. Disse Jacobh arrabbiato e deluso. Ero senza parole. Non sapevo che rispondere o che inventare in quel momento. “Tu non mi perderai mai. La mamma non c'è più ed io non posso farci niente. Sai è lei che mi ha insegnato a leggere e a scrivere. Ho deciso!!! Domani quando vengo da lavoro lo imparerò anche a voi. Se sei d’accordo. Per quanto riguarda papà, lui tornerà a prenderci e ci porterà lontano da qui. Andrete ad una scuola vera con degli amici veri” risposi con un’aria turbata per la paura che non mi potrebbe credere. “Guarda che lo so che papà è scappato per colpa nostra e non ritornerà più” “Perché pensi questo Jacobh?” “Perché ho sentito te e papà litigare pochi giorni dopo la morte di mamma. Lui urlava dicendo che non poteva occuparsi di noi, o meglio che non ce la faceva. Infine ti ha tirato uno schiaffo dicendo che non sarebbe più tornato. Uscii da quella porta infuriato la sbatté e non l’abbiamo più visto da allora. Non mentire più per favore e dimmi che resterai con noi per sempre!!” rispose singhiozzando ed impaurito. “Non preoccuparti io sono qui per occuparmi di voi e resterò sempre al vostro fianco” risposi mentre mi scendeva una piccola lacrima sul mio viso. Passarono dei secondi silenziosi. Si era addormentato sul mio petto. Con la manica della mia maglia gli asciugai le poche lacrime rimaste sul suoi occhi e rimasi a guardarlo finché i miei occhi stanchi non si chiusero da soli.
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Il Bisogno Di Una Vita NoRmAlE
FanficJoseph un giovane ragazzo Africano rimane solo con tre fratelli dopo la morte della madre. Lavora ogni giorno per mantenere i suoi fratellini, ma un giorno cambierà la sua vita e dei suoi fratelli grazie ad una ragazza.